FISCO, ECCO CHI PAGA IL CONTO ALLO STATO
L’IRPEF PESA SEMPRE PIU’ SULLE SPALLE DEI DIPENDENTI E DEI PENSIONATI
Chi paga l’Irpef? Chi versa nelle casse dello Stato quasi 200 miliardi, cioè quasi il 10% del Pil, ultimo dato 2021?
Nessun mistero, i dati parlano chiaro: il 55% viene dai lavoratori dipendenti, il 30% dai pensionati e il 12% dagli autonomi.
Se nei primi due casi, siamo al “volente o nolente” per via del prelievo alla fonte e il gettito è salito negli ultimi vent’anni, per i lavoratori indipendenti vale il contrario: calato di 6-7 punti dal 18-19 per cento. Cos’è successo? La pandemia certo, ma ha travolto tutti. Piuttosto la flat tax al 15% che ha eroso almeno 2 miliardi all’anno di Irpef. E che rischia di portarne via altri pezzi ora che il governo Meloni ha alzato la soglia dai 65 mila agli 85 mila euro di reddito.
La curva delle tasse non può mentire, non solo perché viene tracciata dal ministero dell’Economia a partire dalle dichiarazioni dei redditi degli italiani. Ma perché in fondo conferma il buon senso dell’economia domestica: sostituire pezzi di progressività fiscale con prelievi piatti fa calare il gettito e non è detto che aumenti la base imponibile.
Per dirla in altro modo, una (piccola) parte dei contribuenti paga meno senza per questo allargare il club ad altri amici. È quello che succede dal 2019 con la flat tax per gli autonomi, la tassa piatta al 15% che assorbe Irpef, addizionali locali, Irap e Iva.
L’economista Bruno Anastasia ha elaborato i dati fiscali degli ultimi vent’anni – dal 2000 al 2020 – per capire come si forma il gettito Irpef e cos’è cambiato nel tempo.
Le sue conclusioni, pubblicate su lavoce.info, sono spiazzanti. Se si esclude una quota molto piccola – sotto al 4% – di Irpef generata da fonti minori come capitali o fabbricati, tutta l’imposta sul reddito delle persone fisiche proviene da tre tipologie di reddito ben precise: il lavoro dipendente, le pensioni e il lavoro indipendente.
I pesi, come detto, sono diversi. Cresciuti nel tempo per le prime due tipologie, tranne che nelle crisi del 2008 e 2020, decresciuti per la terza. Colpisce l’espansione del gettito dei pensionati: dal 20% dei primi anni Duemila al 30% attuale. Da un quinto a quasi un terzo.
Cosa succede tra gli autonomi
Di sicuro interesse dunque capire cosa accade tra i lavoratori indipendenti, come mai contribuiscono sempre meno a foraggiare la cassa comune dell’Irpef che poi serve a coprire una parte della spesa assistenziale e sanitaria italiana.
Il declino del lavoro autonomo non va dimenticato, visto che è in contrazione da vent’anni ormai, come registra Istat: gli indipendenti erano 6 milioni all’inizio del 2005 e ora a stento arrivano a 5. Ma questo non spiega tutto.
Se infatti si prendono i dati fiscali – che a differenza di Istat identificano come lavoratori autonomi solo quelli che traggono dal lavoro indipendente il loro reddito prevalente (per il fisco co.co.co e amministratori di srl sono lavoratori dipendenti, per l’Istat autonomi) -, si vede che le partite Iva sono scese da 3,2 a 2,4 milioni tra 2018 e 2020. E così l’Irpef da loro generata: da quasi 24 miliardi a 19,5 miliardi, oltre 4 miliardi in meno. Ma l’Irpef media pagata da ciascuno è salita da 7.400 a 8.000 euro. “Questo significa che la platea si è fortemente selezionata: meno contribuenti con maggior reddito medio e maggiore imposta media”, osserva Anastasia.
Non è stato dunque il Covid ad operare questa cernita darwiniana. Piuttosto le sirene della flat tax.
