Luglio 12th, 2020 Riccardo Fucile
ALLA RICERCA DI VISIBILITA’
C’è una frase che più di ogni altra sintetizza le ambizioni dei partiti di maggioranza: “Le richieste sono superiori alle disponibilità ”.
Un esponente Pd, in questo slancio di realismo, descrive così l’ansia da Palazzo tipica di questi giorni. In sostanza tutti coloro che sostengono il governo vorrebbero quanti più posti in prima fila, tutti vorrebbero accaparrarsi quante più presidenze delle commissioni parlamentari, ormai in scadenza da giugno.
Presidenze che fanno gola a tanti ed è per questo che “la trattativa è in alto mare”, come ammette chiunque: “Un accordo non c’è”.
Martedì a Palazzo Madama e mercoledì a Montecitorio si vota per affidare gli incarichi. Sono in programma nuovi incontri tra i capigruppo per chiudere il cerchio, ma c’è chi sospetta che la decisione possa slittare a settembre in mancanza di un’intesa tra M5s, Pd, Leu e Italia Viva.
Come è ovvio le poltrone sono ventotto in tutto, tra Camera e Senato, ed è difficile mettere tutti d’accordo.
Qui il manuale Cencelli non basta. Il Movimento 5 Stelle la fa facile: “Sostituiamo i leghisti con gli altri partiti e noi confermiamo tutti i nostri”.
Ragionamento bocciato all’istante. Perchè come fa notare un deputato di Italia Viva: “Non se ne parla. Prima in maggioranza c’erano solo due partiti, ora siamo quattro, noi, M5s, Pd e Leu. Dobbiamo cambiare tutto”. In questa partita si sfogano quindi gli appetiti che non possono essere soddisfatti altrove dal momento che il rimpasto dell’esecutivo non è imminente.
L’Italia è in stato d’emergenza, nella prossima legislatura ci saranno meno parlamentari a sedere in Parlamento ed ecco che le presidenze di commissione diventano una specie di camera di compensazione per avere visibilità .
A Montecitorio attualmente i 5Stelle hanno otto presidenze, fosse per loro rinuncerebbero a una sola di queste. Ma gli altri partiti della maggioranza stanno lottando per far scendere il peso grillino a sei. In questo modo due presidenze andrebbero a Italia Viva, una a Leu, e cinque al Pd. Ma qui subentrano ancora i grillini: “No, a noi sette commissioni e al Pd quattro”. Vengono spalleggiati da Italia Viva: “Il Pd è onnivoro e non è possibile”.
Italia Viva che formalmente ne chiede due, vuole per sè quelle chiave. La potente commissione Bilancio per nominare Luigi Marattin al posto di Claudio Borghi della Lega. E una tra Trasporti, in caso sarebbe affidata a Raffaella Paita, e Giustizia, dove andrebbe Maria Elena Boschi.
Dai Trasporti passano tutti i fondi che post emergenza saranno destinati alle infrastrutture, e dalla Giustizia la grande riforma attesa e mai realizzata. Ancora i 5Stelle: “Non possiamo perdere la commissione Giustizia, guidata ora da Francesca Businarolo, e neanche la commissione Affari costituzionali. Casomai lasciamo a Italia Viva i Trasporti che ora sono in quota Lega”. A trattare sono i capigruppo dei partiti, che venerdì si sono incontrati producendo però scarsi risultati. Il clima era teso, il partito di Renzi è sbottato: “Dovete mollare qualcosa. Noi non siamo presenti nei ministeri. Siamo solo all’Agricoltura e nessuno di noi è al Tesoro, dove ci sono tutti i partiti tranne noi”.
Si passa poi ai desiderata del Pd, vuole cinque commissioni se cede la Bilancio a Italia Viva. Piero De Luca è in pole per la commissione Politiche europee, ora in quota M5s con Sergio Battelli.
Tuttavia avendo quest’ultimo fatto un buon lavoro, i pentastellati non voglio assecondare il cambio. Ambita anche la commissione Ambiente con Chiara Braga, ma nello stesso tempo è possibile che venga a affidata a Leu con Rossella Muroni. Mentre Debora Serracchiani è in corsa per la commissione Lavoro. Un’altra commissione chiave è la Esteri, ora guidata da Marta Grande. Premesso che i 5Stelle, essendo Di Maio ministro, si sono rassegnati a perderla, c’è il Pd che litiga al suo interno. I nomi in ballo sono tre: Minniti, Fassino e Quartapelle. C’è un altro braccio di ferro sempre tra i dem e riguarda la commissione Sviluppo economico. A contendersela ci sono Luca Lotti di Base riformista e Gianluca Benamati in quota invece Dario Franceschini. Ammesso che gli venga data.
