FRA I MODERATI CRESCONO I NUOVI PICCOLI LEADER
LA VITTORIA DEI SINDACI MODERATI HA FATTO CADERE IL FALSO MITO DELL’UNITA’ DEL CENTRODESTRA… A VENEZIA BRUGNARO HA BATTUTO PRIMA LA LEGA E POI RENZI
Il successo dei moderati alle Comunali di domenica ricorda la stagione dei sindaci di sinistra di ventidue anni fa.
Certo, i candidati vincenti di allora erano rappresentanti del ceto politico, mentre oggi per la maggior parte sono espressione della società civile.
Ma le condizioni in cui si registrò quel risultato somigliano al contesto attuale: così come il voto del ’93 annunciò la fine della Prima Repubblica e anticipò un modello di alleanze nel fronte progressista, dal test del 2015 – e sulle macerie della Seconda Repubblica – emerge l’embrione di un progetto che potrebbe mutare radicalmente il profilo dell’area moderata nel sistema che verrà .
È un sorta di big bang, perciò è impossibile stabilire oggi quale forma prenderà il caos, ma non c’è dubbio che si tratti della prima vittoria post berlusconiana costruita in quel territorio chiamato finora centrodestra.
Se Venezia va considerato il progetto-pilota e Brugnaro ne è il testimonial, si nota intanto che l’eletto non è frutto dei famosi casting, non rappresenta cioè il prototipo del candidato che ha caratterizzato un’era.
E soprattutto, nel corso della campagna elettorale, ha tenuto a marcare la distanza.
Di più: Brugnaro ha vinto al primo turno la sfida con la Lega nella sua roccaforte regionale, e poi ha battuto l’esponente del Pd per il quale Renzi era sceso in campo, sostenendo che «a me Renzi piace»…
«C’è in effetti un centrodestra un po’ renziano», dice il coordinatore di Ncd, Quagliariello: «Ma siccome Renzi finora non ha fatto Kadima – il partito che in Israele ha unito un pezzo di laburisti e un pezzo di conservatori – allora ha deciso di mettersi autonomamente in movimento».
Sarà , ma vincere sul candidato di Renzi inneggiando a Renzi è un paradosso che produce un altro paradosso.
Perchè la vittoria dei sindaci moderati – a Venezia come ad Arezzo, a Chieti come a Nuoro – ha fatto cadere il (falso) mito dell’unità del centrodestra: una formula a cui molti – subito dopo il voto – si sono aggrappati per considerarsi parte del successo. «Uniti si vince» più che una parola d’ordine è parso ieri un logoro refrain, visto che è stato smentito dagli stessi che lo pronunciavano.
A livello nazionale, infatti, lo scontro è proseguito senza sosta.
Salvini – inneggiando alle primarie – ha ribadito il suo progetto a trazione leghista, «e poi vedremo se Berlusconi ci starà ».
Berlusconi – deciso a non subire – ha evocato il modello sarkozista per l’unità del fronte moderato, proprio mentre l’ex ministro Gelmini esortava l’Ncd lombardo a scindersi da Alfano.
E per tutta risposta Quagliariello ha ricordato agli «amici di Forza Italia» per la seconda volta in pochi giorni che in Liguria la nuova giunta regionale si regge sul voto del consigliere centrista…
Il punto è che, venuta meno la leadership berlusconiana a livello nazionale, si fa strada l’idea che siano le realtà locali a caricarsi di un compito gravoso e dall’esito tutt’altro che scontato.
Come se l’infarto politico del vecchio centrodestra avesse dato origine a un circolo sanguigno collaterale. I sindaci del 2015 sembrano i rappresentanti di quel popolo che ha subito la diaspora e che per larga parte si è rifugiato nell’astensionismo.
Si vedrà se saranno capaci di governare il caos, se davvero – come dice Alfano richiamandosi a Brugnaro – saranno il prototipo di «una forza moderata vincente che guida e non si fa guidare, e a cui Salvini al massimo si può accodare».
Ma appena due settimane fa alle Regionali l’affermazione di Zaia in Veneto e di Toti in Liguria, insieme all’avanzata prorompente della Lega hanno messo in mostra un altro modello di centrodestra.
Di qui un conflitto che pare insanabile, sebbene Berlusconi si proponga come mediatore tra le parti, convinto che si debba e si possa intercettare quel «vento che è cambiato» – come dice l’azzurra Bergamini – e che non gonfia più le vele di Renzi.
L’offensiva dell’ex premier su economia e immigrazione ha scoperto il fianco debole del leader democratico ma allo stesso tempo sta ulteriormente allargando il fossato tra Forza Italia e Ncd.
Ed è sulla «innaturale posizione» di Alfano nel governo che Berlusconi insiste, certo di aver la meglio in prospettiva, malgrado le difficoltà e le contraddizioni che attraversano il suo partito: l’«unità » che sul territorio si rivela un fattore «vincente», si scontra non solo con la modestia delle cifre elettorali di Forza Italia ma anche con la frammentazione in Parlamento dei gruppi, alla vigilia di un passaggio che potrebbe segnare una nuova scissione.
C’è poi un altro bivio che attende Berlusconi: quello sulle riforme costituzionali e sulla legge elettorale, tornata al centro del dibattito.
Per esser parte attiva nel progetto di revisione della Carta e dell’Italicum, dovrebbe però cambiare la posizione assunta alla Camera.
«Sta ancora riflettendo sul da farsi», spiegano i fedelissimi, come a sottolineare la difficoltà della scelta, il rischio cioè di creare una frattura con la Lega, alleato di cui Berlusconi non può nè vuole fare a meno.
Il big bang nel centrodestra è in corso, e la durata della legislatura – che nessuno vuol mettere in discussione – non fa ancora capire cosa verrà dopo il caos.
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera“)
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