IL SUD TRASCURATO E’ LA SPINA NEL FIANCO DI RENZI
DALL’INCHIESTA DI POTENZA ALLO SCONTRO CON EMILIANO, TUTTI I NODI
«Non è il Sud ad avere bisogno dell’Italia, è l’Italia ad avere bisogno del Sud», disse Matteo Renzi all’inizio della sua avventura.
Parafrasandolo, si potrebbe dire oggi che non è il Sud ad avere bisogno di Renzi, piuttosto è il contrario.
Perchè banalmente è lì il giacimento elettorale che può decidere le sue sorti. Tra quei milioni di elettori, dove la propaganda leghista fatica ancora a sfondare per antica diffidenza, Renzi potrebbe fare man bassa visto lo stato comatoso del centrodestra. Eppure è proprio al Sud che il premier sembra stia perdendo la sua partita.
Se solo si alza lo sguardo da Twitter e lo si allunga sulle regioni del Mezzogiorno, il catalogo dei problemi è vasto e sembra mancare l’urgenza di una grande priorità nazionale.
L’inchiesta di Potenza ha svelato agli italiani una realtà ancora più grave dei maneggi di piccoli affaristi pronti a lucrare qualche appalto.
Il giacimento di Tempa è stato scoperto nel 1989, il completamento è previsto a fine 2017 , ovvero dopo quasi 28 anni di stop and go burocratici.
In Egitto, non in Svizzera, il giacimento Eni di Zohr inizierà a produrre dopo soli 3 anni dalla scoperta.
In Puglia l’elenco delle incompiute sarebbe lunghissimo. Ma il problema principale del premier si riassume in un nome e cognome: Michele Emiliano.
Il governatore antagonista non solo si è schierato contro le trivellazioni, conduce gagliardamente (unico tra i presidenti delle regioni proponenti) la campagna sul referendum, ma in passato si è messo di traverso anche contro il gasdotto Tap a Santa Foca, contro gli inceneritori, contro la scelta di un sito per lo stoccaggio nucleare.
Forse non è un caso che oggi a palazzo Chigi il premier abbiamo scelto di invitare come ospite, tra quelli di 250 città d’Italia dove verrà stesa la banda larga dell’Enel, proprio il sindaco di Bari.
Un prototipo perfetto di democratico barese da coccolare come anti-Emiliano.
In Campania le forze dell’ordine stanno faticando a contrastare la nuova criminalità delle “paranze” napoletane, i Casalesi di seconda generazione tornano nelle cronache.
Ma il vero dente cariato della capoluogo è Bagnoli.
Il commissariamento dell’area, come si è visto ieri con le scene di guerriglia urbana in centro e l’aperto sostegno del sindaco «Che Guevara» (così si è autodefinito De Magistris) alle proteste, non garantisce affatto che il risanamento dell’area riesca in tempi brevi.
In Calabria è dai tempi del ministro Mancini che si parla della Salerno-Reggio. Bene quindi aver abbattuto il diaframma della galleria di Mormanno.
Bene la visita al distretto sulla cybersecurity di Cosenza. Ma il buco nero sono i conti della Regione, nonostante i piani di rientro draconiani.
Scendendo in Sicilia, il premier non ha mai amato il pittoresco Rosario Crocetta, ormai di fatto commissariato con l’ennesimo rimpasto di giunta.
La sensazione è che il Pd non abbia provocato la crisi soltanto perchè mandare via il governatore ormai significherebbe aggiungere un problema alla montagna di quelli esistenti.
Questioni pesanti come Termini Imerese e il petrolchimico di Gela – dove l’Eni sta smobilitando – sono ancora tutte aperte. Intanto arriva la bella stagione e triplicano gli sbarchi dei migranti, con gli hotspot dell’Isola già al completo.
Su tutto il Meridione grava infine come un’ipoteca la mancata attuazione del Masterplan. A palazzo Chigi è stata spostata la cabina di regia, in mano ora a Claudio De Vincenti. Gli ultimi dati dovrebbero uscire a giorni, ma le voci parlano di una cifra mostruosa, tra i 700 e gli 800 milioni, ancora non spesi.
Colpa delle regioni, certamente. Ma a due anni e mezzo dal varo della programmazione 2014-2020, non è rassicurante vedere come l’uso dei fondi sia ancora al palo.
E proprio i fondi comunitari, come sostiene inascoltato Isaia Sales, sono purtroppo diventati da tempo «l’unica strategia per il Sud».
Francesco Bei
(da “La Stampa”)
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