C’è poi il valzer del Senato. Qui il Pd vorrebbe sfilare al Movimento due commissioni: la Affari esteri con Roberta Pinotti al posto di Vito Petrocelli e l’Industria con Dario Stefano al posto di Gianni Girotto. Occhi dei dem puntati anche sulla commissione Lavoro dove vorrebbero piazzare Tommaso Nannicini al posto della grillina Susy Matrisciano, ma M5s è pronto alle barricate e Nannicini potrebbe andare invece all’Istruzione.
Italia Viva, se alla Camera ha abbassato le pretese passando da tre a due commissioni, qui non vuole fare sconti: “Vogliamo tre commissioni. Abbiamo più della metà dei senatori del Pd”. La partita sarà molto complessa perchè i 5Stelle pretendono la commissione Bilancio. Leu con Pietro Grasso vorrebbe ottenere la Giustizia, mentre il dem Luciano D’Alfonso potrebbe spuntarla per la Finanze al posto del leghista Alberto Bagnai. Nel frattempo i 5Stelle vivono anche un dramma tutto interno. Nutrono fiducia nei confronti di poche persone e hanno paura di fare un buco nell’acqua come è già successo con Raffaele Trano, espulso poco dopo essere diventato presidente della commissione Finanze della Camera.
Lunedì è in programma un nuovo incontro tra i capigruppo per sbrogliare i nodi. Tra rivalità interne e ambizioni personali, è tutto una partita tra chi vuol pesare di più all’interno del proprio partito e tra i partiti di una maggioranza che scricchiola sempre di più, anche su questo terreno.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 11th, 2020 Riccardo Fucile
SI ARRIVERA’ DRITTI AL 2 LUGLIO 2011 QUANDO INIZIERA’ IL SEMSTRE BIANCO, NESSUNO VORRA’ PERDERE PRIMA LA POLTRONA
Giancarlo Giorgetti, che ha già capito come andrà a finire, si è messo comodo in tribuna. “Se
piove”, spiega, “perlomeno sono al coperto”.
Il suo Capitano, invece, continua a sbattersi sul terreno di gioco tra bagni di folla e comizi, talk-show e sagre del maiale, in uno stato di eretismo propagandistico dispendioso che può durare qualche settimana o qualche mese al massimo, di certo non all’infinito.
Salvini si sta spendendo come se Conte e la sua maggioranza tra poco venissero giudicati (e condannati). Ma c’è un però: di elezioni politiche qui non si vede traccia. Anzi peggio: per una somma di scadenze e di convenienze, qualcuna nobile altre decisamente meno, ci stiamo infilando in un lunghissimo tunnel. Per almeno 18 mesi, con buona pace della Lega, ansiosa di passare all’incasso, è praticamente impossibile che prima del 2022 si torni a votare.
Anzitutto c’è di mezzo il referendum costituzionale che, per far contento Di Maio, pure Matteo aveva sponsorizzato. Doveva tenersi il 29 marzo scorso, causa Covid è slittato al 21 settembre insieme con le Regionali.
Vuol dire che, fino a quel giorno, non sapremo da quanti membri verrebbe composto il futuro Parlamento. Potrebbero essere gli attuali 930 nominati o, se verrà convalidato il taglio, i 600 altrettanto nominati previsti dalla riforma.
Vista l’aria che tira, possiamo tranquillamente scommettere sulla seconda delle due. Ma non si può mai prevedere cosa passa per la testa degli italiani. E comunque il presidente della Repubblica, nel caso in cui Conte inciampando cadesse, certamente tirerebbe il freno: “Prima di tenere nuove elezioni”, direbbe, “facciamo svolgere il referendum, evitando l’obbrobrio di un Parlamento appena eletto e subito delegittimato”. Ragionamento di molto buonsenso cui nessuno potrebbe obiettare, tantomeno Salvini.
