ELEZIONI GERMANIA, LA CDU TRAVOLTA SI SCOPRE NUDA: PARTE L’ASSALTO A LASCHET
PARTITO IN MACERIE E FUTURO INCERTO
Il «Day After» della Cdu-Csu vede un leader senza esercito, un partito in macerie e un futuro incerto. Come il re della favola, l’Unione è nuda. Ora sa quanto grande fosse la coperta di Mutti, il «Kanzlerbonus» assicurato da Angela Merkel, che ancora quattro anni fa, pur nel suo momento peggiore, aveva conquistato il 32,9% dei voti. Il «massacro di carriere»
La disfatta non è soltanto nei quasi 4 milioni di voti persi tra il 2017 e oggi, di cui 2 milioni andati direttamente alla Spd e più di 1 milione ai Verdi. È in tanti risultati locali, simbolicamente densi di significato.
È la perdita dopo 30 anni del collegio di Angela Merkel a Stralsund, sul Mare del Nord, a favore di una sconosciuta candidata socialdemocratica. O di quello di Aquisgrana, il feudo di Laschet, a opera dei Verdi. È la sconfitta nel Saarland di Peter Altmaier, fedelissimo di Merkel e ministro dell’Economia uscente, a opera di un collega di governo della Spd: Heiko Maas, il ministro degli Esteri.
O ancora quella, nello stesso Land, di Annegrette Kramp-Karrenbauer, ministra della Difesa e già delfina della cancelliera.
E la mancata elezione in Assia del numero due della cancelleria, Helge Braun. Un massacro di carriere e ambizioni. La resa dei conti è già iniziata
Per questo è apparso velleitario e disperato l’atteggiamento di Armin Laschet domenica sera, quando il candidato sconfitto ha negato l’evidenza del proprio fallimento, rivendicando addirittura un mandato a governare. Come se l’aritmetica dei seggi in Parlamento, che in verità consentirebbero una maggioranza tra Cdu-Csu, Verdi e Fdp, potesse ignorare la portata e il significato politico della débâcle.
Ma già lunedì mattina, di fronte ai vertici cristiano-democratici, l’uomo di Aquisgrana ha dovuto abbassare i toni, rendendosi personalmente conto che la resa dei conti interna è già iniziata.
Ad aprire le ostilità sono stati i premier dell’Est, convinti che nelle regioni dell’ex Ddr la Cdu abbia pagato il prezzo più alto degli errori strategici e tattici del vertice federale. Michael Kretschmer, il premier della Sassonia dove la Cdu ha dovuto cedere il primo posto all’AfD, ha definito un «terremoto» l’esito elettorale, avvertendo che non è proprio il caso di reclamare un mandato a governare.
Mentre Rainer Haseloff, che in Sachsen Anhalt in giugno aveva regalato un inaspettato successo alla Cdu, ha parlato di «disastro» e invitato a «fare una riflessione spietata e senza autoindulgenze» su quanto è successo, rivedendo anche «meccanismi e procedure di nomina dei candidati». Venti contrari a Laschet spirano anche dal suo Nord Reno-Vestfalia.
Norbert Röttgen, presidente della commissione Esteri del Bundestag e già suo avversario nella battaglia per la presidenza della Cdu lo scorso gennaio, chiede conseguenze per la linea del partito: «Così com’ è, non può rimanere». Perfino Jens Spahn, il ministro della Sanità, che pure aveva appoggiato Laschet in quella contesa, invita a elaborare la sconfitta e lancia un messaggio neppure tanto velato: «La generazione dopo Angela Merkel ha il compito di riportare la Cdu nel prossimo decennio ai vecchi livelli. Abbiamo le persone necessarie e dobbiamo dar loro responsabilità». Se non è questo un cartellino rosso per Laschet, cos’altro lo è? Il muro di gomma di Laschet
Di fronte a questo embrione di rivolta, Laschet applica il suo vecchio principio del muro di gomma. Fa una piccola marcia indietro, evitando di usare l’espressione mandato di governo. Ma insiste che «un esecutivo a guida Cdu-Csu è la soluzione migliore per il Paese». Intanto ha disinnescato uno scontro potenziale: oggi il gruppo parlamentare dovrebbe prolungare per un anno il suo presidente, Hans Brinkhaus. Ma il nodo è solo rinviato, perché altri dirigenti ambiscono alla carica e lo stesso Laschet vorrebbe tenerla aperta per sé, come default nel caso in cui la Cdu-Csu finisca all’opposizione.
Ma le manovre tattiche non possono mascherare la realtà. L’uscita di scena di Merkel scopre una Cdu in ginocchio: ridimensionata e senza guida, divisa e priva di linea, smarrita e senza un progetto su cui costruire la rinascita. Anche il confronto con la fine dell’era Kohl, quando molti predicevano al partito il destino della Dc italiana, impallidisce di fronte alla situazione attuale. Soprattutto perché, a differenza di allora, non si intravede nessuna Merkel in grado di risollevarla.
(da il Corriere della Sera)
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