IL BUSINESS DEL SANGUE: AFFITTI E CONSULENZE AI FAMILIARI DEI DIRIGENTI AVIS CON I SOLDI DELLE DONAZIONI
L’INCHIESTA DI FANPAGE SU DOVE FINISCONO I SOLDI DELLE AVIS DI NAPOLI E ROMA
Nel sentire comune, l’Avis, viene quasi percepita come “un’istituzione pubblica”, in realtà si tratta di un’associazione privata senza scopo di lucro che opera con finalità di interesse pubblico: la raccolta di sangue che viene messo a disposizione degli ospedali, delle Asl e di tutte le strutture della sanità pubblica. Fanpage.it ha lavorato per diversi mesi al monitoraggio delle attività di raccolta sangue dell’Avis di Napoli ed ha approfondito i movimenti economici di alcune Avis locali in Campania e Lazio per capire dove finiscono i soldi pagati dal servizio sanitario nazionale per il sangue raccolto.
Le nostre telecamere nascoste hanno registrato diverse violazioni dei protocolli sanitari durante le raccolte del sangue svolte alle emoteche mobili in strade e piazze. Una serie di omissioni e violazioni delle più semplici norme che regolano la donazione del sangue che oltre a rappresentare una difformità rispetto alle leggi in vigore, mettono a rischio la salute pubblica. Inoltre, abbiamo svelato un sistema con cui alcuni dirigenti delle Avis locali hanno fatto finire i soldi raccolti dalle associazioni no profit nelle tasche dei propri familiari. Un vero e proprio business che nulla ha a che fare con il volontariato e la solidarietà.
“Facciamo un’eccezione”
L’Avis in Italia conta oltre 1 milione e 200 mila donatori. Si tratta di un patrimonio indispensabile per il servizio sanitario nazionale. Senza le loro donazioni di sangue ci sarebbe maggiore difficoltà per le trasfusioni e per la produzione di farmaci emoderivati. Il sangue può essere raccolto o presso le sedi ufficiali delle associazioni, oppure in strada, con le emoteche mobili, fenomeno diffuso solo in alcune città. Tra queste c’è Napoli, dove le nostre telecamere nascoste hanno ripreso per diverse settimane il comportamento di alcuni volontari e medici dell’Avis durante la raccolta del sangue in strada. Abbiamo visto come alcuni volontari Avis pur di raccogliere una sacca di sangue in più, sembrerebbero essere disposti a tutto. Un donatore deve rispettare diverse prescrizioni per poter dare il sangue: non bisogna avere tatuaggi fatti di recente, non bisogna assumere determinati tipi di farmaci, deve esserci la chiara e precisa identità del donatore. Questi sono solo alcune delle oltre 70 condizioni che vengono richieste nella scheda di anamnesi che i volontari dovrebbero far compilare al donatore.
Invece le nostre spycam mostrano che non solo alcuni volontari non consegnerebbero la scheda di anamnesi ai donatori, compilandola loro e non mostrandola mai alle persone che si apprestano a donare, violando palesemente i protocolli, ma suggerirebbero risposte alle domande poste dai medici. “Hai fatto un tatuaggio recentemente? Se te lo chiede il medico dici che lo hai fatto quattro mesi fa, altrimenti non puoi donare” dice una volontaria alla nostra giornalista che si è finta donatrice. Un invito a dichiarare il falso e una violazione dei protocolli sanitari. “Prendete antistaminici e cortisonici? Ok va bene” dice una dottoressa dell’Avis di Napoli ad un’altra potenziale donatrice. Anche questa una violazione dei protocolli sanitari. “Non ha il documento d’identità? Va bene facciamo un’eccezione, poi ce lo manda per whatsapp” è l’affermazione di un’altra volontaria dell’Avis durante una donazione.
