CONFCOMMERCIO: “IL 42% DEL REDDITO DELLE FAMIGLIE E’ BRUCIATO DALLE SPESE OBBLIGATE”
“NELLE TASCHE DELLE FAMIGLIE RESTA BEN POCO”
Meno reddito e meno libertà di spesa
La crisi ha intaccato la ricchezza delle famiglie: quella legata al lavoro, ma non solo. Ci sono meno soldi, meno risparmi, meno investimenti e anche gli immobili di proprietà hanno perso valore: è aumentata invece la quota delle spese obbligatorie.
Dopo aver fatto i conti con bollette, affitti, premi assicurativi o spese di trasporto e sanitarie, nelle tasche delle famiglie resta poco.
Troppo poco per far ripartire la domanda interna: ecco perchè nemmeno il bonus da 80 euro del governo Renzi ha prodotto gli effetti sperati sui consumi.
Così spiega un rapporto del Centro Studi di Confcommercio: dal 2007 ad oggi il reddito disponibile per abitante si è assottigliato, dai 20,4 mila euro medi a testa si passerà ai 17,9 di quest’anno.
Stesso andamento per la ricchezza finanziaria e per quella immobiliare.
Ma non solo: negli stessi anni, analizza lo studio, «la libertà di scelta dei consumatori è diminuita» perchè è via via aumentato il peso delle voci di spesa che la famiglia non può tagliare dal bilancio.
Oggi le uscite obbligate assorbono il 42,5% del reddito (vent’anni fa erano il 36,6) e al netto di tale quota al cittadino medio resta una somma disponibile di nemmeno 11 mila euro l’anno.
Cifra in base alla quale deve decidere come vivere, mangiare e vestirsi, quanto spendere per il tempo libero, la formazione e la cultura.
Una libertà sempre più limitata: calcolando tutto ai prezzi del 2014, spiega Confcommercio, solo nel 2006 quella cifra toccava comunque i 13,2 mila euro e agli inizi degli anni Novanta superava i 14 mila.
«In realtà – puntualizza Mariano Bella, direttore del Centro Studi – la riduzione della possibilità di scelta va al di là della crisi di questi ultimi anni. I consumatori hanno cominciato a perdere quote di reddito disponibile per spese non obbligate molto prima, per via delle tante riforme e liberalizzazioni sempre annunciate e mai fatte».
Un gap tutto italiano con il quale continuiamo a fare i conti e che paghiamo sia in termini di competitività che di domanda interna.
Al quadro va aggiunto l’effetto negativo che la crisi ha prodotto sul bene numero uno: la casa di proprietà , che grazie all’andamento negativo delle compravendita e alla tassazione in crescita, ha visto sminuire il suo valore.
Oltre alla perdita di reddito disponibile e alla caduta della ricchezza finanziaria (passati dai 58 mila euro medi del 2007 ai 51 del 2014 pro capite) anche la ricchezza immobiliare ha registrato un tonfo: il valore pro capite superava i 93 mila euro nel 2007, oggi è a 75 mila.
Ecco perchè Confcommercio guarda con molta cautela al lieve recupero di consumi registrato, dopo un periodo di stasi, lo scorso novembre dal suo indicatore interno (più 0,2 rispetto ad ottobre): «Sei mesi consecutivi in cui i consumi hanno smesso di scendere e addirittura registrano un timidissimo segnale positivo indicano due cose – commenta Carlo Sangalli, presidente dell’associazione – la fase recessiva dovrebbe essere terminata, ma il 2015 rischia di essere solo un anno di passaggio dalla recessione alla stagnazione cronica della domanda interna».
Luisa Grion
(da “La Repubblica“)
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