E SE NOI ITALIANI COMINCIASSIMO A DIRCI LA VERITA’?
NON E’ SOLO UN PROBLEMA DI POLITICI O DI TECNICI, E’ NECESSARIA ANCHE UNA RIVOLUZIONE IDEALE, PSICOLOGICA E CULTURALE DEGLI ITALIANI PER USCIRE DALLA CRISI
Oggi viene voltata la pagina. Non è il momento, tuttavia, di tirare il fiato.
E’ il momento di prendere atto della realtà : l’Italia ha reagito ma è un Paese che ha preso una sberla tremenda.
Quando una delle grandi economie europee si trova nel ruolo di «sorvegliato speciale» della Commissione europea e del Fondo monetario, la sberla c’è stata.
E c’è stato, insieme alla sberla, un evidente declassamento politico: l’Italia conta meno in un’Europa che conta a sua volta fino a un certo punto, nel mondo spostato verso Est di questo inizio di Secolo Asiatico.
Nei giorni scorsi avevamo la testa voltata – giustamente – verso il Quirinale.
Ma intanto Barack Obama annunciava, dalle Hawaii, che l’America trasferirà interessi, risorse e soldati verso la sfida Pacifica con la Cina.
L’Europa tutta, vista da Washington ma anche da Pechino, è oggi parte del problema globale; non della sua soluzione.
Questo per dire che è meglio non farsi troppe illusioni.
Mario Monti, con il suo governo, verrà di certo accolto a braccia aperte da Parigi e da Berlino.
L’avvio sarà fiducioso e incoraggiante.
Ma così come i mercati finanziari non fanno degli sconti, neanche i governi li fanno: in questa fase di riassetto delle gerarchie internazionali, i rapporti fra europei, più che mai indispensabili, sono anche rapporti duri.
L’ex commissario alla Concorrenza lo sa meglio di altri, del resto; e sa di non potere ricorrere a scorciatoie.
L’agenda delle cose da fare è fin troppo nota, in Italia e in Europa. Il punto è che il governo riuscirà a farle se avrà dietro di sè non solo una maggioranza parlamentare decisa a giocare una partita onesta per salvare il Paese ma anche il Paese.
Noi, gli italiani, dobbiamo prima di tutto essere consapevoli che la crisi che stiamo vivendo è strutturale; avrà bisogno, per essere risolta, di uno sforzo costante e decennale.
Parecchi economisti sottolineano giustamente che i «fondamentali» del Paese sono a posto: se guardiamo ai livelli di ricchezza delle famiglie, al risparmio privato, al settore manifatturiero e via dicendo, l’Italia ha indubbi punti di forza, che d’altra parte spiegano perchè siamo riusciti a diventare una delle prime dieci economie occidentali. Il guaio è che questo argomento non è stato usato come un vantaggio comparativo, su cui costruire una capacità di adattamento a un contesto globale sempre più difficile.
E’ stato usato spesso come un argomento consolatorio – o come un alibi.
Ecco: la crisi del debito sovrano segna anche la fine degli alibi.
Nel ventennio successivo al Crollo del Muro di Berlino, l’Italia ha perso prima la vecchia rendita di posizione geopolitica (la sua collocazione di frontiera avanzata – e protetta – dell’alleanza occidentale) e poi la vecchia rendita di posizione economica (lo strumento delle svalutazioni competitive).
Ma non è mai riuscita a riprendersi.
Al posto delle riforme indispensabili per competere nell’economia globale, ci siamo raccontati delle storie.
E’ il momento di dirci la verità : abbiamo perso e continuiamo a perdere competitività . Le rendite di posizione sono finite da un pezzo.
E se un Paese le perde, non possono mantenerle strati privilegiati dei suoi abitanti; se non ai costi, per l’Italia nel suo insieme, che oggi stiamo vedendo.
Se questo è vero, è vero anche che gli italiani hanno finalmente bisogno di capire di quale progetto nazionale fanno parte.
Nessuna nazione riesce a vivere e sopravvivere a lungo senza un progetto ideale.
Noi sembriamo oscillare fra un europeismo frustrato dalla crisi del debito (e da un costante complesso di inferiorità ), un atlantismo che va e viene, una politica mediterranea di rimessa (Libia docet), le solite scelte pro-russe in nome dell’energia – e così via.
Il governo Monti nasce in una logica emergenziale: l’interesse nazionale, oggi, sembra coincidere con l’interesse fiscale.
Ma le scelte da compiere, con i loro costi, saranno più accettate e più condivise se faranno parte di un «discorso» convincente sul futuro dell’Italia e sul posto dell’Italia in Europa.
Fra crisi del debito e vincoli esterni, l’Italia è certamente in posizioni di debolezza; ma può e deve ritrovare una voce.
E deve farla pesare. La gestione della crisi europea, dal 2008 ad oggi, ha dimostrato i limiti di una coppia franco-tedesca lasciata a se stessa; in cui la Germania conta troppo, a favore di ricette economiche che funzionano poco.
E in cui la Francia crede di contare molto ma in realtà non è così.
Un’Italia che funzioni e abbia una visione serve, insomma: a noi e al Vecchio Continente.
Peccherò di idealismo. Ma se verrà detta la verità – al posto delle storie. E se l’Italia tornerà ad essere un progetto in cui vale la pena di investire, gli italiani sceglieranno l’Italia.
Scegliere comporta delle responsabilità : responsabilità individuali, nell’interesse generale.
Anche gli italiani, e non solo il sistema politico, devono dare l’addio ai vecchi alibi.
Il destino del nostro Paese non è solo nelle mani di altri (la Casta), non è solo condizionato dall’estero (nel quadrilatero fra Parigi, Berlino, Francoforte o Bruxelles); e non è solo dettato dallo scontro fra governi e mercati.
Riflette anche le responsabilità di ciascuno.
Lo so: suona retorico. Ma non lo è.
Le riforme di cui l’Italia ha bisogno per riuscire a competere nel mondo di oggi presuppongono questa rivoluzione psicologica e culturale.
E sarebbe un vero paradosso se il governo dei tecnici appoggiati dalla politica riuscisse là dove la politica non è riuscita di certo: riattivare, invece che alienare, le energie vitali della nostra società .
Potremmo chiamarlo il Miracolo del Colle – se qualcosa del genere succedesse.
Marta Dassù
Leave a Reply