Il rischio è quello di mettere in circolo sangue non tracciabile o peggio ancora che possa essere esposto a rischi. “Il questionario anamnestico è un foglio informativo – spiega a Fanpage.it il dott. Antonio Pavan, primario di Immunoematologia del Policlinico Umberto I di Roma – in cui vengono riportati tutti quelli che possono essere gli eventuali comportamenti a rischio del donatore e i farmaci che sono utilizzati. Si tratta di una dichiarazione ufficiale del donatore e ha anche valore legale. Dichiarare il falso può essere molto rischioso”. È giusto tuttavia aggiungere che le strutture sanitarie pubbliche svolgono comunque analisi e accertamenti dettagliati e approfonditi sulla donazione del sangue. Esami che, tuttavia, hanno un costo che grava sulla collettività e che inoltre non possono che basarsi sulle dichiarazioni scritte nell’anamnesi del donatore.
Non solo. Oltre ai volontari, che pur di raccogliere sangue, sarebbero disposti a violare le procedure sanitarie, ci sono alcuni medici, pagati dall’Avis, che si assumono la responsabilità di come viene raccolto il sangue e delle eventuali omissioni o violazioni procedurali. Ma chi sono questi medici? A spiegarcelo è un dottore dell’Ospedale Cardarelli di Napoli, con cui l’Avis locale ha una convenzione. “I medici delle associazioni sono medici a gettone – ci racconta – se io vado in una zona e inizio a scartare troppe persone, sto facendo un danno all’associazione”. Insomma se si applica la legge, bisogna scartare dai donatori diverse tipologie, come ad esempio chi assume cortisonici, chi ha fatto un tatuaggio recente, chi non ha documento. Quello che abbiamo ripreso per diverse settimane nei luoghi di raccolta dell’Avis di Napoli ci viene confermato anche da alcuni ex volontari dell’associazione. “Molto spesso vengono commessi degli errori sanitari – ci racconta un ex volontario dell’Avis di Napoli – si viene invogliati a chiudere un occhio per incassare di più”
“C’è una consigliera dietro”
Nata nel 1927, l’Avis è una associazione privata strutturata in maniera federativa con associazioni comunali, provinciali, regionali e la struttura nazionale. L’Avis non è la sola associazione che in Italia si occupa della raccolta di sangue da fornire alla sanità pubblica. Per raccogliere più sangue possibile con le emoteche mobili, le Avis locali devono presidiare i luoghi più affollati della città. A Napoli l’Avis riesce ad ottenere la concessione delle vie e delle piazze più affollate per un periodo lunghissimo, senza consentire, di fatto, a nessuna altra associazione di potersi aggiudicare anche solo per pochi giorni le migliori postazioni. Via Toledo, Piazza del Gesù, Piazza Garibaldi, sono alcuni dei luoghi dove le emoteche dell’Avis di Napoli stazionano quasi ogni giorno. Si tratta di un fenomeno, quello della raccolta del sangue da donatori occasionali, che è particolarmente diffusa nel capoluogo campano e meno diffusa nel resto d’Italia.
Ci siamo recati più volte agli uffici comunali interessati per capire come fosse possibile che l’Avis di Napoli si aggiudicasse sempre le migliori postazioni sempre, in un caso addirittura per un anno intero. Fingendoci membri di un’associazione per la raccolta del sangue abbiamo fatto vari tentativi di richiesta degli stessi luoghi di raccolta solitamente usati dall’Avis Napoli. Dopo estenuanti discussioni ci hanno detto come stanno le cose. “Senta ma come è possibile che l’Avis riesce ad ottenere tutte queste autorizzazioni?” chiediamo negli uffici del Comune. “Noi purtroppo siamo perseguitati, c’è una consigliera comunale che ci perseguita e ci bombarda. Noi però non vi abbiamo detto niente” ci rispondono. In altre parole, l‘Avis di Napoli godrebbe quindi della sponsorizzazione di una consigliera comunale che farebbe pressione sugli uffici comunali per il rilascio delle autorizzazioni. La stessa consigliera comunale organizza e sponsorizza gli eventi