I FALLIMENTI DELLA POLITICA ESTERA ITALIANA NON GIUSTIFICANO LA CACCIA AL MOTOPESCA TUNISINO
GREGORIO DE FALCO: “NESSUN TENTATO SPERONAMENTO, REAZIONE SPROPOSITATA”
Nella seconda metà degli anni ’90 ero in servizio alla Capitaneria di porto di Mazara del Vallo e non di rado accadeva che giungesse in sala operativa notizia di un attacco da parte di unità militari tunisine o libiche a danno di pescherecci mazaresi.
In molti casi, effettivamente si contestava uno sconfinamento e l’effettuazione di attività di pesca in quella zona di mare denominata «mammellone” che, per il nostro ordinamento (due decreti ministeriali del 1979) era stata unilateralmente riservata al ripopolamento ittico. In certi periodi, questi episodi assumevano caratteristiche particolarmente cruente, quando le navi della Marina Militare destinate alla vigilanza delle attività di pesca erano lontane; in quelle circostanze non era raro che le unità militari libiche o tunisine sparassero sulle unità da pesca italiane, causando anche delle vittime.
Le immagini e i video delle operazioni che hanno portato al sequestro del motopesca tunisino “Mohamed Ahmed”, fermato ieri dalla Guardia di Finanza a largo di Lampedusa, per aver pescato in acque territoriali italiane, mi hanno riportato alla memoria quelle azioni violente, sproporzionate e irragionevoli di tunisini e libici e sembrano testimoniare una svolta aggressiva e pericolosa nella politica estera italiana.
Ieri, inizialmente, si era diffusa la voce che il motopeschereccio tunisino trasportasse droga e che avesse speronato un’unità militare e quindi che, secondo procedura, le unità di polizia italiane avrebbero esploso colpi di intimidazione, in aria, secondo le procedure.
Tuttavia, la Guardia di Finanza presenta una diversa versione dei fatti affermando che il motopesca tunisino avrebbe solo «attuato manovre elusive», ovvero stesse tentando la fuga, con modalità che potevano mettere a rischio la incolumità dei militari italiani che stavano salendo a bordo del peschereccio.
I due video reperiti non confermano alcun tentativo di speronamento da parte del M/P “Mohamed Ahmed”. Anzi, le immagini girate dal bordo della M/V CP 319 evidenziano che una unità della Guardia di Finanza ha aperto il fuoco sembra contravvenendo alle regole di ingaggio per l’intimidazione di fuggitivi, sparando in mare e non in aria.
La complessiva operazione ha coinvolto un notevole dispositivo aeronavale che ad alcuni è apparso eccessivo, anche per l’ipotesi che i pescherecci che praticavano pesca di frodo in acque territoriali italiane fossero stati tre e non solo uno. Come riferito dalla GdF, sono stati impiegati oltre alle motovedette alcuni “velivoli del Comando Operativo Aeronavale e dell’Agenzia Europea Frontex”. Un dispiegamento di risorse che ci si si dovrebbe auspicare intervenga anche nei soccorsi in mare, mentre alle invocazioni di aiuto, troppo spesso corrisponde uno stolido, burocratico silenzio.
Sembra davvero di vedere specularmente il comportamento dei libici nei confronti dei pescatori italiani, quasi che sia l’Italia ad aver preso come modalità di azione l’aggressività libica e non il contrario! Ma questa scelta non appare casuale. Sono evidenti, infatti, le frizioni e le tensioni sempre più frequenti e radicali tra il governo italiano e quello tunisino anche in conseguenza di accordi tra i due Paesi, annunciati dai nostri ministri, ma mai realizzati in concreto, sia relativamente ai controlli sulle partenze dei giovani tunisini che sbarcano poi a Lampedusa, sia per quel che riguarda i rimpatri straordinari di tunisini dall’Italia.
Tunisi avrebbe dovuto impegnarsi ad accettare i rimpatri, ma al momento i prefetti di Agrigento e Trapani possono solo consegnare un inutile “foglio di via” al migrante che non trova alcuna conseguenza pratica, per assenza di riscontro da parte tunisina.
Non è, quindi, difficile pensare che questa improvvisa durezza italiana sia legata al fallimento, l’ennesimo, della politica estera del nostro Paese ed a quella del controllo dell’immigrazione. E tuttavia, non si può non considerare che al contempo, non si spende analoga determinazione per convincere i libici a rilasciare i pescatori italiani sequestrati da più di due settimane e minacciati di processo da parte di Haftar.
Qualunque sia l’attuale problema con la Tunisia esso non può certo giustificare azioni guerresche sul modello delle aggressioni tunisine (o libiche) di qualche anno fa. L’Italia resta uno Stato di diritto dove l’uso delle armi deve essere la extrema ratio cui fare ricorso per resistere ad una minaccia altrimenti non fronteggiabile, e le forze di polizia non devono sparare contro pescherecci, anche se essi hanno pescato di frodo, nelle nostre acque territoriali. In quel caso si deve intervenire, in modo appropriato e proporzionato, sanzionando il comandante e l’armatore, secondo legge.
Se poi questa modalità inaccettabile è una ritorsione nei confronti del governo di Tunisi allora si conclama l’avventurosità e la pericolosità della politica estera e di controllo del nostro governo: i Corpi militari e di polizia di uno Stato di diritto hanno la funzione di proteggere i cittadini e tutte le persone in genere, anche qualora non fossero cittadini, e non devono essere impiegati per azioni sproporzionate e guerresche contro pescatori disarmati, sia pure colpevoli di una violazione amministrativa.
Infatti, se è vero che, come sembra, i pescherecci tunisini stavano effettivamente pescando di frodo in acque italiane, e che quindi, violavano l’ordinamento del nostro Paese che vieta a pescherecci di bandiera straniera di pescare nelle nostre acque territoriali, per tale illecito viene comminata una sanzione amministrativa pecuniaria, non certo in una pena sommaria di altra natura.
Non sono, dunque, in alcun modo giustificati nè lo spiegamento di forze nè, soprattutto, i metodi violenti con i quali l’operazione è stata condotta, metodi che ricordano sin troppo quelli che le motovedette libiche di Gheddafi e quelle tunisine utilizzavano negli anni ’80 e ’90 contro i pescatori di Mazara del Vallo, quando, come detto, non era infrequente che contro i nostri pescatori venisse aperto il fuoco e si procedesse a sequestri ed arresti.
Azioni violente che, giustamente, causavano grande indignazione in Italia. Allora le nostre unità militari erano in zona, a spese della collettività , per difendere interessi italiani, cosa che, invece, oggi raramente accade mentre sembra vi sia una inaccettabile omologazione di metodologie non democratiche estremamente pericolose.
Gregorio De Falco
(da agenzie)
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