L’introduzione dei regimi fiscali agevolati ha portato un progressivo scivolamento dei redditi autonomi fino a 65 mila euro verso la flat tax. Quasi 600 mila lavoratori autonomi tra 2018 e 2020 hanno abbandonato l’Irpef per il regime forfettario al 15% – passando da 978 mila a 1,5 milioni – portando in quel canale un gettito pari a 2,3 miliardi, la metà delle perdite registrate dall’Irpef negli stessi anni.
Il salto verso la flat tax è confermato anche dalla “Relazione sull’economia non osservata” che accompagna la Nadef di fine settembre: nel 2019 vi ha aderito il 74% della platea dal 36% del 2018. Non tutti sono transitati e la percentuale può ancora crescere.
Anche perché, si legge nella Relazione, “si conferma per il 2019 un effetto di autoselezione dei contribuenti con ricavi e compensi al di sotto della soglia massima dei 65 mila euro”.
Tradotto: pur di pagare il 15% di tasse molte partite Iva, professionisti, imprese tendono a sotto-dichiarare i ricavi, a sotto-fatturare. Motivo per cui – così spiega il viceministro all’Economia Maurizio Leo – la soglia è stata alzata dal governo Meloni a 85 mila euro.
La discrasia con i dipendenti
Non sfugge però lo sbilanciamento fiscale che la flat tax ha introdotto in Italia. Non solo lo Stato perde gettito, ma dipendenti e pensionati – a parità di reddito imponibile – pagano più tasse. Non a caso, nell’ultimo Osservatorio sulla spesa pubblica e le entrate, il presidente di Itinerari previdenziali Alberto Brambilla calcola che se la flat tax fosse estesa a tutti i redditi non autonomi sopra i 35 mila euro l’Italia perderebbe un gettito Irpef pari a 100 miliardi.
Un altro studio, firmato da Silvia Giannini e Simone Pellegrino su lavoce.info, sostiene che “la flat tax, oltre che iniqua perché erode la base imponibile Irpef e aumenta la complessità e l’erraticità del sistema, per le partite Iva è un bel risparmio”. Fino a 25 mila euro di reddito, i dipendenti pagano meno tasse degli autonomi visto che l’aliquota media è sotto il 15% e quindi anche l’imposta netta è più bassa.
Nei calcoli di Alberto Brambilla il 74% dei contribuenti italiani si trova in questa fascia e paga meno della flat tax. Ma sopra quel livello, quindi tra il ceto medio che di fatto alimenta il grosso dell’Irpef, le differenze tra dipendenti e autonomi si fanno abissali.
“Elevate e poco giustificabili”, le definiscono Giannini e Pellegrino. “Sopra i 28 mila euro e fino a quasi 40 o 50 mila, l’aliquota marginale effettiva – cioè quanto si paga in più per ogni incremento di reddito – dei dipendenti è quasi tre volte, anche più di tre volte se si considerano le addizionali locali, di quella degli autonomi. Dopo si riduce un po’, ma il divario resta ed è molto alto”. Di sicuro le distorsioni ora aumenteranno con la flat tax ampliata e l’introduzione di quella incrementale.
Il nodo evasione
Se a pagare sono sempre gli stessi e l’evasione viaggia ancora attorno ai 100 miliardi all’anno, la flat tax non sembra dare una mano. Bisogna senz’altro evitare l’equazione tra autonomi ed evasori. Ma è un fatto, come conferma la Relazione sull’economia sommersa, che il tax gap del lavoro autonomo (la differenza tra imposte dovute e incassate) è stellare: 32 miliardi nel 2019, contro 4,6 miliardi del lavoro dipendente irregolare. E dunque il 68% contro il 2,8%. Percentuali non dissimili anche nel 2020. In altre parole, sette autonomi su dieci hanno una propensione a non pagare tasse. Un danno per tutti. E l’Irpef resta ai soliti noti.
(da La Repubblica)
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