I PARLAMENTARI NASCONDONO CHI PAGA LE LORO CAMPAGNE ELETTORALI
PER LEGGE DOVREBBERO PUBBLICARE TUTTI I NOMI, MA LO HANNO FATTO SOLO GARAVINI (PD) E GALLETTI (AP)
La stragrande maggioranza dei parlamentari preferisce comunque coprire i nomi dei finanziatori, il totale delle somme ricevute, e non specifica se si tratta di privati, aziende o altri soggetti giuridici.
Secondo Openpolis erano solamente quattro i deputati che non sbianchettavano questi dati ma ora sono rimasti solo in due — Garavini del Pd e Galletti di Ap — dopo la recentissima marcia indietro della metà dei «trasparenti».
Contribuiscono a generare una confusione, che inficia la linearità e la veridicità del panorama, anche i metodi di rendicontazione che non sono omogenei tra loro, essendo numerosi e disparati i moduli da depositare al collegio regionale di garanzia elettorale e i partiti politici.
Quest’ultimi con una mano danno in termini di sostegno e con l’altra prendono, generalmente con lo strumento del tesseramento obbligatorio con la conseguenza di comparire in entrambe le voci del bilancio.
Partendo dalle fonti vediamo come le campagne elettorali dei singoli candidati siano state finanziate in larga parte da «terzi», cioè da soggetti diversi dai partiti e dai candidati stessi.
La definizione generica cela la natura reale dei privati, che fanno la parte del leone con il 72% dei contributi a fronte di un minuscolo 6,49% coperto dal partito e un 21% erogato dal candidato stesso.
Tra i gruppi parlamentari è quello della Lega ad avere la maggiore percentuale di entrate da terzi con il 91,72% , seguono Forza Italia con il 78,60% e il Partito Democratico con il 75,43.
Il Movimento 5 stelle è invece appena sotto questo podio con il 73,6.
Per quanto riguarda i costi, i gruppi che mediamente hanno speso di più per le campagne elettorali dei singoli sono Fratelli d’Italia alla Camera con 29.910 euro e Area Popolare (Ncd-Udc) al Senato con 30.023.
I più virtuosi in entrambi i rami del Parlamento, sono i pentastellati con, rispettivamente, 662 e 455 euro spesi dai propri eletti.
Restando sempre in ambito di uscite, la maggior parte dei politici spende in materiali e mezzi di propaganda, costati poco più di un milione e 200mila euro.
La seconda voce è l’obolo versato al partito, non sempre e non da tutti ottemperato, con sommo disappunto dei tesorieri che comunque raccolgono oltre 863mila euro, a fronte di soli 88mila spesi per sostenere le spese elettorali dei loro candidati.
Il partito con il saldo più consistente tra dare e avere, nonostante le «minacce» di Maria Rosaria Rossi ai colleghi morosi, è Forza Italia, in attivo di quasi 261mila euro. Seguono Area Popolare con 196mila e, staccato di parecchio, il Partito Democratico con 36mila.
Gli unici in rosso sono i grillini che, secondo il rendiconto, non chiedono nulla ai loro deputati e senatori rimettendoci 574 euro.
Un ultimo dato interessante riguarda il comizio di piazza che sta quasi passando di moda.
Le manifestazioni sono costate appena 494mila euro complessivi. In tempi di social network rapidi e semplici e con l’antipolitica che spesso ricorre a vivaci contestazioni, meglio evitare di esporsi.
Manuel Fondato
(da “il Tempo”)
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