BERTOLDO DI MAIO E IL REDDITO DI CITTADINANZA CHE ORA “SI FINANZIA DA SOLO”
GLI ESCAMOTAGE CONTABILI E LE FANTASIE SOCIOECONOMICHE DEL MOTO PERPETUO: COME COMPRARE CONSENSO FACENDO DEBITO PUBBLICO
Con una mossa a sorpresa, che neanche il più fantasioso degli autori satirici avrebbe osato immaginare, il ministro e vicepremier Luigi Di Maio ha reso noto che il reddito di cittadinanza non avrà bisogno di coperture e si finanzierà da solo in virtù di un mix di escamotage contabili e fantasie socioeconomiche che realizzeranno quello che da secoli la fisica considera impossibile: il moto perpetuo.
Iscrivendosi in una nobile tradizione, che parte dalle astuzie del contadino Bertoldo, di Giulio Cesare Croce, passa per le alchimie burocratiche dell’azzeccagarbugli manzoniano e si ricongiunge saldamente al Criptomarxismo italiota, noto anche come Keynesismo all’amatriciana, che si può riassumere nel principio: quando voglio comprare consenso con denaro pubblico, senza ammettere l’aggravio per l’erario, immagino moltiplicatori biblici e crescita economica fantascientifica per compensare.
Notevole anche lo slancio (neo)linguistico: dopo il decreto dignità che combatte il precariato aumentandolo (con contratti di lavoro più brevi e meno frequenti) ecco il reddito di cittadinanza, non destinato a tutti i cittadini, ma solo a quelli che cercano lavoro.
Quello che potrebbe sembrare un mero formalismo irrilevante è in realtà la chiave di volta del meccanismo di autofinanziamento: per ottenere il reddito di clientela populista, i cittadini interessati dovrebbero iscriversi ai Centri d’Impiego e, in questo modo, verrebbe modificata la loro classificazione all’interno della Rilevazione sulle forze di lavoro a cura dell’ISTAT.
Dunque gli aspiranti percettori del sussidio pentastallato, che in precedenza erano considerati Non Forze Lavoro (persone in età lavorativa non occupate, nè in cerca di lavoro) verrebbero riclassificati come Disoccupati.
A cosa potrà mai servire questo Escamotage contabile?
È presto detto: trasformando gli inattivi in disoccupati è possibile rivedere al rialzo la stima della forza lavoro potenziale e, di conseguenza, anche del PIL potenziale. Secondo le regole del fiscal compact, i paesi ad alto debito sono tenuti a mantenere stabile il rapporto tra “deficit strutturale e PIL”, dunque un aumento della distanza tra PIL potenziale e pil effettivo consentirebbe di “sterilizzare” l’aumento del deficit necessario a finanziare il reddito di creduloneria sovranista.
Questo costo si può pagare aumentando le tasse (che però i legaioli vogliono ridurre) oppure facendo più deficit di bilancio e quindi accrescendo il debito pubblico (che tutti dicono di voler ridurre) con conseguente allarme sui mercati finanziari (spread verso il Bund che aumenta) e violazione degli impegni presi in sede europea
Se si trova un modo di gonfiare artificiosamente il reddito potenzialmente conseguibile dal nostro paese, alcuni meccanismi di flessibilità , previsti al fine di fronteggiare congiunture economiche particolarmente avverse, possono essere applicati in modo da rendere formalmente accettabile il deficit aggiuntivo
Morale della favola: i sagaci pentastellati, capeggiati da Bertoldo di Maio ed evidentemente assistiti da consulenti che farebbero impallidire il celebre avvocato manzoniano, vogliono fare più deficit per comprare consenso e si propongono di aggirare le regole, che vieterebbero questa pratica, ribattezzando gli inattivi come disoccupati in cerca di occupazione, un po’ come una volta si ribattezzava la carne in pesce per consentire ai fedeli di mangiarla al venerdì.
Semplice creatività burocratica e contabile volta a mascherare la ricerca di consenso a spese dei contribuenti?
No, il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi: il trucco di Di Maio, oltre ad essere l’ennesima furbata italiota per aggirare le regole e confondere le idee agli elettori, presenta dei rilevanti limiti quando si scontra con il funzionamento del sistema economico.