Sennonchè poi, una volta timbrato il taglio di deputati e senatori, sarà necessario tarare la legge elettorale sulla base dei nuovi numeri. Ci sarà una delega apposita. Il governo avrà tempo due mesi per provvedere, e tutto fa pensare che se li prenderà fino all’ultimo minuto dell’ultimo giorno disponibile.
Nel frattempo saremo a fine novembre, con il pensiero già rivolto al Natale, cioè alla data più temuta dai capponi i quali sanno che cosa li attende.
Di capponi terrorizzati sarà pieno il Parlamento perchè, nel caso di elezioni anticipate, gran parte dei nostri onorevoli tornerebbe alla vita di prima. Dunque si formerà una massa di disperati, pronti a qualunque contorsione politica pur di non affrettare il giorno in cui cuoceranno in pentola.
La loro parola d’ordine sarà “resistere, resistere, resistere”. Per quanto tempo? Non tanto: sarà loro sufficiente arrivare al “semestre bianco” che, come la Costituzione prescrive, vieta al presidente della Repubblica di sciogliere le Camere nei sei mesi che precedono la fine del suo settennato.
Così si volle impedire che il Capo dello Stato ricattasse i partiti minacciando “o mi rieleggete o vi mando tutti a casa”. Figurarsi se a Mattarella verrebbe mai in mente di comportarsi così. Tra l’altro sarebbe contrarissimo a ricandidarsi, assicurano i suoi. Però la legge vale per tutti e, nel caso del dodicesimo presidente, il semestre bianco scatterà il 2 luglio 2021 tipo saracinesca.
Dopo quella data Salvini potrà protestare finchè vuole, promuovere manifestazioni sotto il Quirinale e perfino minacciare di buttarsi giù dal Colosseo, ma inutilmente. L’uomo del Colle allargherà le braccia e gli dirà : “Rivolgiti al mio successore, una volta che sarà stato eletto”.
Cioè non prima di gennaio 2022. Passando attraverso tutte le manovre e i mercanteggiamenti che solitamente precedono le elezioni presidenziali.
Un paio di ulteriori considerazioni, suggerite da chi se ne intende. Osserva Gaetano Quagliariello, già ministro delle Riforme, che la finestra elettorale teorica (dal referendum elettorale fino al semestre bianco) è in realtà una finestrella, al massimo una feritoia, uno spiffero, un pertugio. Il motivo? Nella storia d’Italia non si è mai votato durante il semestre bianco; per consuetudine tenere elezioni in quel periodo verrebbe considerato altamente scorretto sul piano costituzionale, e dunque per votare prima del semestre “non bianco ma bianchissimo” Mattarella dovrebbe sciogliere le Camere addirittura a Pasqua.
I fautori delle elezioni, ammesso che ve ne siano, dovranno darsi una mossa. Segnala infine Stefano Ceccanti, giurista “dem”, che gli eventuali congiurati avranno più convenienza a pugnalare Conte dopo il 2 luglio, con la certezza di non causare nuove elezioni, piuttosto che venire allo scoperto prima (e causare elezioni al rischio di venire trombati).
“Chi lo facesse sarebbe politicamente un folle, un aspirante suicida da ricoverare con un Tso”, garantisce Ceccanti. Sarebbe il salto definitivo nella neuro-politica.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 7th, 2020 Riccardo Fucile
14 DEFEZIONI IN SENATO TRA LEU, BONINO, TRE PD, DE FALCO, MANTERO … I RENZIANI MEDIANO E STRAPPANO UN IMPEGNO A RIVEDERE IL MEMORANDUM CON LA LIBIA, ARIA FRITTA
Non c’è pace per la maggioranza di governo divisa tra le sue anime e appesa alla croce dei numeri.
Chiuso un fronte, se ne apre un altro. Alta tensione per tutto il giorno sul rifinanziamento delle missioni internazionali, tra cui la Libia, che a metà pomeriggio — tra incontri, conciliaboli e riunioni – è approdato nell’aula del Senato.
Partito sotto pessimi auspici, finito meglio: via libera su tutte le missioni per il 2020, escluso il punto dolente della “formazione e addestramento” dei militari della guardia costiera libica.
