I CONTI DEL MOSE. TANGENTI E SPRECHI PER UN MILIARDO
IL TARIFFARIO DEGLI APPALTI: FINO AL 50% DI FONDI NERI… UN EURO SU CINQUE SPRECATO PER LE SPESE EXTRA
C’è un miliardo di troppo nel prezzo del Mose, cantiere costato ad oggi 5,6 miliardi pubblici. Quel miliardo di troppo lo ha evidenziato il più importante tra i costruttori, il Piergiorgio Baita che ha guidato la Mantovani spa fino al suo arresto, 28 febbraio 2013.
Quel miliardo non è servito a far crescere la mastodontica opera idraulica, ad assumere i progettisti più qualificati, a pagare macchinari, bonifiche, straordinari.
È servito solo ad alimentare il Consorzio Nuova Venezia, appaltatore unico della diga da trenta chilometri.
Fin qui la magistratura ha certificato 22,5 milioni di tangenti consegnate dal consorzio a sindaci e presidenti di Regione, magistrati delle acque e della Corte dei conti, consiglieri regionali, finanzieri, spioni.
A questo bottino minimo (il 4 per mille del valore dell’opera, ben al di sotto della media delle mazzette italiane) vanno però aggiunti i costi delle “utilità ” certificate: le ville ristrutturate a carico della pubblica comunità , i soggiorni in grand hotel di Venezia e Cortina, i voli privati, le vacanze in Toscana pagate alla famiglia di Paolo Emilio Signorini, funzionario della Presidenza del Consiglio.
E, ancora, i contratti a progetto offerti nelle “aziende Mose” a figli e fratelli di magistrati, le molte assunzioni precisamente inutili: la figlia di Paolo Splendore, direttore dei servizi segreti del Triveneto, la figlia di Giovanni Artico, importante funzionario della Regione Veneto, quindi Giancarlo Ruscitti, ex funzionario della sanità utile per ottenere l’appalto dell’ospedale di Padova.
Il conto del malaffare s’impenna, infine, contabilizzando le consulenze inutili, gli studi idrogeologici commissionati e neppure letti.
«Tutti insieme noi costruttori abbiamo girato al consorzio cento milioni l’anno», dice l’ingegner Baita, maggior azionista Cnv da undici stagioni.
Fanno un miliardo, qualcosa in più, lasciando fuori i venti precedenti anni di vita del raggruppamento Nuova Venezia. È una tangente globale pari al 20 per cento dell’opera: i conti iniziano a tornare.
LE “PUBBLICHE RELAZIONI”
Nelle 437 pagine delle richieste di arresto della procura veneziana si trovano molte conferme a quella cifra sprecata, un miliardo di euro, in illecite “pubbliche relazioni”. Le regole della tangente collettiva – i costruttori dovevano fare una colletta ogni volta che veniva richiesto – le impose il capo supremo Giovanni Mazzacurati quando prese in mano le redini del consorzio monopolista in Laguna.
Nel 2002. «La mia azienda aveva appena rilevato le quote del Consorzio appartenute a Impregilo, un investimento da 70 milioni che ci trasformava negli azionisti più importanti», ha messo a verbale l’amministratore della Mantovani, Piergiorgio Baita. «L’ingegner Mazzacurati mi convocò e, in sede, mi precisò una serie di regole non scritte che vigevano tra i soci. La più importante era questa: dovevamo impegnarci tutti a retrocedere al consorzio, in nero, le somme concordate». Il secondo obbligo era che «nessuna delle singole imprese, salvo ordine supremo, poteva permettersi di pagare direttamente politici e funzionari: le tangenti dovevano sempre passare attraverso il consorzio». Mazzacurati, che pretendeva di essere l’unico a gestire i rapporti politici più alti – incontrò diverse volte a Roma Silvio Berlusconi e Gianni Letta “per spiegare come stavano i lavori del Mose e farli procedere più velocemente” – , riceveva le buste di denari personalmente dai costruttori. Altre volte mandava uno dei suoi collaboratori: Luciano Neri o Federico Sutto. Raccoglievano e consegnavano al presidente. «Era Mazzacurati a decidere il fabbisogno di fondi extracontabili, a scegliere chi doveva anticipare le somme neimomenti di crisi. Era lui, durante le campagne elettorali, a dettare gli importi del finanziamento ai partiti. Noi della Mantovani e quelli di Fincosit sostenevamo rappresentanti del Pdl, Condotte e Coveco il Pd. Solo lamia azienda ha retrocesso alconsorzio sei milioni di euro ».
Retrocesso, si dice così. Significa “ restituire in nero” parte del denaro pubblico ricevuto per trasformarlo in tangente.
LE SOVRAFATTURAZIONI
Già , nel tempo il collezionista di “rientri” aveva perfezionato il“ sistema di retrocessione”, come illustra il prospetto recuperato dalla finanza nel novembre 2011. Le quattro aziende più importanti – la Mantovani, laCoedmar, la Fincosit e la cooperativa Coveco – si facevano carico di “ritornare” al loro consorzio il 50-6-0 per cento degli importi indicati nelle “prestazioni di servizio”, studi idrogeologici econsulenze tecniche. La stessa aliquota (50-6-0 per cento del l’appalto) le aziende dovevano riconsegnarla sulla voce “anticipazione di riserve” (fondi messi da parte in attesa di richieste urgenti). Infine, le quattro grandi aziende grandi e le due minori dovevano garantire il 5-6 per cento dei ricavi derivanti dai “lavori in sasso”: la gettata di massi fatta per alzare dighe alle quattro bocche del Mose. «Il sospetto che qualcuno di noi costruttori cercasse di barare al gioco della colletta c’era », confessa Baita.
Spiegano i magistrati: «Accettato l’importo richiesto, leimprese stipulavano con il consorzio contratti fittizi per prestazioni sovradimensionate nel l’importo. I contratti venivano tutti predisposti dal ragionier Neri ». Un esempio? «La coop Coveco riceveva una fattura dalla sua azienda San Martino di 2-00 mila euro e faceva la fattura di200 mila euro al Consorzio Venezia Nuova. Dopo un mese Pio Savioli con la sua macchinetta andava a prendere 1-00 mila euro in contanti dalla San Martino e li portava in Piazzale Roma all’amico Neri ».
Che li girava a-Mazzacurati, che li distribuiva a-Orsoni e Galan.
Alla fine di ogni esercizio le singole imprese dovevano taroccare i loro bilanci annuali per spiegare gli esborsi extra Mose.
E predisporre relazioni con l’elenco delle riunioni edegli incontri formali. «Attività mai svolte », dicono i magistrati, «che saranno coperte da Valentina Croff, rappresentante legale del Consorzio ». Per telefono, intercettati, si sentono dirigenti di società quantificare il falso: «Per merce sollevabile con i moto pontoni posso mettere trenta tonnellate?…No, è rischioso, metti solo dieci ».
Giuseppe Caporale e Corrado Zunino
(da “La Repubblica”)
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