GLI AFFITTI BREVI VALGONO IL 42,6% DEL TURISMO
IN ITALIA ORMAI LE PRESENZE HANNO RAGGIUNTO 178 MILIONI ALL’ANNO, 100 MILIONI DELLE QUALI “NON OSSERVATE”: 800 MILIONI DI TASSE EVASE
C’era un convitato di pietra al tavolo del turismo nazionale che, quasi nel silenzio, lavorava per cambiare radicalmente la macchina dell’ospitalità. Si chiama “affitto breve” e oggi in Italia vale 180 milioni di presenze turistiche l’anno e un fatturato di 11 miliardi di euro. Due numeri che mettono fin da subito in chiaro il perché nessuno più voglia volgere lo sguardo dall’altra parte; anzi, il ministro del Turismo Daniela Santanché ha annunciato di star lavorando a un disegno di legge per normare il fenomeno. D’altronde, sono le abitudini stesse dei viaggiatori ad essere mutate. E se prima dell’avvento dei portali online per la prenotazione di alloggi il comparto alberghiero intercettava oltre l’80% dei turisti che venivano nel Belpaese, alla fine del 2022 gli affitti brevi si sarebbero accaparrati il 42,3% del mercato. Si parla di 178,2 milioni di presenze turistiche – dette “notti dormite” – su un totale di 421,1 milioni. Le stime sono state redatte da Sociometrica per Federalberghi, nel tentativo di provare a tracciare un perimetro di quale sia l’entità del settore. “Il tema degli affitti brevi è una vexata quaestio per noi – interviene Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi – ci siamo spesi nell’analizzare il problema e nel sottolinearne l’aspetto di concorrenza sleale. Oggi abbiamo un ddl governativo che ufficialmente dà un nome alle cose. Dal nostro punto di vista è quasi una vittoria e siamo in sintonia con il ministro che ha dimostrato di voler prendere di petto la questione”.
Evasioni per 800 milioni
L’impressione, per molti, è che si sia comunque arrivati in ritardo. Il lancio di Airbnb è datato ottobre 2007 e negli anni la clientela ha imparato ad accogliere questa forma di ricettività, “che si è strutturata generando – ammette Marco Celani, presidente dell’Associazione italiana gestori affitti brevi (Aigab) – alcune storture, tra cui un volume di nero pazzesco”. A inquadrare il quanto ci pensano sempre le stime di Federalberghi, da cui emerge come il numero di presenze turistiche “non osservate” che transita dagli affitti brevi sfiori i 100 milioni (ossia il 55,9%), con ricadute in termini di evasione pari a 800 milioni di euro solo per la cedolare secca. “Le cose potrebbero cambiare già a partire da quest’anno – spiega Celani – vista l’entrata in vigore della direttiva europea “Dac 7″, che obbliga le piattaforme a comunicare tutte le transazioni all’Agenzia delle entrate. Questo ci dimostra una cosa: un problema c’è, ma più di controlli che di sistema, ecco perché sono favorevole ad una regolamentazione di carattere nazionale”. L’origine di tutto sta evidentemente nella semplicità del mercato costruito dai portali. Semplicità che, unita alla non indifferente profittabilità, hanno costituto gli ingredienti per la preparazione di un ghiotto banchetto. A Milano, per fare un esempio, il provento medio lordo di un appartamento situato all’interno della circonvallazione interna è di 31.500 euro all’anno (dati Aigab). Un bilocale affittato a lungo termine si avvicina ai 16 mila euro, e non si può certo definirlo a buon mercato. A Roma, dove attualmente si registra il maggior numero di locazioni brevi presenti sulle piattaforme (19.336), ci sono immobili capaci di garantire cifre stellari. Uno si trova in piazza Barberini e in un anno produce ricavi lordi per 100 mila euro. Che dire poi di Firenze, dove un turista che sceglie l’affitto breve spende mediamente 190 euro a notte.
640 milioni di annunci in Italia
È mettendo in fila tutte queste cifre che si delineano i contorni di un fenomeno di massa multimiliardario, “composto – assicura Celani – da 640 mila annunci sparsi per tutto lo Stivale“, da cui sembra difficile poter tornare indietro. Nel frattempo, tuttavia, i prezzi delle locazioni nelle grandi città aumentano, gli studenti si chiudono in rivolta nelle tende per protestare contro il caro affitti e i centri storici si vanno spopolando, fino ad arrivare a situazioni che rasentano l’assurdo come quella di Venezia, dove si attende che a breve il numero dei posti letto (48.596 ad aprile) sorpassi quello della popolazione residente (49.365). Insomma, i nodi sono giunti al pettine. Gli amministratori locali sono tutti sul piede di guerra, da Giuseppe Sala a Milano che chiede una stretta sulla falsa riga di quella attuata in alcune capitali europee (ad Amsterdam c’è un tetto massimo di 30 giorni all’anno per gli affitti brevi, Londra ne ha previsti 90), a Dario Nardella che addirittura vorrebbe vietarli nel centro storico di Firenze. Mentre a Rimini il sindaco ha annunciato un progetto di riqualificazione del sistema ricettivo che vuole puntare di più alla qualità degli hotel a cinque stelle. “Sembra di assistere alla difesa del vhs contro l’arrivo di Netflix” scherza il presidente di Aigab. Non a caso chi potrebbe fare qualcosa, come Venezia, sta ancora ferma a guardare. Una norma approvata l’anno scorso dal Governo Draghi consentirebbe alla Serenissima di limitare gli affitti brevi a non più di 120 giorni l’anno, ma il Comune si sta interrogando sulla sua applicazione, per via delle conseguenze nel porre limiti alla proprietà privata.
Cosa chiedono gli imprenditori alberghieri
D’altro canto, gli imprenditori alberghieri si aspettano una risposta forte dalla ministra Santanché, ma nella bozza del ddl, per il momento, non si parla di “time cap”, quanto piuttosto dell’inserimento di un codice identificativo nazionale per ogni abitazione, con multe fino a 5 mila euro per chi sgarra, e di un limite minimo di soggiorno quantificato in due notti. Una bordata non da poco quest’ultima, se si considera che per una realtà come Italianway – fondata da Celani – solo a Milano la singola notte rappresenta il 30% delle prenotazioni e l’11% del fatturato locale. Per Bocca però non basta: “la permanenza minima – commenta – va alzata ad almeno tre notti, perché altrimenti stiamo parlando di un week end. In sostanza noi riteniamo che si tratti di un palliativo più che di una soluzione vera del problema. Considerando poi che le sanzioni nel nostro paese sono anche difficili da comminare”. Lo scontro a colpi di emendamenti sembra inevitabile.
(da La Repubblica)
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