Febbraio 12th, 2016 Riccardo Fucile
L’EX PREMIER NOTATO DAI PAZIENTI DI UN OSPEDALE MILANESE INSIEME ALLA MOGLIE: “IN FILA COME TUTTI, UN ESEMPIO”
“Ieri mi è capitata una cosa singolare. Ero in un ospedale milanese con mia mamma ed a un certo punto è arrivato il prof. Mario Monti con sua moglie”.
E’ diventato virale in tempi di “accusa alla casta” il post di un utente di Facebook che ha deciso di raccontare e condividere la sorpresa di vedere l’ex premier, presidente della Bocconi, comportarsi come un “comune mortale”: nessuna corsia privilegiata per saltare i tempi di attesa della Sanità , e nessuna stanza riservata.
Lì, ad aspettare, come tutti gli altri, seduto sulle scale a lavorare.
Un understatement eletto a modello di sobrietà , caratteristica tra le più elogiate quando il professore arrivò a prendere il posto di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi.
“La signora Monti – è il racconto condiviso sui social – si doveva sottoporre alla stesso intervento per il quale era in attesa anche mia mamma. La cosa inaspettata è che il Professore è arrivato senza scorta, ha fatto la coda come chiunque e la moglie ha aspettato il suo turno come chiunque. È rimasto seduto sulle scale in attesa per tutto il tempo, poco prima c’era anche la moglie, nessun salottino privato o quant’altro. Ha parlato con chiunque gli chiedesse qualcosa senza nessun problema ed ha lavorato tutto il tempo.
“Vorrei dedicare tutto ciò – sottolinea l’utente – a quei beceri che ci rappresentano che in continuazione sfruttano la loro posizione per avere un proprio tornaconto sempre e comunque. Il senso di tutto è che quando si è grandi lo si è senza bisogno di doverlo palesare ed ostentare ! Personalmente – conclude con ironia – resto con un solo dubbio …….. non so se preferisca l’acqua gassata o naturale! Complimenti”.
Alessia Gallione
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Ottobre 25th, 2015 Riccardo Fucile
“INCOMPRENSIBILE IL RICORSO A VERDINI”
“Questa è una manovra che guarda al consenso verso chi governa, piuttosto che all’interesse nazionale del medio periodo, il che è un po’ paradossale visto che non ci sono contendenti”.
E’ l’impietoso giudizio dell’ex premier Mario Monti, intervistato a “In 1/2 ora” sulla legge di stabilità del governo di Matteo Renzi.
Il senatore a vita ha espresso grosse perplessità sull’abolizione dell’Imu sulla prima casa e sulla possibilità di pagare in contanti fino a 3mila euro – dai mille che erano stati fissati proprio dall’esecutivo Monti.
“Non vedo giustificazione economica” all’innalzamento del tetto sul contante, ha spiegato l’ex presidente del Consiglio.
“Penso che Renzi abbia voluto cambiare il meccanismo per dare la sensazione agli italiani di allentare il controllo” dello Stato. Ma “siamo una strana società , tollerante nei confronti del peccato civico”. “I problemi dell’Italia non derivano dagli ingranaggi costituzionali ma dalla nostra eccessiva predisposizione come società italiana verso corruzione ed evasione fiscale. Se per approvare le riforme dobbiamo allentare la presa su questo non sono certo sia un fatto positivo”.
Un giudizio non positivo anche per la legge di stabilità nella sua globalità perchè presenta “minor prudenza” di quella necessaria rispetto ad un disavanzo “che potrebbe non diminuire quanto possibile e a quanto ci veniva raccomandato”.
Monti si riferisce alla tassa sulla prima casa che secondo le anticipazioni verrà cancellata: “Non proseguendo con determinazione la strada della riduzione del disavanzo pubblico, l’Italia rafforza gli avversari di Mario Draghi. L’argomento nordico è che quando le condizioni monetarie si rendono più facili, i governi rilassano i loro sforzi”.
Per Ferdinando Giuliano, giornalista italiano del Financial Times, la manovra tiene conto anche della composizione sociale dell’elettorato di Renzi: la casa è un bene posseduto soprattutto dalle generazioni più anziane e non dai giovani.
“Poichè il dramma dell’Italia è la disoccupazione giovanile, bisognava puntare molto di più sulla riduzione del cuneo fiscale per facilitare le assunzioni e non sulla tassa della casa. E’ dunque una manovra che guarda di nuovo alle generazioni che hanno già beneficiato tanto perchè le case sono possedute maggiormente dagli anziani”, ha sottolineato Giuliano.
Monti ha poi criticato l’alleanza del Pd con Silvio Berlusconi e con Denis Verdini “la cui posizione rispetto alla giustizia non è lineare”.
“Ho massimo rispetto per ciascuna personalità della vita pubblica, incluso Silvio Berlusconi, che conosco di più, e il senatore Denis Verdini che conosco appena di vista, ma non si può restare indifferenti rispetto alla circostanza che il governo ha ritenuto di avvalersi del contributo politico decisivo del primo, persona molto rispettabile ma che tuttavia in base alle leggi dello Stato è stato messo in una certa condizione e, recentemente, per dare benzina al funzionamento della maggioranza e del governo, del senatore Verdini, la cui posizione rispetto alla giustizia non commento, ma che non mi sembra assolutamente lineare e semplice da descrivere. Se per migliorare una legge elettorale e una legge costituzionale -ha aggiunto- dobbiamo ricorrere al coinvolgimento decisivo di personalità che non sono l’emblema della lotta alla corruzione e alla fiscalità non so se sia un passo avanti o un passo indietro per la società e anche per l’economia”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 18th, 2015 Riccardo Fucile
“TAGLIO TASSE SULLA CASA FA GUADAGNARE VOTI MA NON SERVE PER LA CRESCITA”….”LA MANOVRA ASSECONDA GLI IMPRENDITORI
La legge di Stabilità varata dal consiglio dei ministri giovedì scorso è “perfetta dal punto di vista del consenso” perchè, eliminando le tasse sulla prima casa, “toglie un pezzo di patrimoniale“ e “ognuno può calcolare esattamente quanto pagherà in meno”.
