DEBITI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, RENZI CIALTRONE: AL 21 SETTEMBRE PAGATI SOLO META’ DEI 60 MILIARDI PROMESSI E ATTESI DALLE IMPRESE
CON SOMME STANZIATE DAI PRECEDENTI GOVERNI, NON SONO NEANCHE RIUSCITI A PAGARE QUANTO HANNO SPACCIATO IN TV COME REALIZZATO
La missione è miseramente fallita.
I debiti delle imprese con la pubblica amministrazione non verranno saldati integralmente entro il 21 settembre come promesso solennemente da Matteo Renzi.
I numeri ufficiali — spiegano fonti del Mef – verranno diffusi tra domenica e lunedì, ma le ultime rilevazioni dicono già da ora che siamo lontani, lontanissimi dell’obiettivo che il governo si era fissato.
L’antipasto della brutta notizia l’ha dato in settimana il ministro Pier Carlo Padoan, intervistato a Porta a Porta, rivelando con qualche giorno di anticipo lo stato dell’arte: i pagamenti sono a quota 31-32 miliardi.
E i numeri ufficiali diffusi nei prossimi giorni, filtra da via XX settembre, si discosteranno poco da questa cifra.
Poco più della metà , almeno, dell’obiettivo da raggiungere: 60 miliardi.
L’insuccesso della sfida lanciata dal premier era scritta già nel suo stesso dna.
A partire da un problema di fondo, non secondario: a quanto ammontavano questi debiti? Qual era la cifra da raggiungere?
I 91 miliardi stimati nel 2013 dalla Banca d’Italia, e a cui si è fatto affidamento in molte occasioni, con il passare del tempo si è rivelato un numero sovrastimato.
O almeno, il ministero dell’Economia a partire da quest’anno ha ridotto sensibilmente il target.
Fino a quando, a maggio, il ministro Padoan ha scoperto le carte, spiegando che la cifra da aggredire era di circa 60 miliardi.
Per questo il governo ha messo sul piatto, in quattro interventi distinti — il primo addirittura porta ancora la firma del governo Monti — fino a 57 miliardi di risorse per saldare tutti i pagamenti attraverso anticipazioni di liquidità agli enti locali.
A luglio 2014, data dell’ultimo aggiornamento dello stato di avanzamento del rimborso, a disposizione di Comuni, Province e Regioni erano stati messi a disposizione circa 30,1 miliardi, 26,1 quelli effettivamente pagati alle imprese.
Di questo passo, l’obiettivo del pagamento integrale sarebbe stato impossibile da raggiungere anche in un orizzonte molto lungo.
Per questo si era passati a un secondo binario, più agile, per ottenere i rimborsi.
Un sistema che consente alle imprese di iscriversi alla piattaforma di certificazione del Ministero per chiedere la “bollinatura” del proprio debito che lo Stato si impegna a fornire entro 30 giorni pena la nomina di un commissario ad acta, con le quali le imprese possono presentarsi in banca e ottenere uno “sconto” della fattura.
Vale a dire ricevere il pagamento direttamente dall’istituto, che preleva una sorta di commissione dell’1,9% sul credito.
Il secondo binario messo in campo dal governo potrebbe dare una spinta decisiva, ma sul mantenimento della promessa del premier (ribadita a Porta a Porta con l’impegno di Bruno Vespa all’ormai famoso pellegrinaggio a Monte Senario in caso di successo di Renzi), la cui nuova scadenza slitta inevitabilmente almeno all’inizio del prossimo anno, gravano almeno ancora due incognite importanti.
La prima riguarda l’ultimo passaggio del nuovo sistema di sconto delle fatture.
Il monitoraggio del Mef infatti si conclude una volta che il debito viene effettivamente certificato.
Che poi l’impresa riesca effettivamente ad incassare il denaro spettante, per via XX settembre, è altra questione.
E su cui comunque il governo non può più fare molto.
In altre parole può conoscere con ragionevole certezza quanti crediti, e per quale importo, sono stati certificati ma non quanti poi sono stati realmente pagati. E gli stessi 31-32 miliardi stimati dal ministro che verranno confermati nei prossimi giorni, leggermente al rialzo, includono anche queste somme.
Ufficialmente conteggiate come pagate, ma tecnicamente ancora no.
C’è poi una seconda questione che il governo tiene deliberatamente sotterranea nella discussione pubblica.
Non tutti i debiti pesano in modo uguale. La stragrande maggioranza è costituita da debiti di parte corrente, una minoranza in conto capitale.
La distinzione non è una sottigliezza finanziaria ma è invece cruciale per l’equilibrio dei nostri conti.
Se i primi infatti pesano solo sul debito ma non sul deficit, i secondi gravano direttamente anche sull’indebitamento netto.
Significa, in parole povere, che il saldo di questi debiti dev’essere coperto recuperando risorse fresche oppure sfruttando i margini del disavanzo — ormai praticamente esauriti — sotto il 3%.
Non è un problema da poco.
Anche perchè all’inizio del settembre il governo, attraverso il sottosegretario all’Economia Giovanni Legnini, si è impegnato pubblicamente a saldare anche quest’ultima categoria di debiti.
Stimando, forse in modo eccessivamente ottimistico, in circa 5 miliardi la cifra complessiva. E impegnandosi ad “affrontare la questione nella legge di stabilità ”. Leggi, trovare le risorse.
In una manovra già lievitata a quota 20 miliardi e con 15 miliardi di tagli di spesa prenotati, altri cinque miliardi da reperire non sono esattamente l’obiettivo più facile per il ministro Padaon.
Anzi, con ragionevole certezza, si può dire che anche questa è a tutti gli effetti una missione impossibile.
(da “Huffingtonpost“)
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