dell’Avis di Napoli. I dirigenti dell’Avis di Napoli si sentono quindi “blindati” dalla politica per ottenere quante più sacche di sangue possibili da dare poi al servizio sanitario pubblico in cambio di soldi. Una condizione che si evince chiaramente dalle parole di Raffaele Di Martino, presidente dell’Avis Napoli 1, durante un incontro sul tema organizzato all’ospedale Cardarelli. “Noi abbiamo dei posti storici e ritengo che debbano esserci lasciati liberi. Io a via Roma ho costruito una vita, quindi (gli altri ndr) a via Roma no” dice Di Martino. Quando il rappresentante di un’altra associazione gli fa notare che: “Via Roma non ve la siete comprata”, Di Martino replica: “Tra vent’anni quando io non ci sarò più, rivendicherete le vostre posizioni”
Il “sistema” degli affitti
Quando le Avis locali raccolgono le donazioni di sangue, le sacche vengono conferite alle strutture ospedaliere o alle Asl con cui le singole Avis locali sottoscrivono delle convenzioni. Per ogni sacca di sangue raccolto le Avis ricevono un rimborso di circa 56 euro. Solo nel 2022 le Avis di tutta Italia hanno raccolto quasi due milioni di sacche di sangue per un corrispettivo stimabile in decine di milioni di euro. Ma dove finiscono i soldi che si incassano dal servizio sanitario nazionale? Quello che abbiamo scoperto è un sistema messo in piedi da alcuni dei dirigenti più influenti dell’Avis in Campania per “girare” parte dei soldi che l’associazione raccoglie ad alcuni dei loro famigliari. Tutto gira intorno al pagamento dell’affitto per le sedi delle Avis locali.
A Casalnuovo, in provincia di Napoli, la sede dell’Avis locale si trova in via Saggese, si tratta di diversi locali al piano terra fronte strada. La proprietà dell’immobile, a cui l’Avis locale paga l’affitto con un regolare contratto, è della Urania srl. I due proprietari della società sono Almonio Burattini, responsabile dell’Avis Casalnuovo e il figlio di Leonardo De Rosa il direttore sanitario dell’Avis regionale. Lo stesso schema si ripete a Napoli, dove in via Rosaroll hanno sede l’Avis Napoli 1 e l’Avis Campania. I due appartamenti al primo piano sono di proprietà della moglie, della figlia e del figlio di Bruno Landi, storico dirigente Avis campano.
I contratti di affitto regolarmente registrati, che abbiamo visionato, descrivono una locazione di circa 20mila euro all’anno, per gli appartamenti usati come sedi dell’Avis locale. L’Avis, vale la pena di ribadirlo, è una federazione di associazioni di volontariato: si tratta quindi di no profit, strutture senza scopo di lucro, nelle cui attività i membri ed i soci non possono trarre guadagno in maniera diretta o indiretta. A Bruno Landi abbiamo chiesto conto di questa situazione, ma il dirigente non ha trovato nulla da eccepire. “Le proprietà sono intestate ai miei figli, c’è un regolare contratto registrato, è tutto a posto” dice Landi davanti alle nostre telecamere. Insistiamo: non ci trova nulla di strano nel fatto che l’associazione paghi l’affitto ai suoi figli? “Non c’è nulla di strano, se c’è qualcosa che non va me lo faccia sapere” commenta
La consulenza alla moglie dell’ex presidente
La gestione familiare dei soldi delle Avis non riguarda solo la Campania: anche nel Lazio abbiamo trovato situazioni analoghe, in cui i soldi dell’associazione finiscono di fatto nelle tasche dei familiari dei dirigenti. Il caso che abbiamo preso in esame è quello della “Casa del donatore”, una struttura malconcia situata alla periferia Nord di Roma, che l’Avis locale ricevette dalla Regione Lazio nel 2018 per farne una struttura specializzata per la donazione del sangue. A volere fortemente il progetto fu l’ex presidente dell’Avis di Roma, Maurizio Infantino, che utilizzò queste parole in occasione della presentazione del progetto: “La casa del donatore è un luogo dove le persone diventano volontari, i volontari diventano donatori, sarà il luogo dove poter donare”.