Peccato che sia “una scelta sbagliata dal punto di vista della crescita e dell’equità sociale“. La politica economica su cui si basa punta a “comprare il voto degli elettori di oggi con i soldi dei cittadini di domani“.
Il giudizio tranchant è dell’ex premier e commissario europeo Mario Monti, che dalle pagine del Corriere della Sera non risparmia critiche alla manovra di cui Matteo Renzi ha presentato i contenuti con “25 tweet” ma il cui testo definitivo di fatto è ancora in fase di stesura.
Ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, come chiesto da Bruxelles, avrebbe effetti molto più positivi per la crescita, rendendo l’economia “più competitiva e capace di creare lavoro anche per i giovani”, spiega Monti, ma “i moltissimi che ne beneficiano non colgono così chiaramente a chi devono essere grati al momento del voto“.
Per di più finanziare la detassazione del lavoro “tassando un po’ di più il patrimonio” sarebbe stato impopolare, anche se la patrimoniale “c’è nella gran parte degli altri Paesi”.
L’economista e presidente della Bocconi, che durante il suo anno e mezzo a Palazzo Chigi ha varato manovre fiscali lacrime e sangue, ora si allinea con la minoranza del Pd secondo cui la ex finanziaria favorisce soprattutto i più ricchi assecondando “gli animal spirits imprenditoriali più con la rimozione di tasse e regole che con lo stimolo a una forte e rigorosa concorrenza e effettive liberalizzazioni“.
E auspica che la Ue “svolga fino in fondo il proprio ruolo di sorveglianza“, non concedendo all’Italia tutti gli oltre 13 miliardi di “flessibilità ” sul deficit richiesti, perchè “si tratterebbe di un’autorizzazione ottenuta dall’Europa perchè lo Stato italiano possa essere un po’ meno rispettoso verso i cittadini italiani di domani”.
Infatti, ricorda Monti, “la disoccupazione giovanile di oggi è in gran parte il frutto delle politiche del debito degli anni 70 e 80. Sui giovani di oggi sono ricaduti gli oneri di allora”
Sole 24 Ore: “Pressione fiscale invariata, non riduce prelievo nonostante aumento deficit”
E la storia rischia di ripetersi, visto che, come evidenziato anche sabato su Il Sole 24 Ore da un altro economista ed ex rettore della Bocconi, Guido Tabellini, “le decisioni difficili sulle coperture sono rimandate al futuro” attraverso nuove e pesantissime clausole di salvaguardia (aumenti di Iva e accise che scatteranno nel 2017 a meno che il governo non intervenga l’anno prossimo) da 36 miliardi nel biennio 2017-2018.
Quanto alla spending review, quella “vera e propria si riduce a 4 miliardi”. Il resto sono “tagli lineari alle regioni e alla sanità ”.
Un quadro che rende “facile prevedere che gli obiettivi di disavanzo e rientro dal debito saranno mancati“.
Domenica, sempre sul quotidiano di Confindustria, un editoriale del sociologo esperto di statistica Luca Ricolfi afferma poi che la manovra annunciata dal premier come “espansiva” lascerà “sostanzialmente invariata” la pressione fiscale perchè “le promesse cancellazioni e riduzioni, come il mancato aumento dell’Iva (che non è una riduzione di tasse, ma una rinuncia a aumentarle subito)” si innestano su “32 miliardi di aumenti pianificati”.
Il saldo, scrive Ricolfi, “fa 9-10 miliardi di tasse in più”.
Morale: “Se qualcosa di “sorprendente” c’è in questa manovra è la sua incapacità di ridurre il prelievo nonostante l’ampio ricorso al deficit, misericordiosamente denominato flessibilità Ue”.
Dopo aver ribadito che massicci aumenti di tasse sono evitati solo “chiedendo all’Europa di lasciarci continuare a rimandare il pareggio di bilancio“,
Ricolfi individua poi la “linea di politica economica non dichiarata” che ispira la legge: “Alleggerire la pressione fiscale sui produttori, spostandola sulla collettività , senza modificare sostanzialmente l’ammontare del prelievo complessivo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 2nd, 2015 Riccardo Fucile
PRODI: “ATENE NON SIA LA SARAJEVO EUROPEA”… MONTI: “BERLINO RISCHIA DI CAUSARE UNA RIVOLTA”… LETTA: “DOPO LA GRECIA, RISCHIA L’ITALIA”
Romano Prodi e Mario Monti sono preoccupati per le sorti dell’Europa e della Grecia.
I due ex premier italiani e maggiori rappresentanti in Italia dell’Unione Europea parlano della crisi ellenica in due interviste, il primo a Repubblica e il secondo al Corriere della sera.
