IL LATO OSCURO DEI THINK TANK: ECCO I PADRONI DEL PENSIERO
ESPERTI RIVELANO AL NEW YORK TIMES CHE CI SONO GOVERNI TRA I FINANZIATORI
Sono ammirati nel resto del mondo, i think tank americani, questi pensatoi dove lavorano i migliori esperti su ogni materia: geopolitica, strategia, economia, ambiente, tecnologia.
Sono talmente venerati, che il resto del mondo se li sta comprando. Letteralmente.
Lo rivela un’inchiesta- shock del New York Times.
I grandi centri di ricerca sugli affari internazionali, dalla Brookings Institution di Washington all’Atlantic Council, ricevono generosi finanziamenti da governi esteri.
E non sono regali disinteressati. Alcuni esperti hanno vuotato il sacco, rivelando di essere stati pesantemente influenzati dalle pressioni delle potenze straniere.
Ce n’è per tutti, alleati e rivali economici, potenze amiche o rivali, piccole e grandi: dalla Norvegia al Giappone, dagli Emirati Arabi Uniti al Qatar, da Pechino a Berlino.
Tutti sembrano aver capito questo piccolo sporco segreto della politica americana.
Se vuoi influenzare le strategie del Dipartimento di Stato, puoi farlo alla luce del sole affidando la difesa dei tuoi interessi ad una società di lobbying.
Ma il metodo occulto e indiretto è ben più efficace.
Proprio perchè l’Amministrazione Usa fa ampio ricorso alle analisi dei think tank, perchè non “comprarsi” quelle?
Il ministro, il sottosegretario, la commissione parlamentare che riceve un ampio e documentato studio di politica estera non ne sospetta il “mandante”, a differenza di quel che accade se riceve un lobbista.
La rivelazione del New York Times è grave, secondo diversi esperti legali questi comportamenti possono violare le leggi federali
Se un membro del Congresso si informa su un dossier di politica estera usando un rapporto della Brookings Institution, spiega sul New York Times l’ex ricercatore Saleem Ali, «dovrebbero sapere che ricevono un punto di vista parziale, e invece non ne sono consapevoli». Lui sa di cosa parla.
Al momento di essere assunto alla Brookings come Visiting Fellow, gli fu detto chiaro e tondo che le sue ricerche non dovevano contenere critiche al governo del Qatar, generoso finanziatore di quel think tank.
Il Qatar ha donato alla Brookings 14,8 milioni di dollari per pagare ricerche sui «rapporti tra gli Stati Uniti e il mondo islamico».
La scoperta è particolarmente imbarazzante perchè coincide con altre rivelazioni: il Qatar ha finanziato anche l’esercito jihadista dello Stato Islamico che partendo dalla Siria e dall’Iraq punta a creare un Grande Califfato.
Il Center for Strategic and International Studies, diretto da John Hamre, ha una lista di 13 governi stranieri tra i suoi finanziatori. Un elenco che va dalla Germania alla Cina.
Interpellato dal New York Times , Hamre non ha voluto divulgare gli accordi che regolano questi rapporti di finanziamento, ma ha smentito che si possa equiparare ad un’attività di lobbismo. «Io non vado – ha dichiarato Hamre – da un membro del governo Usa a dirgli che vorrei parlargli del Marocco o degli Emirati o del Giappone».
Il problema sta proprio qui: l’agenda d’interessi degli stranieri non viene dichiarata, quindi l’Amministrazione e il Congresso di Washington non sanno “filtrare” certi studi dei think tank depurandoli dell’influenza dei finanziatori esteri.
E’ per evitare queste influenze occulte dall’estero, che nel 1938 venne varato il Foreign Agent Registration Act: a quel tempo l’obiettivo primario della legge federale fu d’impedire una propaganda occulta al servizio degli interessi nazisti.
Quella legge impone a qualsiasi gruppo che riceva fondi da governi esteri con l’intenzione d’influenzare le politiche governative, il dovere di registrarsi come “agente straniero” presso il Dipartimento di Giustizia.
Questo non ha impedito che i fondi esteri affluissero in America in quantità crescente per finanziare la ricerca.
A volte si tratta di donazioni davvero disinteressate.
E’ di ieri la notizia di un lascito-record all’università di Harvard, 350 milioni di dollari (la maggiore donazione ricevuta da un singolo nella storia di questa università ), ad opera di un magnate di Hong Kong deceduto, T.H. Chan.
La totalità dei fondi va alla ricerca medica e non ci sono agende “politiche” dietro.
Quando invece la New York University ha raggiunto un accordo con il governo cinese per l’apertura di un campus nella Repubblica Popolare, il prezzo da pagare si è visto: la stessa Nyu ha manovrato per allontanare un noto dissidente cinese che aveva accolto con una borsa di studio.
Anche nei think tank l’influenza può essere indiretta.
Nel caso della Norvegia, i suoi finanziamenti hanno promosso ricerche che spingono gli Usa ad azioni sul cambiamento climatico su vari fronti… ma non contro gli interessi dell’industria petrolifera, il maggiore business di Oslo.
Federico Rampini
(da “La Repubblica”)
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