Sulla “scheda 22” la maggioranza perde pezzi: si ferma a quota 142 con 14 defezioni, 12 di maggioranza e due di opposizione, lontana dalla maggioranza assoluta, e perde per strada Leu. Però respira: non va sotto, non ha bisogno della stampella del centrodestra.
Alla fine i no sono 3 in casa Pd (Verducci, D’Arienzo, Valente), 6 Leu (De Petris, Grasso, Errani, La Forgia più Ruotolo e Nugnes), il grillino Mantero, poi De Bonis e De Falco, Martelli ed Emma Bonino.
Il fatto è che del pacchetto faceva parte, appunto, il rinnovo dell’accordo con la guardia costiera libica. Un punto dolente — quello delle navi di migranti intercettate al largo delle coste sahariane con i passeggeri riportati nei centri di detenzione, dove il rispetto dei diritti umani è una chimera e si spengono le luci degli osservatori internazionali e delle Ong.
Un punto che rischia fino all’ultimo di provocare un terremoto politico. E di scatenare, sull’esecutivo, la tempesta perfetta. Oppure, lo spauracchio dell’aiuto del centrodestra — da FdI, Lega e Fi il sì alle missioni è netto. Un’alternativa peggiore dell’altra.
Poche ore prima, la relazione sullo stesso tema è passata quasi all’unanimità in commissione Esteri e Difesa di Montecitorio con l’astensione di Laura Boldrini e dei renziani.
Spiega Gennaro Migliore di Italia Viva: “Siamo totalmente d’accordo con le missioni internazionali, compresa quella in Libia, ma non possiamo dare soldi alla loro guardia costiera. Non possiamo ignorare le tante denunce a loro carico”.
Per tutto il giorno si rincorrono le voci sui malumori intorno al “pacchetto libico”.
Leu preannuncia la richiesta di votare il testo per parti separate. Lo chiedono nell’emiciclo Loredana De Petris, rammentando “le torture e le violenze contro le donne” ed Emma Bonino.
Il pallottoliere lievita fino a 16 possibili defezioni. Si spacchetta il testo in due risoluzioni: una sulle cinque nuove missioni e una sulla proroga di quelle vecchie — Libia compresa — su cui si accendono i riflettori.
In aula Francesco Verducci motiva il suo no: “Finanziare la guardia costiera libica nuoce alla reputazione e all’autorevolezza dell’Italia”.
Emma Bonino è appassionata: “Non costringetemi a lasciare l’aula per non votare tutto insieme, ci sono missioni che sostengo. Ma “mare sicuro” è un’espressione macabra. Non esiste la guardia costiera libica, esistono le milizie. Serve un reset dei nostri rapporti con la Libia”.
La mediazione si profila sotto forma di un ordine del giorno dei renziani, messo a punto da Laura Garavini, che impegna il governo a modificare il memorandum con le autorità libiche del 2017 “nella direzione del rispetto dei diritti umani e della maggiore presenza delle organizzazioni internazionali” anche nei centri di accoglienza dei migranti. Insomma, una potenziale via d’uscita dall’impasse. Passa, ma non compatta Leu.
Finisce a sera. La maggioranza dopo aver traballato resta in piedi.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 6th, 2020 Riccardo Fucile
DOPO LA MARATONA OSTRUZIONISTICA DELLE OPPOSIZIONI, 145 VOTI A FAVORE E 122 CONTRO
L’aula della Camera ha approvato con 145 voti a favore il decreto sulla scuola. I contrari
sono stato 122. Non è riuscita quindi la maratona delle opposizioni per fare ostruzionismo in Parlamento contro il provvedimento.
Obiettivo della Lega e degli altri partiti era quello di far decadere il decreto, cosa che sarebbe avvenuta domenica, e lanciare poi una richiesta di dimissioni contro la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina.
La decadenza del decreto avrebbe, tra l’altro, fatto saltare gli esami di maturità , che vengono disciplinati in modalità Covid proprio dal decreto.
Da giovedì pomeriggio, dopo il voto di fiducia incassato dal Governo, era iniziato l’ostruzionismo sugli ordini del giorno, i documenti di indirizzo sull’applicazione del decreto.
Di qui la decisione della maggioranza giovedì a mezzanotte di ricorrere alla seduta fiume, vale a dire senza interruzioni, tranne quelle ogni tre ore per sanificare l’Aula.