Prodi, parlando con Repubblica, non crede all’uscita della Grecia dall’euro: “Comunque vada a finire il referendum, il danno di un’uscita della Grecia dall’euro sarebbe troppo grande. Si troverà un compromesso. Se tutto il mondo, da Obama ai cinesi, continua a ripeterci che bisogna trovare un accordo, vuol dire che c’è il diffuso sentimento di una catastrofe imminente che occorre evitare ad ogni costo (…) Tuttavia l’Europa, se vuole salvarsi, deve dotarsi immediatamente di una forte autorità di tipo federale, altrimenti sarà votata al fallimento”.
“Proprio perchè la crisi è così piccola, un fallimento sarebbe clamoroso. Una istituzione che non riesce a governare un problema minuscolo come la Grecia che fiducia può dare sulla sua capacità di gestire un problema più grosso? Oggi non è all’orrizzonte, ma tutti sappiamo che , prima o poi, arriverà .Un non compromesso è un evento impensabile. Voglio vedere come Merkel, Juncker o Lagarde possono prendersi la responsabilità di lasciare la Grecia fuori dall’euro. Certo, l’irrazionalità della Storia è sempre in agguato. Anche la Prima guerra mondiale scoppiò per un piccolo incidente. Ma voglio sperare che Atene non sia la nostra Sarajevo.”
In un intervista al Corriere della sera, mostra la sua preoccupazione anche l’ex premier Mario Monti.
“Il negoziato continua – afferma -. È in evoluzione ora per ora. La posizione del governo greco, per quanto disordinata, sta cambiando: Atene è disposta ad accettare più cose di prima. E nell’Eurogruppo c’è una vasta disponibilità a riprendere in esame il dossier. Il tentativo è offrire a Tsipras qualcosa di più, in modo da indurlo a passare dal no al sì al referendum. È possibile un accordo su basi diverse dal passato: meno privatizzazioni, meno disagio sociale, una lotta più forte all’evasione e alla corruzione. Tutti i sondaggi indicano che il sì è in rimonta. E che la grande maggioranza dei greci, tra il 70 e l’80%, non vuole il ritorno alla dracma. Io, oltre a un grande amore, ho una grande fiducia nel popolo greco.”
Sull’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro, Monti dice: “Come ha detto Draghi, sarebbe un’esperienza del tutto nuova per tutti. È difficile prevedere le reazioni dei mercati, se venisse meno la certezza dell’irreversibilità della moneta unica. Qualcuno potrebbe avere la tentazione di scommettere contro altri Paesi (…) Non sarebbe l’Italia l’anello debole della catena. Spagna e Portogallo sono messe peggio di noi, che pure abbiamo un rapporto debito pubblico-Pil più alto. Ma pensiamo piuttosto a evitare questo scenario”.
“La Merkel – dice l’ex premier – vince solo se tiene la Grecia dentro l’euro e favorisce l’accordo finale. Se invece si avesse la sensazione che la Merkel e Schaeuble non hanno voluto l’accordo, in Europa ci sarebbe una rivolta degli spiriti, un tumulto delle anime: uno scenario drammatico, per l’Europa e per la Germania.”
Sulla questione greca interviene anche l’ex primo ministro Enrico Letta, con un’intervista al quotidiano Avvenire.
“Un accordo fra la Ue e la Grecia va perseguito a ogni costo. Perchè una rottura costerebbe almeno 10 volte di più di qualunque intesa. E – attenzione – il costo maggiore sarebbe proprio per l’Italia”.
Letta sottolinea: “L’uscita della Grecia dall’euro sarebbe l’inizio del declino per il disegno europeo. Un declino irreversibile. Non vedo come si possa far uscire questo Paese e procedere tranquillamente facendo finta di nulla”.
Secondo Letta “una rottura avrebbe un costo almeno 10 volte maggiore di qualunque intesa. E il costo sarebbe più grave proprio per noi”, “la nostra esposizione verso la Grecia è la maggiore in rapporto al Pil, più anche di Germania e Francia” e “un default avrebbe un impatto sul deficit che ci farebbe sballare i conti, ci obbligherebbe a una manovra correttiva e particolarmente rigorosa per scongiurare l’idea che il prossimo, potenziale bersaglio della crisi dell’euro siamo noi”.
Inoltre “vedremmo sfumare in un sol colpo gran parte delle 5 condizioni – petrolio basso, cambio buono, bassi tassi d’interesse, più l’Expo e il Giubileo – di quella insperata congiuntura malgrado la quale assistiamo a una ripresa ancora stentata. Come in un gioco dell’oca torneremmo alle condizioni del 2012. E apriremmo a un’autostrada per l’affermarsi sempre più netto dei populismi nella politica”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 15th, 2015 Riccardo Fucile
“NON AVREI ERETTO BERLUSCONI A CO-FONDATORE DELLA REPUBBLICA, CHE MESSAGGIO DAI AI CITTADINI? CHE UNA CONDANNA PER FRODE FISCALE SIA UN PECCATO VENIALE?”
«Mi divertiva l’idea di farmi dei biglietti da visita con scritto “Mario Monti. Ex senatore a vita”. Poi non hanno abolito nè il Senato nè i senatori a vita…».
Nel suo ufficio alla Bocconi, l’ex presidente del consiglio, ex leader di Scelta civica, ex predestinato al Quirinale, è un ex di ottimo umore.
Qualche sassolino nelle scarpe, però, gli è rimasto: «Il loden! Alla fine era diventato una specie di simbolo spregevole. Cosa avrà mai, il loden! Finchè, con l’elezione di Mattarella, c’è stato un revival. Anzi, una contrapposizione fra loden: il suo, positivo, e il mio, negativo. Un tweet diceva: Mattarella è così sobrio che porta i loden usati di Monti…».
