IL FAR WEST DEI CALL CENTER: LISTE SELVAGGE E REGOLE AGGIRATE
CHIAMATE A OGNI ORA E ANCHE SENZA CONSENSO: LE OFFERTE VIA TELEFONO SONO UN ASSILLO QUOTIDIANO PER MILIONI DI ITALIANI
Squillano mentre giriamo il sugo o appena dopo pranzo. Quando siamo sul bus, o mentre lavoriamo. Ci raggiungono sul fisso e sul cellulare, ci chiamano per nome e magari ci danno anche del «tu». E ovvio: hanno sempre in serbo un’offerta irrinunciabile e solo per noi.
Ma spesso ottengono solo di esasperarci, di farci infuriare.
Così i call center, da simbolo che erano del lavoro precario e instabile, sono diventati soprattutto il simbolo di un assillo quotidiano. Che non risparmia nessuno.
Colpa dell’inarrestabile ascesa del telemarketing, delle offerte fatte via telefono per conto di operatori di telefonia e internet, di aziende del settore energetico, ormai anche di assicurazioni e banche.
E colpa di un sistema che non sta in piedi, di un settore che naviga tra regole assenti ed altre disattese.
Un sistema dopato
La prima cosa da sapere è questa: chi vi chiama per proporre una nuova offerta non lavora mai dentro Vodafone, Wind, Tiscali, Enel e così via.
Salvo rarissime eccezioni, fa parte di un’azienda esterna, e specializzata. I call center sono regolari intermediari: ricevono in appalto il compito di contattare (e conquistare) nuovi clienti, e vengono pagati in funzione dei risultati. Tot contratti, tot euro.
È l’unica cosa che conta. E qui il sistema s’inceppa. Perchè la competizione è agguerrita e i margini sono bassissimi.
La sostenibilità economica di queste aziende è il primo problema, su tutti i fronti.
Lo è ovviamente anche sul fronte dei rapporti con i consumatori. Perchè con i margini risicati è difficile tenere la barra diritta, fare risultati rispettando le regole, l’etica e le buone maniere.
In teoria a controllare che non vengano compiuti abusi c’è il Garante della Privacy, ma ha strumenti – ovvero norme – non abbastanza affilati.
In teoria spetta anche ai committenti di vigilare su chi lavora per conto loro, anche per evitare danni d’immagine. Ma di fatto non avviene, o troppo poco.
I contratti e i risultati sono l’unica cosa che conta. È come uno sport dove l’antidoping non funziona.
Oltre il consenso
L’emblema di tutto quello che non funziona sono gli elenchi. Le liste di nomi e numeri che ogni operatore telemarketing ha sulla scrivania, o nel computer.
Il sistema attuale prevede il cosiddetto «opt out». Ovvero: tutti sono contattabili, a meno che non neghino il consenso in modo esplicito.
«Fino al 2011 esisteva la regola del consenso espresso – spiega Giuseppe Busia, segretario generale del Garante della Privacy – e si poteva telefonare solo a chi aveva dato l’autorizzazione a ricevere chiamate promozionali. Poi il sistema è cambiato».
In gran parte dei casi, se vi squilla il telefono è perchè vi è scappata una firma o una crocetta di troppo, avete dato il consenso dentro un modulo online o per la carta fedeltà del supermercato.
Ma ormai capita anche se siete stati attenti, e il consenso non l’avete mai dato a nessuno. Dentro i call center – che spesso lavorano per diversi committenti – le liste «non consensate» girano da un tavolo all’altro. Anche se non dovrebbero.
E intanto fioriscono persino le aziende specializzate in questo: nel compilare liste di nomi e numeri e rifornire i call center di utenti da tormentare.
Ristabilire le regole
Ma poi non ci sono solo le liste selvagge. Anche i modi possono essere spiacevoli.
È il caso delle chiamate mute. Il telefono squilla, l’utente risponde, ma dall’altra parte non c’è nessuno.
Merito dei sistemi automatici che velocizzano il lavoro, ma il metodo è a dir poco insopportabile. Già nel 2014 il Garante della Privacy ha indicato dei limiti anche a questo. E poi a marzo 2016 è Assocontact – l’associazione nazionale dei contact center in outsourcing – ad aver messo nero su bianco un codice etico.
Una serie di regole che tutte le aziende del settore s’impegnano a seguire. La parte più importante è l’articolo 7. Che recita così: «Sono vietate tutte le pratiche ambigue, scorrette, ingannevoli o sleali, indipendentemente dal fatto che violino specifiche norme di legge e regolamenti nazionali». E poi l’articolo 8, che stabilisce diversi principi importanti. Mai chiamate prima delle 9 o dopo le 21. Mai chiamate allo stesso numero, da uno stesso call center, più di una volta al mese. Mai insistere se l’interlocutore vuole terminare la chiamata. Mai chiamate mute, nei termini di quanto indicato dal Garante. Già basterebbe a rendere la vita dei consumatori più serena.
«Un sistema da rifondare»
Secondo gli ultimi dati del Cerved, l’universo italiano dei call center esternalizzati conta 2.501 imprese, con 80 mila addetti totali e un fatturato complessivo da 1,3 miliardi di euro all’anno.
Le prime otto aziende rappresentano il 59,3 per cento del mercato. Compresa Almaviva. Anche se a trainare il settore resta l’assistenza clienti, il telemarketing ha ripreso a crescere.
«In corso c’è una grande trasformazione – conferma Roberto Boggio, presidente di Assocontact – e si stanno aggiungendo committenti nuovi: non più solo gli operatori di telecomunicazioni, ma sempre più le utility, poi banche e assicurazioni, anche le pubbliche amministrazioni».
Sul tema della chiamate moleste, Boggio non si nasconde: «Il sistema è completamente da rifondare. Vogliamo un modello nuovo, che permetta ai call center di contattare solo chi è realmente interessato ad accedere a sconti ed offerte speciali. Il codice deontologico che ci siamo dati va in questa direzione. Ma noi proponiamo qualcosa di più: una banca dati dove per ogni utente ci sia un ‘sì’ o un ‘no’ ad indicare il consenso o meno. Siamo disposti a far nascere un organismo ad hoc per creare questa banca dati».
Il Registro delle opposizioni: un rimedio a metà
Eppure qualcosa di simile esisterebbe già . Un rimedio alle chiamate indesiderate che si chiama «Registro pubblico delle opposizioni».
Un elenco istituito nel 2011 per legge: basta iscriversi per revocare il consenso ad essere contattati a scopo di marketing. ma è un’arma spuntatissima.
Perchè vale solo per 13 milioni di linee telefoniche su 115 milioni totali, cioè vale solo per quelle inserite negli elenchi pubblici.
E c’è un altro guaio: l’iscrizione non basta ad azzerare i consensi dati in precedenza. «Serve una maggiore protezione – osserva il segretario generale Busia – e serve prevedere la possibilità di iscrivere nel Registro tutte le numerazioni telefoniche, anche quelle che non sono sugli elenchi, quindi pure i cellulari. E soprattutto che l’iscrizione consenta la cancellazione di ogni eventuale consenso pregresso».
Anche il numero uno di Assocontact concorda: il Registro va riformato.
«Dovremmo farlo con un’azione coordinata – dice – e che finalmente veda tutti prendersi le proprie responsabilità . Le nostre aziende insieme ai committenti, alle authority, alla politica. Oggi ci sono molte resistenze al cambiamento. Ma le colpe sono di tutti. È nell’assenza di regole, e in un quadro in cui i committenti tirano tirano e tirano, che si è generata una situazione che porta fino alle chiamate moleste».
Stefano Rizzato
(da “La Stampa”)
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