IL SEGRETARIO DI STATO PAROLIN CONTINUA A TESSERE LA TELA IN VISTA DEL CONCLAVE. E’ UNA FIGURA DI MEDIAZIONE TRA PROGRESSISTI E CONSERVATORI E HA L’APPOGGIO DEI LEADER GLOBALI, UNICA ECCEZIONE: ISRAELE
PAROLIN DI FRONTE AI 30MILA MORTI DI GAZA PARLO’ DI “SPROPORZIONATA REAZIONE” DELLO STATO EBRAICO… IL DISGELO CON LA CINA E’ STATO VISTO COME UN CEDIMENTO AL REGIME COMUNISTA DALL’ALA CONSERVATRICE DELLA CHIESA
Rapporti di forza, cordate, trattative segrete, potere: cosa c’è di più politico del conclave? Evento politico e geopolitico per eccellenza, perché dall’uomo che regnerà su un miliardo e mezzo di cattolici nel mondo dipendono anche una buona parte degli equilibri globali.
E allora non è blasfemia raccontare quanto sia interesse dei capi di Stato e di governo sapere chi salirà sul trono di Pietro. Quanto, attraverso un sapiente uso
delle proprie relazioni, questi leader provino a sondare, se non addirittura orientare, qualche cardinale, o i pontieri, nella speranza che alla fumata bianca, dal balcone di San Pietro, si affacci un volto a loro gradito.
Sarebbe poco più di un gioco – chi tifa per chi – se non ci fossero prove di corteggiamenti reali, se tra cardinali e fonti diplomatiche non si raccontasse di precise predilezioni, e in alcuni casi anche di colloqui veri e propri a sostegno di un candidato.
Le previsioni della vigilia premiano il segretario di Stato Pietro Parolin, inquadrato tra i progressisti. Con qualche notevole eccezione, tipo Israele, è il porporato che più di altri in questi complicati anni di guerre e frammentazione delle alleanze ha conquistato i cuori dei leader, trasversalmente alla loro appartenenza politica, grazie al ruolo di capo della diplomazia vaticana.
Ma partiamo da ieri. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, in visita di Stato a Roma, ha chiesto di infilare all’ultimo una tappa in Vaticano, per un saluto proprio a Parolin. Considerando se stesso la guida dei popoli musulmani che si affacciano sul Mediterraneo, Erdogan ha apprezzato come il segretario di Stato, ancora prima di papa Francesco, di fronte a 30 mila morti a Gaza abbia parlato di «sproporzionata reazione di Israele». Per lo stesso motivo, Parolin non potrà certo contare sul tifo del premier israeliano Benjamin Netanyahu.
La continuità con Bergoglio è una faccenda delicata. Raccontano in Vaticano come Parolin abbia subìto il piglio da accentratore del pontefice argentino, e come sia stato a volte depotenziato, per esempio quando Francesco spedì in Ucraina e in Russia il capo dei vescovi italiani Matteo Zuppi, per parlare di pace.
Nel duello tutto italiano e interno ai riformisti, di fronte a una ipotetica scelta, Parolin avrebbe molte più chance di raccogliere consenso tra i conservatori, etichetta che in questo caso va intesa sia per i cardinali sia per i leader politici. Il suo riconosciuto pragmatismo potrebbe aiutarlo ora in conclave, come lo ha aiutato in questi anni, anche in confronti difficili.
Sui migranti, per esempio.
Fermo sui principi dell’accoglienza e d’accordo con l’inflessibilità di Bergoglio, è riuscito a mediare con la destra italiana ogni volta che è stata al governo:
contribuendo, per esempio, a una soluzione umanitaria assieme al premier Giuseppe Conte per far sbarcare i migranti che Matteo Salvini teneva fermi in mare.
Ha lavorato per smussare i conflitti con il governo di Giorgia Meloni, trovando alla fine un’ottima interlocuzione con Palazzo Chigi, pure nell’organizzazione del Giubileo..
Uno dei risultati diplomatici del pontificato di Bergoglio è stato l’accordo con la Cina, prorogato qualche mese fa per altri quattro anni. Un capolavoro dal punto di vista di Parolin che lo ha gestito, un cedimento al regime comunista per l’ala conservatrice della Chiesa. Questo, secondo le fonti cardinalizie, potrebbe essere il suo punto debole, nella ricerca di un consenso più largo, aperto a destra.
Letto con gli occhiali dei rapporti internazionali, è un nodo da sciogliere anche con Donald Trump, che sta ridefinendo le priorità geopolitiche degli Stati Uniti proprio contro le ambizioni egemoniche di Xi Jinping.
Parolin è allievo del cardinale Achille Silvestrini, tra i registi della Ostpolitik vaticana, la politica di progressiva apertura all’Est Europa e di normalizzazione dei rapporti con l’Unione Sovietica.
Una strategia politica riapplicata verso l’Estremo Oriente, dove è nato e ha origine un altro cardinale spendibile con i cinesi: il filippino Luis Antonio Tagle, anche lui un bergogliano finito nella short list dei favoriti.
(da agenzie)
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