I PIEDI NUDI DEI MIGRANTI RACCONTANO IL PASSO STANCO DI CHI HA PERSO TUTTO
A CATANIA, PREFETTURA, CROCE ROSSA E GDF HANNO RECUPERATO 300 PAIA DI SCARPE DA DONARE AI PROFUGHI DELLA DICIOTTI, NON AVEVANO NEANCHE QUELLI… E QUALCHE INFAME PARLA DI PACCHIA
Altro che pacchia. Neppure le scarpe hanno.
Tanto che a Catania la Guardia di Finanza, su richiesta urgente della prefettura, ha consegnato alla Croce Rossa Italiana circa 300 paia di scarpe da donare ai migranti arrivati al porto con la nave Diciotti.
Scalzi, impauriti, stanchissimi.
Eccoli qui i migranti che non vogliamo più accogliere. Figure disperate mentre vanno avanti le operazioni di identificazioni. Ma poi c’è un cuore, il cuore nostro, che va oltre le regole imposte, le cattiverie, la politica come strumento di divisione.
E alla Prefettura di Catania e alla Croce Rossa e alla Guardia di Finanza, fuori dalla burocrazia, dalle norme, è venuto in mente che questa gente in attesa non aveva scarpe. E le scarpe hanno rimediato. Per trecento. GPer gli altri 600 vedremo, ma intanto è un gesto. Un gesto forte.
Le scarpe raccontano.
Lo scriveva su Globalist Delia Vaccarello raccontantando quello che accade a Kabul. “Davanti alla moschea di Kabul Imam Zaman, bombardata il 25 agosto da un commando dell’Isis, c’è una montagna di scarpe mutilate, spaiate, senza più padrone. Sono delle trenta vittime? Degli ottanta feriti? Di coloro che sono fuggiti scalzi in preda al panico al boato della prima granata? Le scarpe orfane restano legate indissolubilmente ai piedi che le hanno indossate per recarsi al tempio a recitare i versi della preghiera del venerdì. Le scarpe sanno, conoscono i segreti del corpo che solo i veri ciabattini riescono a penetrare. Le scarpe di Kabul li custodiranno per sempre, non correranno più per le strade del mondo. Non correranno più il rischio di essere usate e trasformate come la vita sa fare.Nelle moschee, se indossi calzature pregiate, puoi temere di non trovarle al tuo ritorno. E invece le scarpe orfane sono schermate da una protezione invisibile. Nessuno osa toccarle. Nel corso dell’attacco alla moschea sciita messo a segno anche da due kamikaze nessuno ha più pensato alle scarpe lasciate fuori dal tempio per rispetto verso lo spazio sacro. Chi ha potuto è fuggito a piedi nudi. (…)
La scarpa è legata alla vita dei corpi, e per questo può profanare. Ma ora non più. Ora, che le storie sono raccontate dall’usura delle suole, dalla povertà dei materiali, dall’eccezionalità delle fibbie ancora lucide di un solo paio, tra le 150, che deve aver protetto i piedi di una ragazza; ora, anche le scarpe sono sacre, sono tempio.
Le scarpe narrano. Ai profughi che hanno perso tutto restano le scarpe per fuggire.
La fotografa Shannon Jensen ha immortalato le scarpe dei sudanesi in fuga dal terrore e le immagini sono state utilizzate dalla campagna di Medici senza Frontiere “Milioni di passi”.
I passi di chi ha le scarpe per scappare dalla guerra. L’artista messicana Elina Chauvet ha raccontato per prima attraverso una installazione di scarpe rosse, simbolo della vitalità stroncata, lo strazio e la tragedia del femminicidio. Le scarpe narrano anche quando non ci sono. S
ono scalzi i migranti che approdano con i barconi sulle nostre coste e ricevono tutti le stesse scarpe, uguali, anonime.
Scarpe straniere per i loro piedi, come loro lo sono ancora — stranieri e smarriti – per la terra che hanno iniziato a calpestare”.
(da Globalist)
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