I lavori sono dunque proseguiti tutta la notte e tutta la giornata di venerdì e poi nella notte fino al voto finale. L’ostruzionismo ha portato a momenti di grande tensione in Aula a Momnteciorio, con la sospensione della seduta quando i leghisti hanno innalzato un striscione con su scritto “Azzolina bocciata”.
â€³È un provvedimento nato in piena emergenza che consente di chiudere regolarmente l’anno scolastico in corso” commenta la ministra Lucia Azzolina dopo il via libera. “Il testo è stato migliorato durante l’iter parlamentare grazie al lavoro responsabile della maggioranza di governo. Con l’obiettivo di mettere al centro gli studenti e garantire qualità dell’istruzione. Ora definiamo le linee guida per settembre, per riportare gli studenti a scuola, in presenza e in sicurezza”.
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2020 Riccardo Fucile
LETTERA DI DIFFIDA ALL’UFFICIO DI PRESIDENZA DELLA CAMERA: “RIVEDERE IL TAGLIO SPROPORZIONATO AGLI ASSEGNI”
Gli ex parlamentari battono cassa alla Camera: vogliono che venga ridotto il taglio ai vitalizi e inviano una diffida all’ufficio di presidenza di Montecitorio.
La lettera è stata inviata dall’associazione degli ex parlamentari, che contesta la riduzione degli assegni decisa dai vertici di Camera e Senato.
Nello specifico vengono diffidati il presidente di Montecitorio Roberto Fico e ciascuno dei componenti dell’ufficio di presidenza, “responsabili a titolo solidale e personale, a provvedere, in un termine congruo, alla rideterminazione degli assegni vitalizi colpiti dalla delibera n.14/2018”.
L’associazione contesta la decisione presa ad aprile dal consiglio di giurisdizione della Camera, che ha sostanzialmente riconosciuto l’eccessivo peso dei tagli solo per chi non ha altro reddito ed è affetto da gravi malattie, e invita Montecitorio a rendere più leggeri le riduzioni degli assegni di tutti gli ex parlamentari: l’entità media di ogni taglio è del 42 per cento. Sono 1.398 i ricorsi presentati alla Camera.
L’associazione chiede che agli ex eletti alla Camera e al Senato vengano applicato le stesse decurtazioni previste per le cosiddette pensioni d’oro nel comparto pubblico e privato: una riduzione che va dal 10 al 40 per cento. “Non vogliamo essere penalizzati rispetto a qualunque altra categoria di cittadini”.
(da agenzie)
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Aprile 15th, 2020 Riccardo Fucile
CONTE: “INUTILE DISCUTERNE ORA SENZA SAPERE COME VERRA’ ELABORATO TECNICAMENTE E QUALI SARANNO LE CONDIZIONI DEL PRESTITO”
Quando e se arriverà il momento in cui l’Italia dovrà decidere se usare i soldi del Meccanismo europeo di stabilità , sarà il Parlamento a deciderlo.
A una settimana dal consiglio Ue del 23 aprile, Giuseppe Conte resiste alle pressioni del Pd, favorevole a fare ricorso al fondo Salva Stati contro i partner di maggioranza pentastellati che restano contrari.
Il premier, apprende Huffpost da fonti di Palazzo Chigi, ci tiene ad andare avanti nella trattativa per l’istituzione di un fondo di ripresa europeo finanziato con i ‘recovery bond’, titoli di debito comune.
Una trattativa in salita, per i veti dell’Olanda, della Germania e altri paesi del nord Europa. Ma si tratta di un percorso che comunque va fatto fino in fondo, è convinzione del capo del governo, almeno fino al Consiglio della prossima settimana. Quanto al Mes, il dibattito che si è scatenato rischia di indebolire la posizione italiana nella trattativa con gli altri leader Ue sui bond comuni: ad ogni modo, quando sarà il caso, deciderà il Parlamento, dove per ora non c’è una maggioranza sul Salva Stati.
A favore infatti ci sono il Pd, Italia viva, ma non il M5s. E anche l’opposizione è divisa: tra Salvini e Meloni contrari, Berlusconi favorevole.
Conte tenta di posticipare la questione e intanto l’informativa pre-consiglio europeo si svolgerà senza un voto del Parlamento il prossimo 21 aprile. Perchè, ragionano i suoi, la materia diventerà più chiara proprio a partire dal vertice dei leader europei della prossima settimana, non prima.