A Bruxelles no, il suo loden non è malvisto: «Vado spesso perchè presiedo la commissione per la riforma del bilancio Ue, che oggi ricorda un mercato delle vacche».
L’ha pagata cara, l’identificazione con l’Europa
«Fu una scelta. Piuttosto che prendesse certe decisioni la troika con la brutalità che si è vista in Grecia era meglio le prendessimo noi. Con tutti i rischi di impopolarità . Parliamoci chiaro: la troika è una forma di neocolonialismo… L’astio contro la Ue sarebbe stato incontenibile. Mi dicevo: “Tu passi, l’Europa resta”».
Insomma, fece da parafulmine?
«Sì. L’”Italia europea” è sempre stata la mia vocazione. Da opinionista, da professore, da commissario. Ed è stato un complotto del destino…».
Allora c’è stato, il complotto!
«Del destino: mi sono trovato lì, in quel momento, col mio bagaglio europeo, i miei rapporti europei… Era quasi fatale che mi chiamassero».
E l’altro complotto? I poteri forti, la troika, le banche…
«La troika, se permette, sono stato io a tenerla fuori. Sui giornali del 15 novembre 2011 c’era una frase di Alfano da rileggere: “Gli impegni assunti con l’Europa rappresentano il caposaldo del nostro appoggio”. Rivendicavano che il mio era anche il “loro” governo. Vuol saper la più bella?».
Dica.
«Quando andai da Berlusconi fu gentilissimo. Era assolutamente consapevole che la situazione fosse ormai insostenibile. Lì ci fu il ricciolo».
Quale ricciolo?
«Mi disse: “Vorrei agevolarla: si prenda, tranne me e Tremonti, tutto il mio governo”».
Un subentro…
«Chiavi in mano. Vedesse la faccia di Alfano e Letta! Basiti. Risposi: veramente non credo sia il mio mandato… Ci davamo ancora del lei. Passò al tu il giorno del rito della campanella e del passaggio delle consegne. Fu simpaticissimo. Mi riempì di cravatte».
A pois…
«Miste. Belle. Mi ero fatto inizialmente, una lista. C’erano, Gianni Letta (non alla Giustizia), Amato agli esteri (entusiasta), Ichino al lavoro… C’era perfino Brunetta… Poi sui politici scattarono i veti…».
Ma Berlusconi visse il governo anche come «suo».
«Certo. Con alti e bassi. Ma era “dentro”. Ogni tanto lo sentivo. Quando dissi di no alle Olimpiadi mi spiegò: i miei ti daranno torto ma hai ragione tu: meglio non prendere impegni, oggi».
E per quelle «renziane» del 2024?
«Anche Renzi, allora, avrebbe detto no».
A farla corta, è lei a dirsi tradito dal Cavaliere.
«Bisogna tornare all’autunno 2012. E alla accelerazione sulla corruzione. Ero certo che, in vista delle elezioni, c’era un solo provvedimento su cui non potevano dirci no: la lotta alla corruzione con la norma “Parlamento pulito”. Chi avrebbe osato schierarsi contro?».
Invece osarono…
«No: cambiarono cavallo. Non potendo sparare contro l’anticorruzione, a destra scaricarono la rabbia sulle scelte economiche che pure avevano votato. L’ha letta la Stampa sull’incontro del Cavaliere coi sindacati di polizia? Leggo: “Tremonti ha tentato un golpe contro di me” e “già da parecchio lavorava per diventare premier”. Fatemi capire: quanti golpe ci furono?».
Le pesa, l’accusa?
«Dice anche, in quello sfogo, che se io fossi andato con lui come mi aveva proposto sarebbe cambiato l’esito delle urne. “Invece Monti alle elezioni andò da solo e la storia della politica italiana è cambiata”».
Insomma, senza di lei Berlusconi sarebbe al Quirinale.
«Probabile. Ma non volevo fermare lui: volevo impedire che tutti i nostri sforzi fossero vanificati dalla vittoria di una delle due coalizioni dove nessuno avrebbe avuto il fegato di proseguire nel risanamento. Non volevo che l’Italia deragliasse e che di lì a pochi mesi arrivasse proprio la troika. Del resto c’è chi ha scritto che sarei stato il premier più di sinistra di sempre…».
Addirittura…
«Non andrò mai più a elezioni e possiamo dirlo: ho fatto l’unico pezzo di patrimoniale possibile. Sulla casa. Lo stesso Morando l’ha riconosciuto: “Noi di sinistra non abbiamo mai avuto il coraggio, poi è arrivato Monti e l’ha messa, poi Letta e l’ha tolta”».
Era una condizione capestro di Berlusconi…
«Sì. Ma una grande coalizione ha senso per chiedere ai partiti di “dare” qualcosa in più, non per regalare il mantenimento di “immantenibili” promesse elettorali… Cercai di dirlo, a Letta. Ma non potevo mordere: i “miei” capigruppo non erano già più montiani…».
Fatto sta che lei piantò il suo partito.
«Per forza. Feci un comunicato cauto sulle cose che non andavano nella politica economica di Letta e sull’Imu. E 12 senatori, contro di me, dissero che Letta andava sostenuto sempre e comunque. Avendo io un po’ di dignità …».
L’ammetta: Scelta Civica è stata una delusione.