Sotto la presidenza di Infantino, l’Avis di Roma affida una consulenza per la realizzazione del progetto della struttura alla società In Pocket srl. La proprietà della società è divisa tra lo stesso Infantino e sua moglie. Raggiunto al telefono da Fanpage.it, Infantino ha commentato: “Il mio obiettivo in quel momento era risparmiare soldi – dice l’ex presidente dell’Avis Roma – oggi direi che non è stata opportuna quella cosa, io impropriamente ho dato disponibilità. Avrei dovuto dire di no, ma tante cose sono state fatte in pieno spirito solidaristico”.
Ma dopo che la società di Infantino e della moglie ha incassato la consulenza per il progetto della Casa del Donatore, cosa ne è stato della struttura? Siamo andati a verificarlo di persona. La struttura oggi è in evidente stato di abbandono. Un vicino ci spiega cosa ne è stato di quella che doveva essere la Casa del Donatore: “Hanno cominciato a fare dei lavori – ci dice – poi è successo qualcosa ai vertici dell’Avis ed hanno abbandonato la storia. Si vede che hanno visto solo il progetto sulla carta, perché non se ne è fatto più niente”.
Abbiamo chiesto all’attuale presidente dell’Avis di Roma, Raniero Ranieri un commento sulla vicenda della “Casa del donatore”: “Noi abbiamo abbandonato la Casa del Donatore, per me è un capitolo chiuso e non vorrei che non fosse mai riaperto. Non voglio assolutamente riaprire quel caso, il vecchio consiglio direttivo aveva deciso di fare un certo progetto, fu deciso a maggioranza di andare avanti ed è stato portato avanti fino a quando c’era Infantino, poi il nuovo consiglio direttivo ha deciso di fermare tutto. Abbiamo restituito l’immobile alla Regione Lazio e non vogliamo fare nessuna polemica retroattiva su quello che è successo precedentemente. Non voglio fare nessuna azione né pro e né contro, per me questa cosa è chiusa per sempre”. A Raniero Ranieri abbiamo chiesto se l’operazione della “Casa del Donatore” ha lasciato danni economici ai conti dell’Avis Roma, per capire quanto sia costata l’operazione: “Per me la vicenda è chiusa, non voglio aprire nessun contezioso. Se volete ne parlate con l’Avis nazionale”
La risposta di Avis: “Infangano l’associazione”
Siamo andati, infine, dal presidente nazionale dell’Avis, Gianpietro Briola, per mostrargli quanto abbiamo documentato. Medico di pronto soccorso, Briola ci accoglie all’ospedale dove presta servizio in provincia di Brescia. Gli mostriamo tutto quello che abbiamo raccolto ed i documenti che attestano il travaso di denaro dalle casse delle Avis locali di Napoli e Roma alle tasche dei familiari dei dirigenti. E la prima cosa che gli chiediamo è proprio questa: è un problema la gestione dei soldi che vengono presi dal servizio sanitario nazionale? “Assolutamente sì – risponde il presidente dell’Avis nazionale – ogni sezione ha una sua autonomia gestionale e allora in questo sono i dirigenti locali che devono rispondere delle cose che fanno davanti alla legge. L’associazione non deve essere concepita né come un bene personale, né come un ritorno economico. Su Napoli poi avevamo già avuto dei problemi, pensavamo di averli superati”.
Ma a Briola mostriamo anche quello che avviene presso le emoteche mobili, le registrazioni che documentano come i volontari violino i protocolli sanitari, e tutta la storia della Casa del Donatore di Roma. Briola è visibilmente sconcertato: “Sinceramente io, carte alla mano, farò sicuramente un esposto – ci dice – infangano il buon lavoro di migliaia di volontari che lavorano sul territorio e di milioni di donatori”. L’appello che noi facciamo e che ribadiamo, l’Avis è fatta soprattutto di brave persone – sottolinea Briola – sul territorio c’è bisogno di donare, quindi a tutti chiediamo di venire a donare il sangue, non per Avis, ma per i malati che ne hanno bisogno ogni giorno”.
(da Fanpage)
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