Lì si capirà se l’idea dei recovery bond va avanti, se il fondo europeo di ripresa chiesto da Italia e Francia ha un futuro e, soprattutto, quale orizzonte temporale abbia: se breve, come chiede Roma, oppure no. Insomma, dal destino dei bond comuni si capirà anche se l’Italia debba valutare il Mes oppure no.
Spiega Conte in un post su Facebook:
Se vi saranno condizionalità o meno lo giudicheremo alla fine, quando saranno concretamente elaborati il term sheet (contenente le principali caratteristiche del nuovo strumento), i terms of reference (che definiranno termini e condizioni della linea di credito) e, infine, il Financial Facility Agreement, le condizioni di contratto che verranno predisposte per erogare i singoli finanziamenti. Solo allora potremo valutare se questa nuova linea di credito pone condizioni, quali condizioni pone, e solo allora potremo discutere se quel regolamento è conforme al nostro interesse nazionale. E questa discussione dovrà avvenire in modo pubblico e trasparente, dinanzi al Parlamento, al quale spetterà l’ultima parola. Prima di allora potremo disquisire per giorni e settimane, ma inutilmente. Per comprendere questo punto, basta tenere presente l’esperienza che molti cittadini fanno quando chiedono un finanziamento a una banca. Negli incontri preliminari, il funzionario illustra genericamente le condizioni del finanziamento, ma quelle che valgono sono le condizioni generali e le clausole inserite nel concreto contratto di finanziamento.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 21st, 2020 Riccardo Fucile
MICHELE NITTI E NADIA APRILE: “DERIVA AUTORITARIA DEL MOVIMENTO”… “MOROSA SOLO PERCHE’ NON VOGLIO VERSARE SU UN CONTO DI ORDINE PRIVATO”
I deputati M5s Michele Nitti e Nadia Aprile hanno lasciato il MoVimento 5 Stelle e formalmente fatto richiesta di aderire al gruppo Misto.
La Aprile era indicata nei giorni scorsi come una dei deputati a rischio espulsione a causa delle rendicontazioni e delle restituzioni mancate. Era anche indicata come una delle parlamentari vicine al ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti.
Nel 2019 Aprile non aveva restituito alcunchè. Domani i probiviri giungeranno ad una conclusione sulle sanzioni ai parlamentari morosi.
La Aprile ha rilasciato alcune dichiarazioni all’AdnKronos dopo l’addio al MoVimento 5 Stelle: “”Non posso nascondere che i fatti che mi hanno visto protagonista nell’ultimo periodo mi hanno seriamente scossa. La situazione in cui mi sono trovata è dipesa esclusivamente da un’inesorabile deriva autoritativa del MoVimento e dalla mancata considerazione in cui sono stata tenuta come parlamentare e, cosa per me ancor più grave, come persona”.
Nitti e Aprile, presentati come candidati della società civile del MoVimento 5 Stelle e quindi scelti personalmente dal Capo Politico Luigi Di Maio, sono stati eletti alla Camera nel collegio uninominale della Puglia. Nitti è direttore d’orchestra e Aprile commercialista.
“Mi ha offeso l’ingiustificato attacco mediatico a cui sono stata sottoposta (venendo dipinta, da quasi tutti gli organi di stampa nazionale, come ‘morosa’ e inadempiente agli obblighi assunti per vili fini personali di natura economica), senza ricevere alcuna tutela da parte del MoVimento, benchè (circostanza ben nota ai vertici), io abbia solo cercato, sin dallo scorso mese di aprile, di avere chiarimenti sull’autoritaria costituzione del ‘Comitato per le rendicontazioni/rimborsi del MoVimento 5 Stelle’ e sull’imposizione di destinare le restituzioni al predetto organo privato, costituito, ad hoc, dopo l’inizio della legislatura”
“Mi ha ancor di più offeso l’aver ricevuto, di tutta risposta, dopo circa nove mesi di silenzio, la comunicazione, inviatami dai probiviri il 13 gennaio u.s., dell’apertura di un procedimento disciplinare a mio carico. Ebbene, dopo aver riflettuto a fondo sull’intera vicenda, ritenendo illegittimo ed infondato il procedimento aperto a mio carico (con il mio comportamento non ho violato nè le previsioni dello Statuto, nè quelle del Codice Etico), ma certa di aver contribuito, con la mia presa di posizione, a rendere pubblici comportamenti di dubbia legittimità , sono giunta alla determinazione di non poter più continuare a militare nel MoVimento di cui, sebbene condivida ancora i principi ispiratori, non mi è più possibile tollerare i metodi. Pertanto ho formalmente comunicato al Presidente della Camera Roberto Fico la mia decisione di lasciare il Gruppo Parlamentare MoVimento 5 Stelle”.
