IL 70% DELLE LAUREATE DIVENTA MAMMA IN TRE ANNI, CONTRO IL 37% DI CHI HA LA LICENZA MEDIA
UNA RICERCA ISTAT RIVELA CHE SONO PIU’ INCLINI A FARE FIGLI LE DONNE CON ISTRUZIONE ALTA E UN LAVORO DI RILIEVO….SONO LAUREATE, IN CARRIERA E CON LA VOGLIA DI MATERNITA’: IN TESTA DIRIGENTI, LIBERE PROFESSIONISTE E IMPRENDITRICI, IN CODA OPERAIE E PRECARIE…IL 25% LASCIA POI IL LAVORO
Chi ha un livello di istruzione più alto e chi occupa una posizione di rilievo nel mondo del lavoro è più incline ad avere figli.
Lo sostiene l’Istat, in una indagine svolta nel febbraio 2007 e riguardante un campione di 10.000 persone interpellate già nel periodo precedente (2003/2007).
Emerge che tre laureate su dieci hanno avuto un figlio, rispetto a una donna su dieci in possesso di licenza dell’obbligo.
La maggior quota di successo è riscontrabile tra quante posseggono un’istruzione più elevata: il 68,2% delle laureate e il 54,4% delle diplomate riescono a realizzare l’intenzione di avere un figlio nel triennio in esame, contro il 37,8% delle donne con licenza media.
Analogo il trend per gli uomini: 54,2% dei laureati, 49,8% dei diplomati e 45,4% di chi possiede la licenza media.
Come per il livello di istruzione, anche dall’esame delle varie posizioni professionali, emerge che tra gli occupati di entrambi i sessi, sono quelli con una posizione più alta nel mondo del lavoro (dirigenti, professionisti e imprenditori) a presentare la maggiore propensione ad avere un figlio (23,1%), seguiti da direttivi, quadri e impiegati ((20,6%), da lavoratori in proprio (20,6%) e da operai/e (14,6%).
Rispetto a quanti nel 2003 dichiaravano di avere intenzione di avere figli, sono soprattutto gli occupati nelle posizioni medio-alte ad avere una maggiore probabilità di successo.
Per le donne lavoratrici la percentuale sale al 19,2%, rispetto al 12,5% delle casalinghe.
L’Istat osserva che “rilevanti differenze emergono dall’analisi della condizione lavorativa che non riguardano soltanto la propensione ad avere figli, ma che mettono in luce l’esistenza di difficoltà a mantenere lo status occupazionale iniziale.
L’arrivo di un figlio incide infatti sulla stabilità occupazionale delle donne in maniera rilevante, in relazione alla continuità lavorativa.
Più di un quarto (27,1%) delle occupate ha interrotto il proprio lavoro e tra loro il 56,8% attribuisce la causa dell’interruzione proprio alla maternità (26,5% in corrispondenza del primo figlio, il 32,7% del secondo figlio).
Ormai più di un quarto delle donne che hanno un figlio sono costrette a lasciare l’occupazione: si tratta di un dato rilevante, “strutturale” secondo l’Istat, che non trova conferma invece in altri Paesi nord-europei, dove lo Stato sociale è più accentuato e la società offre alle donne che lavorano strutture adeguate.
Sarebbe necessaria una riconsiderazione del lavoro femminile e una nuova politica della famiglia che aiutasse le donne a non dover rinunciare al lavoro, con delle forme moderne di assistenza ai figli piccoli.
Rinunciare ad una occupazione vuol dire spesso ritrovarsi una famiglia a monoreddito e con i costi attuali della vita, ciò rappresenta spesso una contrazione decisiva del livello di vità per troppe famiglie.
Da qui nascono spesso le statistiche che fanno emergenza un incremento costante delle nuove povertà , di cui prima o poi un governo civile dovrebbe cominciare ad occuparsi seriamente.
Con una politica della famiglia incisiva e una visione diversa della vita.
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