«Sì. Ma non il risultato elettorale. Con il 10% ha impedito che l’Italia deragliasse».
Valeva la pena fare asse, come si disse, con «vecchi rottami» come Casini e Fini?
«Sì, la critica più diffusa fu quella. Loro, però, erano stati i più fedeli sostenitori del governo…».
Col senno di poi era meglio andare da solo, con il suo manipolo di professori?
«La delusione l’ho avuta sia da politici stagionati sia da tanti neofiti».
Ne valeva la pena?
«Per il paese sì, per noi non so. La persona che più di me l’ha pagata cara, fino ad essere dileggiata, è stata Elsa Fornero. In tutto il mondo la sua riforma è vista come “top class”. Senza di essa, Letta e Renzi si sarebbero dovuti dannare».
E gli esodati: un infortunio?
«Pesarono molte cose. Ma non basterebbe un’intervista intera su questo tema. Mi lasci solo dire: è stata anche montata molta panna. Senza quella riforma le pensioni non sarebbero state toccate, ma lo Stato avrebbe smesso di pagarle».
Dice Brunetta che lo spread sarebbe calato lo stesso…
«Eh eh… La Bce nel 2011 comprò un sacco di titoli nostri ma lo spread schizzò lo stesso da 120 a 545. Semmai avrei voluto fare di più sul lavoro».
Il famoso Jobs act di Renzi?
«Ecco, l’avremmo fatto noi. Se avessimo avuto Renzi e non Bersani, degna persona ma troppo condizionato da sinistra. Non avevamo voti. Dovevamo andarli a cercare».
La coglie mai il pensiero «oggi potrei essere sul Colle»?
«Mi fa piacere che tanta gente lo pensi. Devo dire: sarei stato davvero stupido, se non l’avessi messo in conto. Fu una scelta. Dovevo farla. E non è vero che ho perso…».
Non dirà che ha vinto…
«Cos’è la vittoria? E la sconfitta? Certo, ragionando coi vecchi schemi ho perso. Ma grazie a noi abbiamo avuto la conferma di Napolitano, due governi che non hanno deragliato… Anche se rimprovero loro due cose populiste. L’Imu a Letta e gli 80 euro a Renzi. Io avrei messo tutti quei soldi a riduzione del costo del lavoro».
Umberto Veronesi ha detto: “Come ministro non ho potuto fare granchè”…
«A noi, semmai, rinfacciano d’aver fatto troppo… I nostri problemi si devono al fatto che i governi, per decenni, han detto troppi “sì”. Sono stati “troppo buoni”».
E voi troppo cattivi?
«Io direi necessariamente severi. Certo, avremmo dovuto forse fare più “didattica”, spiegarci meglio…».
Non è la sua arte…
«È vero. Non è la mia arte. Le risposte serie richiedono tempo Di più: sono diffidente sul mito di Twitter e della “narrazione”. Fra lo “storytelling” e il contar storie il confine è sottile…».
È una frecciata a Renzi?
«No, no. Ripeto: avrei dato più peso all’economia. Non vorrei che concentrarci su altre riforme distraesse da cose più importanti. Perchè ero perplesso sul patto del Nazareno? Perchè in vista di un beneficio teorico si è trattato con una persona condannata in via definitiva per frode fiscale».
Non ci avrebbe parlato, lei, con Berlusconi?
«Parlato sì. Ma da qui ad erigerlo a co-fondatore di una nuova repubblica… Che messaggio dai ai cittadini? Che una condanna per frode fiscale sia un peccato veniale? Questo mina il nostro sviluppo economico e civile molto ma molto più di quanto si immagini…».
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera“)
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Febbraio 8th, 2015 Riccardo Fucile
ELETTO SEGRETARIO ZANETTI, RENZI CONVITATO DI PIETRA… ANCHE DELLA VEDOVA SE NE VA, MA NON LASCIA LA POLTRONA
Non si parla che di lui.
Chi lo nomina e chi non pronuncia il suo nome, ma il convitato di pietra del Congresso di Scelta Civica è Matteo Renzi, che ha già portato via con sè otto senatori e ora vorrebbe ospitare nel Pd anche tutti i deputati.
Il partito, che il premier pochi giorni fa aveva considerato estinto, oggi prova ad alzare la testa mostrando un cartello con scritto “Keep Calm and love Scelta Civica”.
Una sorta di pace e amore all’indomani della transumanza.
In platea tutti abbracciano il quadrato di cartone con stampate lettere blu, lo tengono tra le mani un po’ per conforto e un po’ per mostrare che, anche se privi di gruppo al Senato, si esiste ancora.
Un altro delegato indossa invece una maglia con stampati il cartello di divieto di transito e la scritta “Stop al trasformismo”.
Segno che altre fuoriuscite potrebbero essere dietro l’angolo.
Il responso del primo Congresso di Scelta Civica, qualcuno pensa sia anche l’ultimo, lo evoca Arturo Scotto di Sel (tra gli invitati presenti in sala) nel suo discorso: “Era da tempi lontani che non si sentiva urlare in questo modo il nome ‘Enrico, Enrico’”.
Ma quello era il Pci ed era tutta un’altra storia.
Oggi si parla di Scelta Civica, un partito sull’orlo dello scioglimento, affetto da transumanza, che elegge con un quasi plebiscito (384 voti, 93%) il nuovo segretario, appunto Enrico, non Berlinguer ma Zanetti.
È da lui che il partito, simulacro dell’illusione montiana, vuole ripartire con l’intento di sopravvivere.