(da “NextQuotidiano“)
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Gennaio 16th, 2020 Riccardo Fucile
LA PACIFICO SMENTISCE, MENTRE CRESCE IL NUMERO DI PARLAMENTARI GRILLINI CHE VUOLE ABROGARE INTEGRALMENTE I DECRETI SICUREZZA
Altri due senatori fuori dal MoVimento 5 Stelle e la maggioranza M5S-PD-IV-LEU diventa
ufficialmente a rischio in Senato.
Il pugliese Lello Ciampolillo, che doveva già essere cacciato per non aver votato la fiducia al governo Conte, verrà messo alla porta perchè non ha intenzione di effettuare le restituzioni.
E intanto un altro fa le valigie: Luigi Di Marzio, dirigente medico molisano – uno dei prescelti dal capo politico per gli uninominali – già propenso a lasciare un mese fa, poi fermato con la valigia in mano, tra i firmatari del referendum per abrogare il taglio dei parlamentari: è ormai deciso, andrà nel gruppo misto.
E in bilico c’è anche Michele Mario Giarrusso.
Racconta oggi Annalisa Cuzzocrea su Repubblica:
Luigi Di Maio e i suoi mostrano indifferenza: continuerà a votare per il governo. Ma è un fatto che il gruppo si assottigli, che le mire della Lega siano manifeste e che ogni mossa – anche le riunioni dei dissidenti guidati da Emanuele Dessì, per quanto poco affollate – abbiano ormai un effetto destabilizzante: sui numeri della maggioranza a Palazzo Madama e sulla tenuta del Movimento nel Paese. Il passaggio della senatrice Marinella Pacifico alla Lega di Matteo Salvini, è smentito dalla stessa interessata. Che a Repubblica dice: «È una baggianata. Non ci ho mai pensato».
Fatto sta che ieri lo davano per probabile i suoi stessi colleghi, per dire di quanto il gruppo sia affiatato.
Da quando l’ex capogruppo Stefano Patuanelli è diventato ministro è scattato una sorta di “rompete le righe” che nessuno è stato finora in grado di arginare.
Ci prova lo stesso capo politico, ma è meno semplice di un tempo. Perchè i gruppi M5S sono davvero divisi su molti fronti. Lo è l’intero Movimento.
Sull’immigrazione, ad esempio, sono in molti a confermare quel che il capogruppo pd Graziano Delrio ha detto a Repubblica: cresce il fronte dei 5 stelle che vorrebbe cambiare per intero i decreti sicurezza di Matteo Salvini, non limitarsi ad aggiustarli seguendo i rilievi del presidente della Repubblica come ha ripetuto in questi giorni Di Maio.
Laura Ferrara è l’europarlamentare che ha seguito il dossier immigrazione e che ha curato il programma M5S sul tema: «Bisogna rivedere profondamente quei decreti, non possiamo più attendere – dice oggi – ho sempre sostenuto che il modo migliore per garantire inclusione sociale, dignità e sicurezza è attuare un’accoglienza diffusa in piccoli centri, peraltro più facilmente controllabili».
E ancora: «Serve potenziare la rete degli Sprar per garantire una migliore gestione dell’accoglienza e potenziare anche le vie legali di accesso all’Ue. È assurdo che oggi l’Europa non offra gli strumenti per esercitare il diritto d’asilo, che pure riconosce».
(da “NextQuotidiano”)
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Gennaio 15th, 2020 Riccardo Fucile
I SENATORI DEL DOCUMENTO CONTRO DI MAIO CHIAMANO A RACCOLTA I PARLAMENTARI PER “CREARE UN’ALTERNATIVA” DENTRO IL M5S
Due messaggi. Uno più diretto, mandato dal deputato Luigi Gallo in cui viene detto “no
alle decisioni prese da altri”, e uno più sfumato, spedito dai senatori. Ma la sostanza non cambia.
