DE LUCA, LA REALTA’ CHE ROMPE IL FORMAT
IL GOVERNATORE E’ SEMPRE PIU’ UNO SCERIFFO SENZA STELLA: LA NARRAZIONE DEL PUGNO DI FERRO S’INFRANGE CONTRO L’EMERGENZA
L’ultima, proprio nelle giornate più drammatiche per la Campania, è il divieto a parlare con i giornalisti, per dirigenti e operatori della sanità pubblica, sui dati epidemiologici. Vietate anche le telecamere negli ospedali, vietato cioè il racconto, la documentazione, l’inchiesta sull’emergenza.
Quelle cose, insomma, che andavano di moda negli anni Venti del secolo scorso, in fondo, lo aveva detto De Luca di essere ben oltre la dialettica “destra-sinistra”, oltre. Provvedimento scritto, poi riscritto, poi revocato, ove veniva stabilito che l’unico riferimento è l’unità di crisi regionale della regione Campania. Per inciso, è praticamente da febbraio che il governatore evita di parlare con i giornalisti.
Questo articolo non è una difesa corporativa, anche se il lockdown dell’informazione rende lecita una vibrante indignazione e anche qualche riflessione sulla doppia morale e il doppio standard (chiudete gli occhi e immaginate se l’avesse fatto Berlusconi, o Salvini).
L’episodio è parte di un racconto, sempre lo stesso, che sembra “colore” ma colore non è, sembra Crozza ma Crozza ma non è, perchè in fondo è De Luca Crozza più di quanto avvenga il contrario nella misura in cui la satira aiuta digerire l’indigeribile con la simpatia. Insomma, è il racconto di un format: lanciafiamme da usare per sgomberare la feste di laurea, pastiere da preparare per non uscire, confini da chiudere, suggestioni indipendentiste, monologhi, paternalismo, l’uno che parla per tutti, in una fase di emergenza in cui la competizione è tra i tanti “uno” che parlano per tutti.
Dicevamo, la narrazione del pugno di ferro, degli attributi, del decisionismo che ha consentito, di fronte al default primaverile del nord, di monetizzare un successo anche in termini elettorali, e poco importa che, tanto un dettaglio non è, il lockdown fu una misura nazionale, prima ancora che campana. Ecco, di un potere che nell’emergenza ha trovato un cemento e una racconto. Il problema è che, al dunque, la realtà prima o poi squarcia sempre il velo di Maya della rappresentazione.
La realtà è l’emergenza, con oltre settecento positivi in un giorno su quasi 10mila tamponi, dunque la “percentuale di incidenza” è piuttosto alta. La rappresentazione squarciata è quella di un modello funzionante e dell’uomo forte come sinonimo di efficienza.
Proprio i tamponi sono un franco disastro, basta vedere le immagini delle file davanti alle Asl di Napoli, con attese di oltre cinque ore. È vero, accade anche in alte regioni però, qui c’è una specificità . E cioè che la Campania è tra le ultime regioni per numero di tamponi rispetto al numero di abitanti: per dare un’idea, in Lombardia se ne fanno tra i 20 e i 30mila.
Le malelingue, di cui il mondo è popolato, ipotizzano anche un uso politico di questo tipo di esami, più bassi ai tempi della campagna elettorale, più alti oggi ma, appunto si tratta di malignità indimostrabili.
È invece dimostrabile che la Campania è la Regione in Italia che spende di più sulla Sanità , delega che il governatore ha tenuto per sè assieme alla Cultura.
Nella relazione dell’Anac depositata a giugno in Parlamento, si legge che la cifra sostenuta per l’emergenza ammonta (riferita alle gare di appalto) a quasi 204 milioni, in relazione al periodo compreso tra il primo gennaio e il 30 aprile. È l’ultimo dato disponibile, ed è solo l’inizio dell’emergenza.
Cioè la Campania ha speso più del Veneto ed è seconda solo a Lombardia, Toscana e Piemonte. La cifra, evidentemente, è nei mesi più complicati dell’emergenza. Però sui tamponi è in sofferenza, così come non è chiara la situazione delle terapie intensive, il cui numero nel piano regionale presentato dalla Regione nel dicembre 2019 ammonta a 621 posti, ma poi nella fase inziale dell’emergenza il numero diventa di trecento posti, secondo le parole di De Luca. Ad oggi l’Unità di crisi regionale parla di 55 posti letto di terapia intensiva occupati e di 108 disponibili, mentre sui posti di degenza sono 550 gli occupati, 665 i disponibili.
Insomma, i numeri non sono chiari. Del conteggio fanno parte i tre famosi Covid Ospital di Napoli, Salerno e Caserta, prefabbricati completi di 72 posto letto, annunciati quasi con le fanfare e tanto di applausi dei cittadini affacciati ai balconi di Ponticelli nei giorni più duri del lockdown. Sulla gara da oltre 15 milioni di euro aggiudicata dalla centrale regionale per gli acquisti, con procedura di urgenza, indaga anche la magistratura: l’ipotesi è di concorso in turbativa d’asta e frode in pubbliche forniture, in relazione alle procedure di aggiudicazione e di esecuzione dei lavori.
Dei tre Covid Hospital solo quello di Napoli è perfettamente operativo, mentre a Salerno e Caserta i lavori sono stati ultimati come opere, ma non c’è ancora niente dentro. C’è stata invece, nel frattempo, una beffa rivelata da una inchiesta di Fanpage, in relazione all’acquisto di 72 ventilatori polmonari, sempre nell’ambito dell’appalto per gli ospedali pre-fabbricati. E mai collaudati. Disimballati lo scorso 4 settembre, si è scoperto che hanno l’interfaccia utente solo in tedesco, dunque non conformi all’ordine di acquisto e una volta messi in funzione il segnale di allarme generico è in tedesco. Tutto pronto, però dichiara l’unità di crisi, quella a cui dovrebbero rivolgersi i giornalisti per raccontare il format e non la realtà . Quando tutto questo incubo sarà finito, apriremo il dibattito su quanto alcuni sedicenti campioni della lotta al populismo assomigliano al populismo.
(da “Huffingtonpost”)
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