L’idea è quella di andare sui territori ed essere un soggetto politico un po’ di governo e un po’ di lotta, un po’ maggioranza ma non tecnici del Pd.
Di quel Pd che invece viene accusato di aver lanciato “una opa su un partito alleato”. Dunque “Sc ricomincerà a far politica fuori dal Palazzo”, promette Zanetti, che pensando ai cambi di casacca ricorda il film “L’invasione degli ultra corpi”: i senatori andati via “sembravano come noi, sembravano di Scelta Civica, invece erano del Pd. Forse un gruppo al Senato non lo abbiamo mai avuto”.
Gli sfidanti di Zanetti erano Luciana Cazzaniga e Benedetto Della Vedova. Quest’ultimo, in minoranza, ritira la mozione nella quale sosteneva che non ha senso che “un partitino”, come Scelta civica, vada sui territori, per poi restare isolato. Dovrebbe invece lavorare “per aggregare”. Altrimenti, se si desidera “rilanciare un partitino, si decide di stare all’opposizione, ma io – dice – resto convintamente in questa maggioranza. Il premier, arrivato in modo un po’ sgarbato rispetto al mio amico Letta, è un leader potente che sta giocando la sua leadership in Europa. Il Pd non è il mio partito ma Renzi è il mio presidente del Consiglio”.
In pratica, il sottosegretario agli Esteri è l’unico a giurare fedeltà al premier, pur sottolineando che al Senato, dopo la chiusura del gruppo di Scelta civica, andrà al Misto con Mario Monti e non confluirà nel Pd, come gli altri otto.
Ma il passo – maligna qualcuno in sala – potrebbe essere breve.
Il partito targato “Zanetti-Keep Calm and love” immagina invece una terra di mezzo. La stessa terra di mezzo di cui parla Gaetano Quagliariello, anche lui tra gli ospiti. “Visto che abbiamo un problema comune, cioè quello di come stare al governo – dice il coordinatore di Ncd rivolgendosi ai delegati Sc – leghiamoci con un patto di consultazione e lavoriamo a una terra di mezzo, che invece Renzi e Salvini vogliono cancellare”.
Tuttavia Ncd in queste ore sta giocando la sua personalissima partita con Renzi per un nuovo patto di governo e come andrà a finirà si vedrà .
Nella terra di mezzo, comunque, potrebbe trovare spazio anche Corrado Passera, leader di Italia Unica, presente in sala.
Al Congresso di Scelta Civica si fa notare l’ex 5Stelle Paola Pinna e chissà se, nei vari spostamenti parlamentari, il partito di Zanetti non si stia attrezzando per accogliere qualche transfuga.
Matteo Renzi invece non invia alcun messaggio in terra nemica pur alleata, ma manda la responsabile Enti locali del partito Valentina Paris, la quale prendendo la parola, subito dopo una serie di interventi contro chi ha fatto campagna acquisti in Sc, esordisce così: “Arriva il cattivo Partito democratico…”.
Poi, scendendo dal palco, ai cronisti sussurra: “Se i senatori sono venuti da noi è perchè siamo accoglienti”.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 7th, 2015 Riccardo Fucile
“SCELTA CIVICA” DEVE CONTINUARE, ANDARSENE 48 ORE PRIMA DEL CONGRESSO E’ DI CATTIVO GUSTO”
«Trovo tutto questo, come dire?, di cattivo gusto»
Onorevole Alberto Bombassei, titolare della Brembo (sistemi frenanti), vicepresidente di Confindustria, dirigente di Scelta civica, il partito di Mario Monti: ce l’ha con gli otto colleghi che hanno scelto il Pd?
«Per me, una sorpresa totale. Con tutto il rispetto e l’amicizia, fare questa scelta quarantotto ore prima del congresso di Scelta civica! Ci sono rimasto male. Ma non sono gli unici fuori luogo».
Anche Matteo Renzi?
«Noi abbiamo appoggiato il suo governo in modo trasparente e lui l’altra sera in tv ha detto: “Non so se Scelta civica esiste ancora…”. Renzi ha un atteggiamento guascone, sprezzante nei confronti delle rappresentanze politiche minori. Delega ogni riforma a una “maggioranza bullesca”»
Perchè gli otto suoi colleghi hanno guardato verso il Partito democratico?
«Molti di loro sono politici di professione, spero non siano condizionati da uno spirito conservatore, anche della loro posizione. Li stimo e mi rifiuto di pensare che ci sia opportunismo».
All’interno del grande Pd conteranno più di adesso?
«Più ci si diluisce e meno si conta: è una legge della fisica».
Lei, invece, andrà domani al congresso di Scelta civica (ciò che ne resta)?
«Andrò al congresso. Non salto da un posto all’altro per mantenere la poltrona. E spero che domenica si decida di andare avanti con il progetto di Mario Monti : una casa comune per liberali, riformisti, cattolici e laici»
Nonostante i sondaggi che vi danno intorno all’1 per cento?
«Penso che dobbiamo rinegoziare la nostra presenza nella maggioranza di governo: nessuna obbedienza cieca a chi dice di schiacciare il bottone rosso o quello verde. Se questo non è possibile, ripensiamo pure tutto, a 74 anni non ho velleità di fare carriera politica»
Quali contenuti dovreste portare al governo?