I tre senatori Crucioli, Dessì, Di Nicola, che hanno redatto il documento anti-Di Maio e anti-Casaleggio, insieme a Marilotti, Minnino e Gallo, attraverso mail e whatsapp, hanno chiamato a raccolta tutti i parlamentari:
Alle sette in punto una ventina di loro si riuniscono nella sala delle Stelle di Palazzo Valdina. Nei fatti ha preso forma una corrente, strutturata, che chiede di avere voce durante gli Stati generali di marzo.
Il messaggio è chiaro e di rottura, e affatto gradito ai vertici. Da fonti vicine al capo politico la vicenda viene derubricata come “una semplice ricerca di visibilità da parte di qualche parlamentare. Il luogo per discutere sono gli Stati generali, tutto il resto lascia il tempo che trova. Ci siamo abituati…”.
La rabbia tuttavia è tanta e già al mattino sono iniziati i tormenti nel mondo pentastellato: “Partecipare o no alla riunione?”.
Un gruppo di deputati, quando l’incontro di corrente è in corso, confabula vicino l’ingresso del palazzo dei gruppi: “Di Maio dice che non è il momento? Ma quando è il momento? Da mesi diciamo le stesse cose e non è cambiato nulla”.
Tre di loro si staccano e vanno verso il luogo della riunione, dove è da poco arrivato Luigi Gallo, presidente della commissione Cultura, tra le persone più vicine a Roberto Fico: “Oggi inizia un processo democratico che ci porterà agli Stati generali”.
Sta di fatto che nella mail, mandata proprio da Gallo, viene evidenziata la necessità di “arrivare agli Stati generali con un documento condiviso, secondo un metodo partecipato e collegiale”.
Va giocato “un ruolo pro-attivo e non passivo nel nostro Movimento” perchè “abbiamo la responsabilità di pensare insieme a come costruire le basi per il futuro senza attendere che altri decidano per noi. Qualunque contributo è il benvenuto”. Questa è la parte del messaggio più duro, quello che punta dritto ai vertici e contesta le decisioni calate dall’alto.
L’altro, quello inoltrato dai senatori, è più soft e si limita a dire che la riunione di questa sera serve a “scambiare le nostre opinioni sulle eventuali proposte in vista degli stati generali”.
Ed è così che i capannelli di scontenti, che di frequente si vedono nei corridoi di Camera e Senato, si sono trasformati in vere e proprie assemblee di dissidenti grillini. Prima era Nicola Morra, il presidente della commissione Antimafia, a convocare tutti nella sala della commissione Difesa “per parlare di futuro”.
Si contano almeno due o tre riunioni di questo tipo. Ma ora la valanga si è ingrossata e sul tavolo c’è un documento aperto alle firme e al contributo di parlamentari e attivisti. Attorno a tutto questo stanno discutendo tra gli altri i parlamentari Coltorti, Belardini, Auddino, Costanzo, Siracusa.
Intanto è stato creato un indirizzo mail attraverso il quale tutti gli eletti e gli attivisti possono aderire al documento e proporre modifiche.
Nei fatti queste tre pagine chiedono di ribaltare i rapporti di forza all’interno del Movimento 5 Stelle. Un passo indietro di Luigi Di Maio, come capo politico o come ministro degli Esteri, per ricoprire dunque una carica soltanto.
E un organismo allargato, che guidi il Movimento senza più la necessità di avere solo un capo politico.
“Vogliamo creare una proposta alternativa”, dice un senatore che partecipa all’incontro, “e capire che sbocco può avere questo documento”. Di fatto una corrente interna si sta strutturando, che fa il paio con coloro che vogliono seguire l’ex ministro Lorenzo Fioramonti, che ipotizza anche una componente parlamentare autonoma.
Resta aperta ancora la questione delle rendicontazioni, dal momento che la modifica del regolamento non ha accontentato chi non versa i soldi da oltre un anno.
L’idea di continuare a fare i bonifici su un conto privato intestato a Di Maio, D’Uva e Patuanelli, anche se a differenza del passato le eccedenze andranno al fondo del microcredito, non ha spento la ribellione.
E dunque nuove espulsioni potrebbero essere dietro l’angolo.
(da “Huffingtonpost”)
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