DOPO 18 ANNI E 9 TENTATIVI E’ RIUSCITA FINALMENTE A DIVENTARE ITALIANA
UNA LEGGE ANTIQUATA E UNA BUROCRAZIA ASSURDA IMPEDISCONO L’INTEGRAZIONE DI CHI DA ANNI IN ITALIA RISIEDE E LAVORA
Sarà perchè è nata a Roma diciotto anni fa e nella capitale ha sempre vissuto, ma Cristina ci teneva tanto a diventare cittadina italiana.
Eppure, al momento giusto, non le sono bastati i 18 anni e i – tanti – documenti in regola. C’è voluto molto di più.
Nonostante Cristina sia una persona “fragile” che la sociologia definirebbe “a rischio di discriminazione multipla”: è disabile, Rom e donna.
Così, quando con i genitori – nati anche loro in Italia anche se non cittadini – e i suoi amici di Sant’Egidio si è recata negli uffici comunali per ottenere, secondo la legge, ciò che era suo diritto, è iniziato un altro percorso a ostacoli.
“La norma prevede che la persona esprima la volontà di diventare cittadina”, è stato obiettato. Cristina non parla, ma fa capire bene ai genitori i suoi bisogni primari. Ha persino una “scheda” su cui indicare il sì e il no (come se non bastasse il sorriso largamente espressivo con cui accoglie gli amici e fa capire cosa le piace).
Ma neanche questo è sufficiente: non è previsto da leggi e regolamenti, gli impiegati sono in imbarazzo, rinviano, chiedono certificazioni, rimandano.
Quando, con il padre, raccontiamo la sua storia in giro, le persone si stupiscono: “Ma perchè non è già italiana?”. E ancora: “Nata in Italia, figlia di genitori nati in Italia, e non le danno la cittadinanza?”.
Lo stupore è legittimo, perchè generalmente il sentimento delle persone sull’argomento è di grande buon senso e supera la legge: i figli di famiglie straniere “lungoresidenti” (cioè che vivono da molti anni in Italia) e nati in Italia, sono considerati ormai da tutti cittadini italiani, anche se per la legge non lo sono: bisogna fare domanda a 18 anni. È così che “funziona” ancora oggi in Italia.
Dopo diversi tentativi – compresa l’esibizione della “tabella” per dimostrare il modo con cui si esprime la ragazza – si riesce finalmente a ottenere una ricevuta con numero di protocollo dall’ufficio, con oggetto “valutazione documentazione legge 91/92 art. 4 comma 2”.
Sembra una piccola vittoria, ma poco dopo arriva la doccia gelata: l’ufficio di stato civile non intende accettare l’istanza dell’interessata.
Non resta che una via: il papà deve diventare amministratore di sostegno e chiedere la cittadinanza per lei. Peccato che i tempi del tribunale sono molto lunghi e si rischia di superare il 19° anno di età di Cristina, dopo il quale si perde il diritto alla cittadinanza.
Si pensa quindi a un ultimo tentativo: un’istanza urgente al giudice tutelare.
Il papà va in Tribunale, incontra un giudice sensibile che si prende a cuore la questione e che, in un tempo breve, decide di nominarlo amministratore di sostegno di sua figlia. Così, presenta subito la domanda e Cristina diviene italiana: senza alcuna solennità , come una pratica evasa…
Con la famiglia e gli amici Cristina ha fatto una grande festa mostrando i suoi sorrisi migliori. Vale la pena di raccontare la sua storia, perchè quando trionfa il buonsenso e si affermano i diritti – soprattutto dei più deboli – è una vittoria per tutta la società .
Ed è la sconfitta di una legge antiquata, ingiusta e pericolosa perchè nemica dell’integrazione di migliaia di persone che da anni in Italia risiedono e lavorano senza esserne cittadini.
Paolo Ciani
Comunità di Sant’Egidio
(da “Huffingtonpost”)
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