CASAMICCIOLA, L’ALLARME INASCOLTATO DELL’EX SINDACO: “ALVEI OSTRUITI, INTERVENITE”
L’APPELLO INASCOLTATO AL PREFETTO… NEI MESI SCORSI AVEVA SEGNALATO I MANCATI INTERVENTI DI BONIFICA
“Bisogna intervenire immediatamente su tutti gli alvei di Casamicciola onde evitare di correre il rischio che ci si possa trovare nuovamente di fronte a una situazione simile a quella dell’alluvione del 1910, quando morirono 15 persone a causa di un’alluvione”. Era lo scorso 8 ottobre e aveva previsto tutto, o quasi, l’ingegnere Peppino Conte, già sindaco di Casamicciola nei primi anni ’90 e poi funzionario della Regione Campania, oggi in pensione.
Ancora un mese fa segnalava con forza l’assenza di un piano per il dissesto idrogeologico nel progetto di ricostruzione post-sisma e, soprattutto, “i mancati interventi di mitigazione per il pericolo di ostruzioni degli imbocchi dei tratti tombati mediante opere trasversali di trattenuta del materiale di trasporto solido sugli alvei Senigallia, Negroponte, Fasaniello, Pozzillo, La Rita, Cava del Monaco”.
“Interventi – spiega – già finanziati nel 2010, dopo la morte della piccola Anna De Felice, con un totale di quasi 5 milioni di euro, ma mai realizzati”. Segnalazioni inviate a mezzo Pec. Grida inascoltate. Come l’ultimo campanello d’allarme, appena martedì scorso, quando aveva scritto a Regione Campania, Città metropolitana di Napoli e commissario prefettizio, subito dopo l’annuncio di allerta meteo arancione, chiedendo lo “stato di grave crisi per la calamità naturale imminente”, in particolare per quello che si considerava un pericolo incombente nella zona del vallone della Rita.
Auspicando, per esempio, lo sgombero delle case a rischio. Era stato cattivo profeta. “Ma questo è il momento del dolore e della rabbia, preferisco non cavalcarlo”, dice a “Repubblica”. Basta però leggere le sue denunce, tutte protocollate. Le mostra non con l’orgoglio di chi sapeva, ma con la rabbia di chi nulla ha potuto: “Gli alvei naturali di Casamicciola Terme, nonostante i fondi stanziati, per l’inerzia della pubblica amministrazione, in un perverso gioco di scaricabarile, non sono stati oggetto di alcun intervento dopo l’alluvione del novembre del 2009, c’è, quindi, l’eventualità concreta di una nuova alluvione nelle stesse zone, per cui si chiede di porre in essere determinate azione di protezione della popolazione, che non può essere il semplice avviso di un’allerta meteo”.
E dunque il day after della tragedia di Ischia è, ancora una volta, affollato di dubbi e rimpianti. Senza l’incuria e la superficialità, senza l’irresponsabilità degli ultimi anni, le morti potevano essere evitate. “Ma ora, almeno, bisognerà capire che non si può tornare in quelle case, né in quella zona”, dice con tono dimesso Vincenzo D’Ambrosio, già sindaco di Casamicciola, prosciolto dall’accusa di disastro colposo per la morte di Anna De Felice, vittima di un’altra alluvione, quella del 2009.
“Sa che i bambini che stanno estraendo morti erano miei pazienti? Nelle case travolte dal fango andavo spesso per visitarli, oggi credo che sia il momento di dire basta, sennò ci troveremo a rivivere nuove tragedie. Uno Stato serio ha il dovere di abbattere e delocalizzare, studiando un’alternativa abitativa per le famiglie sfollate. Per i superstiti, intendo”.
Rilanciamo: e la manutenzione ordinaria e straordinaria degli alvei? “Durante il mio periodo da sindaco, abbiamo fatto dei lavori a Cava Pozzillo, uno degli alvei più a rischio, ma la cura di queste infrastrutture compete a Regione e Città metropolitana di Napoli. E mica è facile mettere una montagna in sicurezza. La soluzione è non abitarla, non fino a lassù almeno. Perché il rischio sarà sempre maggiore, con i fenomeni climatici estremi. Case abusive? In realtà si tratta per lo più di adeguamenti di vecchi ruderi, non ci sono vere e proprie speculazioni (ma a Casamicciola ci sono state 3506 istante di condono, ndr). Ma, certo, ora occorre voltare pagina”.
Nel silenzio spettrale di Casamicciola, la voce dell’ex primo cittadino rotta dall’emozione è quasi una prima ammissione di responsabilità. Come a dire: ci siamo illusi che lì si potesse vivere, con un po’ di fortuna.
“Ma alcune tragedie sono prevedibili”, sbotta Giovannangelo De Angelis, presidente della sottosezione ischitana del CAI, il Club Alpino Italiano, che da anni si occupa della messa in sicurezza della sentieristica dell’isola e conosce bene il Rarone e via Celario, il versante settentrionale dell’Epomeo dove ieri – come il segno dell’artiglio di un felino la frana divideva in due il bosco.
“Sono avvilito. – dice – Gli alvei sono abbandonati a sé stessi da anni, opere di ingegneria naturalistica indispensabili per far defluire l’acqua piovana e invece puntualmente ostruiti da alberi e detriti. E’ venuto meno l’equilibrio della montagna, alla cui manutenzione per secoli hanno provveduto i suoi abitanti, ricevendone un tornaconto, dalla legna da ardere ai frutti”.
“Il fianco dell’Epomeo interessato dalla frana è una porta d’accesso a uno scrigno di tesori, nascosti nei castagneti, ma l’abbandono di piccole economie, dal taglio del legname alla lavorazione di minerali come l’allume, ha inciso sullo stato del bosco, e sulla sicurezza dei costoni, indeboliti anche dai continui incendi boschivi estivi”, conferma la guida ambientale Marianna Polverino, coordinatrice campana di Aigae, Associazione Italiana Guide Ambientali Escursionistiche.
(da La Repubblica)
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