«Il problema è la disoccupazione. Renzi ha fatto molto per il lavoro, ma se si vuole mantenere l’Italia un Paese industriale si deve ridurre il costo del lavoro e quello dell’energia, vanno defiscalizzate le nuove attività industriali»
Lei è anche favorevole al recupero della «concertazione» con Confindustria e sindacati?
«Renzi è il primo presidente del Consiglio deciso a sostenere cambiamenti senza il condizionamento nè di Confindustria nè del sindacato. Ma non riconoscere a questi organismi il ruolo di rappresentanza è un eccesso di opportunismo politico: genera risentimenti e rischia di lasciare macerie».
Lei restò molto colpito dal messaggio di Renzi a Letta: «Enrico stai sereno», poco prima di prenderne il posto a Palazzo Chigi.
«I vertici di Scelta civica avevano da poco rinnovato la fiducia a Enrico Letta… Nel nostro mondo, non politico, questo comportamento non è ben considerato. Scrissi a Letta una lettera di scuse».
Ci sono errori che lei può imputare a Monti?
«Ha scelto l’impopolarità nel nome del bene del Paese. Monti non aveva il fisico, lo stomaco per digerire critiche ingiuste che nell’altro mondo, quello dell’economia e dell’impresa, non sono così comuni».
L’alleanza con Luca Cordero di Montezemolo è presto finita.
«Montezemolo rappresentava un pezzo di Paese importante, era appena stato un buon presidente di Confindustria. Certo, al momento di candidarsi, fece un passo indietro…».
La storia di Scelta civica è il fallimento dell’impegno della società civile in politica?
«In qualche modo io mi sento respinto dal mondo politico. Non ci si improvvisa politici, ma i politici non possono improvvisarsi finanzieri o economisti: si poteva e si doveva fare squadra in modo equilibrato».
Lei è stato uno dei finanziatori di Scelta civica. Che cifra ha investito? È pentito?
«Non ho impegnato cifre trascendentali, sono restato al livello di altri imprenditori. No, non sono pentito, credevo nel progetto».
Non è stato molto presente in Parlamento, intorno al 30 per cento delle sedute.
«Cerco di esserci quando mi sembra utile. E quando ci sono sto attento, mentre la maggioranza dei deputati fa i fatti suoi al computer. Potrebbe essere più efficiente il lavoro là dentro, grandi sono le perdite di tempo».
Andrea Garibaldi
(da “il Corriere della Sera“)
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Febbraio 7th, 2015 Riccardo Fucile
NON PRODUSSE MAI QUELL’EQUITA’ E CRESCITA CHE AVEVA PROMESSO, MA CON LUI L’ITALIA RITROVO’ UN POSTO NEL MONDO E CI LIBERO’ DELLA NARRAZIONE MORALE DEL BUNGA BUNGA
Entra nel Pantheon italiano dei magnifici fallimenti o, se preferite, degli sconfitti vincenti il senatore a vita Mario Monti.
Abbandonato da tutti i parlamentari di Scelta Civica torna nel suo ruolo naturale di cavaliere solitario.
E scatena i soliti bulletti, non solo del twitter, che si sentono spiritosi chiamando “Sciolta civica” il suo dissolto partito.
Si accaniscono sul vinto e irridono quel suo famoso loden – lo stile della dignità – al quale invece l’Italia smemorata deve molto.
Monti le ha infatti impedito di cadere più in basso della Grecia, che non aveva la dannazione morale del bunga bunga. E il paese si innamorò del suo loden, non per servilismo, ma perchè non ne poteva più del doppiopetto di Caraceni sopra il girocollo nero.
E accettò anche il rigore commosso ma super accademico della ministra Fornero per disgusto del folclore e della tavernetta che mettevano in scena Tremonti, Sacconi e Brunetta dandosi a vicenda del cretino.
Abituati a tutte le rovine, non ci scandalizziamo certo del piccolo Olimpo di deità minori, da Ilaria Carla Anna Borletti Dell’Acqua Buitoni a Pietro Ichino, da Andrea Romano a Irene Tinagli, da Gianluca Susta a Linda Lanzillotta a Stefania Giannini che, cambiando cavallo, danno un tocco in più di malinconica grandezza al tramonto di un leader che cade senza far rumore.
Entra nell’aristocrazia dei perdenti un altro di quelli che «non ha portato all’incasso il biglietto vincente della lotteria», e vuol dire che ha rifiutato la fortuna, non ci ha saputo fare con il potere, al punto da farsi imprigionare – ricordate? – da Pieferdinando Casini che lo trattava come già aveva trattato il suo maestro Forlani. Casini vestì di doroteismo la famosa sobrietà di Monti, ne fece un “Forlani international” con le competenze di economia che nella vecchia Dc erano limitate al parastato.
Lo convinse infine che un suo partito avrebbe conquistato la maggioranza assoluta. Ingenuità ? Vanità ? Ambizione?
Si sa che il potere sornione modella i caratteri. Caricato di crisma e carisma anche dal Vaticano di allora, dai soliti sognatori di una destra liberale e dai vedovi della Democrazia cristiana, pensò davvero di riparare i torti che la Politica aveva subito e restituirle l’onore, cacciare la casta dal tempio, erigere fortezze alla virtù.
Povero Monti, la “volpe e il lione” hanno imbrogliato e divorato pure lui.
Adesso che è finita, neppure un tremolio di Borsa ha salutato la sua ritrovata solitudine, ed è vero che è ormai abbastanza forte la solidarietà dell’economia e dei partner internazionali ma è anche vero che persino i mercati sanno che Monti ha stropicciato da sè il suo bel loden.
