FIAT ASSUME 1.100 OPERAI A DETROIT E NE TAGLIA 5.000 IN ITALIA
LA CHRYSLER ASSUMERA’ NUOVA MANODOPERA PER ASSEMBLARE LA JEEP GRAND CHEROKEE, SIMBOLO DELLA RINASCITA DELLA CASA AMERICANA…. MARCHIONNE OSANNATO DALLA PLATEA DELLO STABILIMENTO JEFFERSON NORTH, MENTRE IN ITALIA SI PARLA DI 5.000 ESUBERI NELL’INDIFFERENZA DEL GOVERNO
“Nemo profeta in patria” ? Certamente l’accoglienza che la platea aziendale dello stabilimento Jefferson North della Chrysler ha destinato a Sergio Marchionne, all’annuncio che la casa controllata dalla Fiat assumerà a breve 1.100 operai negli stabilimenti di Detroit, non ha paragoni con le proteste che in Italia accompagnano i tagli previsti dalla Fiat, sia in termini di impianti che di produzione.
In Italia fischi e cortei di dissenso, in Usa applausi e ovazioni.
Le maestranze Chrysler qualcosa avevano intuito, ma ora c’è la certezza: sarà assunta manodopera fresca per assemblare la nuova Jeep Grand Cherokee, icona per eccellenza, insieme alla sorella maggiore Commander, dell’american way of life.
Grande, spaziosa, ingombrante: è il fuoristrada del benessere su cui punta Sergio Marchionne per traghettare la compagnaia, controllata dalla Fiat, fuori dalla crisi che ha portato la casa di Detroit prima in bancarotta pilotata e quindi al salvataggio ad opera dell’azienda torinese.
Circondato dal management Usa, Marchionne ha promesso che ricomincerà la cavalcata per riconquistare quote di mercato.
La nuova Jeep è stata lanciata come il primo prodotto di una nuova linea che punta su qualità e velocità di produzione, una scommessa su cui Marchionne si gioca la sua partita americana, un’auto costruita con braccia americane, ma con cuore e gusto italiano.
Le macchine assemblate stanno per ripartire e Detroit fa festa: il nuovo Suv dell’era Marchionne metterà la prima ruota su strada a giugno e sarà realizzato da 1.700 uomini e 600 robot.
Ma, vista la grande domanda attesa per il 2011, è già pronta la seconda linea di produzione, alla quale lavoreranno altri 1.100 operai.
Il manager nato a Chieti e cresciuto in Canada si è così meritato l’ovazione degli operai dell’azienda al momento dell’annuncio e ha commentato : “Avete visto che reazione abbiamo avuto oggi? Purtroppo ciò è inimmaginabile in Italia”.
Certamente in Italia, beghe sindacali a parte, gli operai avrebbero ben pochi motivi per tributare applausi a scelte aziendali che stanno portando al taglio di 5.000 posti di lavoro e alla chiusura di impianti di produzione.
Nessuno in Italia riesce a dimenticare la privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite che Fiat ha sempre incassato dai vari governi che si sono succeduti nel dopoguerra.
Non ultimi gli incentivi sulle vendite.
Fa tristezza sapere che mentre per 5.000 famiglie italiane si preannuncia la perdita del lavoro, in mancanza di soluzioni alternative che il governo non ha ancora saputo concretizzare, vengano creati da Fiat oltre 1.000 posti di lavoro all’estero.
Saranno le regole della globalizzazione, ma è sempre un piatto difficile da digerire per il nostro Paese.
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