Il primo ovvio cortocircuito parte dalla neolingua della definizione di reddito di cittadinanza.
Quello su cui nelle opportune sedi accademiche si discute, ed è qualificato come Universal Basic Income è appunto una misura destinata a semplificare le strutture di welfare dei paesi avanzati e a tutelare particolarmente coloro che rimangono indietro rispetto all’evoluzione di processi come la globalizzazione e l’innovazione tecnologica.
Dunque si tratta chiaramente di un trasferimento da chi è capace di trovare un lavoro e guadagnare, verso chi non ha questa capacità e si trova in condizioni di difficoltà e al quale, per definizione, non si può chiedere di subordinare il sussidio alla ricerca di un lavoro (la semplificazione dell’attività di monitoraggio è uno dei benefici del UBI).
Con la storia dei Centri per l’impiego i pentastellati stanno proponendo un sussidio di disoccupazione, di fatto simile a quelli esistenti, e stanno vendendo la prospettiva da botte piena con moglie ubriaca che sia sufficiente dare un po’ di soldi a chi aveva smesso di cercare lavoro affinchè questo si attivi nuovamente e, in un paese dove l’occupazione langue, riesca a anche a trovarlo.
Purtroppo l’alternativa reale è come sempre meno allettante: o si persegue la scelta politica di dare un sussidio agli inoccupati, se ne accetta il costo e si trovano modo sostenibili per finanziarlo (aumento tassazione e/o riduzione di altre voci di spesa pubblica) oppure si prediligono soluzioni che non comportano oneri aggiuntivi, quali ad esempio un’assicurazione contro la disoccupazione finanziata da contributi dei lavoratori attivi, che per ovvi motivi non può essere estesa a chi è fuori dalla forza lavoro
Il reddito di cittadinanza si finanzia da solo?
Tuttavia, anche a prendere per buona la crescita artificiosa del PIL potenziale (che non è affatto scontata, poichè la sola crescita dalla forza lavoro potenziale operata per convenzione non è sufficiente a determinarla) come ben spiegato da Tommaso Monacelli su Il Foglio, c’è ancora un passaggio che non quadra: il mirabile meccanismo, in base al quale il deficit necessario a finanziare il reddito di creduloneria, è compatibile con il Fiscal Compact, implica che non ci siano effetti rilevanti sul PIL effettivo, altrimenti la distanza tra questa grandezza e il PIL potenziale non sarebbe sufficiente a far operare i meccanismi di flessibilità congiunturale.
Per farla semplice ci sono 2 alternative:
la misura non ha alcun effetto su crescita e occupazione (come è altamente probabile), serve solo a comprar voti ai pentastellati e, con qualche sforzo contabile, il deficit è compatibile con il Fiscal Compact,
oppure, se riesce effettivamente a stimolare l’economia, oltre al PIL potenziale cresce anche quello effettivo, non c’è aumento della distanza tra le due grandezze e quindi il deficit realizzato per finanziare la misura è incompatibile con i vincoli presi in sede europea
Per concludere, la prospettiva che il reddito di cittadinanza subordinato alla ricerca di lavoro si finanzi da solo:
è in primo luogo un’affermazione impropria che confonde gli artifici contabili con le dinamiche reali dell’economia
si basa sulla forzatura della classificazione degli individui in cerca di occupazione, sulla speranza eroica che questa forzatura faccia lievitare in modo consistente il pil potenziale e che, grazie a questo, ci venga riconosciuta una immeritata e ingiustificata tolleranza in tema di saldi di finanza pubblica
comporta anche di fatto l’inutilità delle misura stessa che avrebbe l’unico risultato di mettere qualche soldo in tasca ad alcuni cittadini, nella speranza che votino M5S, senza alcuna altra variazione rilevante nelle principali grandezze economiche del paese — il che vuol dire che chi trova lavoro lo avrebbe ottenuto anche in assenza della misura, chi non lo trova ha ottenuto un sussidio, che ha un costo e si aggiunge agli altri esistenti nel paese
Quello che in nessun caso è possibile è un fantasioso moto perpetuo in cui il reddito di creduloneria porta benefici all’economia del paese ed è anche compatibile con il Fiscal Compact.
(da “NextQuotidiano”)
Leave a Reply