Nè lo spread ha vibrato per il disastro della sua personale ingegneria partitica. E forse tutto cominciò quando anche lui si consegnò ai ruffianesimi che Bruno Vespa riserva a tutti i potenti.
Prima volava solo da Lilli Gruber, che è il massimo dello chic e della sobrietà , soprattutto in collegamento da qualche posto misterioso ma autorevole.
Poi si dissipò nel frequentare tutti gli studi televisivi, perdendovi ogni volta un po’ di stile. E in campagna elettorale si mise addirittura a inseguire Berlusconi: da Vespa promise di abbassare le tasse, dalla Bignardi prese in braccio un cagnolino che chiamò Empy …
Così il loden risultò sempre più goffo e nessuno credette più al suo «obbedisco per spirito di servizio». Come gli altri tecnici, saggi, professori ed esperti italiani anche lui si era fatto contagiare dalla televisione come da un’infezione:
Monti non era come l’Italia aveva immaginato Monti.
E tuttavia rimane vero che quando volava in alto l’Italia attaccò a quelle ali le sue ultime speranze, le sue residue ambizioni, la voglia di ripartire verso nuovi approdi. Monti arrivò al capezzale dell’Italia con lo spread che, avendo superato quota 500, era un termometro impazzito e ogni giorno qualche agenzia di rating ci declassava e i commentatori internazionali temevano il contagio ma ridevano del nostro collasso: non ci concedevano neppure la pietà .
Ebbene, Monti fu individuato proprio perchè, come diceva Guido Carli «i mercati hanno una veduta di breve periodo e sono sensibili all’autorevolezza personale di alcune figure» e «per un governo la fiducia è tutto».
E infatti l’Italia con lui ritrovò un posto nel mondo, si liberò di quella nuvola di sudicio che non rimandava più al valore latino della seduzione ma al disvalore dell’impotenza depravata.
Fu questo la famosa sobrietà di Monti: la rivincita della grammatica, della buona educazione, del gusto misurato, della competenza, delle lingue straniere parlate con proprietà , e soprattutto del rigore.
Ma non produsse mai quell’equità e quella crescita che pure il rettore della Bocconi aveva promesso.
Non so se ora che ha consumato tutto, tranne lo scranno solitario da senatore a vita, Monti si senta liberato innanzitutto da se stesso o se invece pensi ancora di essere stato derubato della sua vittoria.
«Non è vero che mi hanno lasciato, io ero uscito già prima di loro» ha detto ieri sera negando l’evidenza dell’abbandono e recitando una solitudine scelta e non subita. Sicuramente mentre si autoesilia «in quel popoloso deserto che chiamano Senato» non merita la derisione ma l’onore delle armi e forse la più bella aria d’addio per un perdente, quella di Mozart: «Soave sia il vento» che se lo porta via.
Francesco Merlo
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 6th, 2015 Riccardo Fucile
PASSANO IN SEI, SOLO MONTI NON TRASLOCA
Debora Serracchiani «non esclude» che la maggioranza di governo possa allargarsi, imbarcare dei “responsabili”.
In attesa del loro arrivo, il gruppo del Pd al Senato sarà “rimpolpato” dall’arrivo, forse già oggi, dei 6 senatori di Scelta civica che domenica celebra il suo congresso.
I montiani, elogiati ieri da da Renzi e invitati ad «un approdo comune», valutano se stringere un patto federativo, sul tipo di quello usato siglato dai democratici e dai radicali nel 2008, o confluire direttamente nelle fila del Pd.
La discussione è aperta anche alla Camera, da dove arriva però lo stop di Enrico Zanetti. «Renzi ci spieghi — dice il deputato — di quali approdi comuni parla. Trovarsi dentro ad un Pd guidato in questo modo deve essere difficile, entrarci su chiamata, demenziale».
Mario Monti, rimasto solo, dovrebbe aderire al gruppo delle Autonomie.
Si delinea così la strategia renziana per rafforzare la maggioranza al Senato.
E sullo sfondo fanno la comparsa i “responsabili”.
La Serracchiani insiste sul concetto che la «consapevolezza che tanti parlamentari hanno acquisito il giorno dell’elezione di Mattarella li renda consapevoli della responsabilità che hanno da qui a 2018».
Si affacciano vecchi spettri. Ma la vicesegretaria del Pd precisa: «Chi appoggerà il governo provenendo da fuori della maggioranza non è uno Scilipoti qualsiasi, sono persone responsabili verso l’Italia».
L’uscita suscita però la reazione di Maurizio Lupi. «Di responsabili il governo Berlusconi è morto.Spero che quella lezione serva» dice il ministro dell’Ncd
Lupi si fa forte del sereno tornato fra Pd e Ncd.
Mercoledì, infatti, c’è stato un incontro fra Alfano e Renzi. E secondo Alfano il colloquio «è stato molto positivo». Ma la fronda interna anti-Alfano non si placa: «Visto che Renzi ci fa la pipì in testa da due giorni, i nostri ministri dovrebbero dimettersi», dice Carlo Giovanardi
Intanto la minoranza del Pd torna all’attacco su Job act e riforme.
Vannino Chiti chiede di cambiare l’Italicum «con o senza Forza Italia». Ma la Serracchiani è perentoria: «I numeri di Fi, necessari nel passato, non credo lo saranno più. Alla Camera l’Italicum passerà nel testo del Senato. Anche sulle riforme abbiamo i numeri».
(da “La Repubblica”)
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