IL PROGETTO DI RIFORMA FISCALE DEL GOVERNO: PIU’ TASSE PER I RICCHI, MENO PER IL CETO MEDIO
L’ALIQUOTA DEL 38% POTREBBE SCENDERE AL 34%, QUELLA DEL 43% SALIRE AL 45%… SI CERCANO LE COPERTURE E LA QUADRA POLITICA
Il taglio delle tasse alla tedesca è collocato lì, su un orizzonte lungo e già oscurato dalla contrarietà dei renziani e dallo scetticismo dei 5 stelle.
E poi per mettere in piedi una riforma fiscale così articolata, con un algoritmo capace di calcolare un’aliquota personalizzata, servirà tempo.
Non a caso il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, nell’introduzione della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, scrive che la riforma del fisco sarà messa in piedi “nel corso del prossimo triennio”.
L’obiettivo è renderla operativa dal 2022, ma il Governo sta pensando a un segnale da dare già il prossimo anno. Come? Abbassando l’aliquota Irpef del 38% al 34% e alzando quella del 43% al 45 per cento.
Lo schema, di cui Huffpost è venuto a conoscenza da due fonti di Governo di primissimo piano, è ancora allo studio e deve superare i check economici e politici. In sintesi: deve essere una soluzione compatibile con i conti pubblici e con le altre misure affini (leggere assegno unico per i figli) e deve andare bene a tutte le forze della maggioranza.
Ma al di là del suo destino, l’ipotesi ha una sua articolazione definita e anche un obiettivo: alleggerire il peso fiscale che grava sui redditi compresi tra 28mila e 55mila euro, quelli che oggi hanno un’aliquota del 38 per cento. Lo scaglione racchiude i contribuenti che tradizionalmente vengono identificati con l’espressione ceto medio e questo è il target che il Governo ha sempre detto di voler tutelare maggiormente, provando ad arrivare – sempre per citare le parole dell’introduzione di Gualtieri – “al miglioramento dell’equità e dell’efficienza del prelievo e alla riduzione della pressione fiscale”.
L’aliquota del 38% verrebbe quindi abbattuta in modo consistente, con un taglio di quattro punti percentuali, e a bilanciamento di questo intervento arriverebbe contestualmente un innalzamento dell’aliquota del 43%, quella che oggi impatta sui redditi di importo superiore ai 75mila euro all’anno. Inquadrata in un ottica sociale e politica, il riordino delle aliquote andrebbe ad aprire un vantaggio importante per il ceto medio, mentre ai redditi più alti verrebbe chiesto un sacrificio quantificato in un innalzamento dell’aliquota di due punti percentuali.
Al netto delle valutazioni che saranno fatte nel corso delle prossime settimane, lo schema potrebbe essere operativo già nel 2021. Ma bisognerà capire anche se l’operazione è sostenibile dal punto di vista dei soldi che servono per questo intervento.
Anche perchè sono state già impegnate risorse considerevoli sul fronte fiscale. L’assegno unico per i figli, solo per fare un esempio, ha un costo di sei miliardi. E poi altri due miliardi servono per la proroga del taglio del cuneo fiscale nelle buste paga dei lavoratori dipendenti. Il conto sale se si considera che coprire gli sgravi fiscali per le imprese che assumono al Sud costa cinque miliardi all’anno.
Una parte di queste risorse potrà essere coperta con i soldi del Recovery Fund, ma gli spazi di manovra potrebbero comunque non essere così ampi per procedere al riordino delle aliquote.
Tuttavia il tentativo è partito e si proverà fino all’ultimo a portarlo a compimento. D’altronde ne vale la pena per il Governo, anzi di più. Portarlo a traguardo significherebbe arrivare al 2021 con un primo taglio dell’Irpef in tasca. Tradotto in risultato politico: qualcuno pagherà meno tasse.
(da “Huffingtonpost”)
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