IL TAPPULLO DI BONAFEDE PER FARE TORNARE IN CARCERE I BOSS MAFIOSI SCARCERATI (CHE SONO PERALTRO ANDATI AI DOMICILIARI PERCHE’ NE AVEVANO DIRITTO)
VERIFICHE OGNI 15 GIORNI SE I PRESUPPOSTI SONO ANCORA VALIDI, TUTTO QUA… SE NON CI SONO STRUTTURE PENITENZIARE ATTREZZATE PER LE CURE DEI DETENUTI NON CAMBIA UNA MAZZA
Il consiglio dei ministri iniziato alle 21 è finito dopo un’ora e mezza.
E ha approvato in tutta fretta il decreto legge che fissa le nuove regole per le scarcerazioni dei mafiosi e stabilisce che comunque esse dovranno essere verificate ogni 15 giorni per capire se i presupposti che le hanno giustificate sono ancora validi.
Il Guardasigilli Alfonso Bonafede ha lavorato tutta la giornata al decreto.
Il testo ha avuto il via libera del Quirinale dov’è stato mandato nel pomeriggio e che avrebbe anche dato alcuni suggerimenti. D’accordo tutta la maggioranza perchè rispetta i criteri di costituzionalità ed equilibrio tra salute e sicurezza.
Ecco il suo contenuto. Diviso in tre articoli.
Il primo sulle “misure urgenti sulla detenzione domiciliare e il differimento della pena per motivi connessi all’emergenza Covid”.
Il testo stabilisce che per i condannati per terrorismo o mafia e per tutti i reati che mirano ad agevolare le associazioni mafiose e per quelli che si trovano al 41 bis che sono stati “ammessi alla detenzione domiciliare o con il differimento della pena per il Covid dal magistrato di sorveglianza, che ha acquisito il parere della procura nazionale antimafia, il magistrato valuta la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria entro il termine di 15 giorni dall’adozione del provvedimenti, e successivamente con cadenza mensile”.
La valutazione, dice ancora il decreto, viene fatta “immediatamente” , quindi anche prima dei 15 giorni, se il Dap comunica “la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto”.
L’articolo 2 invece recita che il magistrato deve “sentire l’autorità sanitaria regionale” per fare il punto sulla situazione sanitaria locale e acquisire anche dal Dap “l’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta” in cui il detenuto ai domiciliari può riprendere a scontare regolarmente la pena.
Inoltre, nell’articolo 3 del decreto si specifica che, nel caso degli arresti domiciliari “il pubblico ministero verifica la permanenza dei predetti motivi” e continua a farlo “con cadenza mensile”, salvo quando il Dap comunica che ci sono posti disponibili nelle strutture sanitarie del carcere o comunque nei reparti degli ospedali dedicati al carcere.
E’ emersa la necessità di seguire due direttive: non ledere l’autonomia della magistratura, dunque rispettare la separazione dei poteri, ed evitare ogni applicazione della norma in maniera retroattiva.
Non si tratta infatti di un ordine di una nuova carcerazione. Anche perchè, spiegano dall’esecutivo, “non decide certo un governo se incarcerare o meno”.
Ai magistrati competenti verrà chiesto di rivalutare, “riesaminare” il provvedimento adottato qualche settimana fa. E la ragione è legata al fatto che oggi si è nella fase due e i numeri del contagio sono in forte calo.
In sostanza, entro quindici giorni, il magistrato di sorveglianza, dovrà verificare se sussistano ancora le cause, legate al rischio di contagio da Covid-19, che erano state poste alla base del provvedimento con cui era stata concessa la detenzione domiciliare. In ogni caso, come previsto dal dl entrato in vigore il 30 aprile scorso, le toghe di sorveglianza non solo dovranno acquisire obbligatoriamente il parere della Direzione nazionale antimafia e delle Dda. Di più: sarà introdotto l’obbligo di interloquire con l’Amministrazione penitenziaria per trovare posti nelle strutture protette degli ospedali convenzionati con le carceri,.
Dopo la prima valutazione, il tribunale di sorveglianza, sentito il parere della Procuratore distrettuale antimafia e del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo analizzerà con cadenza mensile se persistono le condizioni per la scarcerazione.
Quanto, invece, alle posizioni di chi è ancora in custodia cautelare, le verifiche sul permanere delle motivazioni che hanno portato alla concessione dei domiciliari dovranno essere svolte dal pubblico ministero. Il quale a sua volta formulerà le sue richieste al giudice competente, ossia al Gip, al Riesame o al Corte d’appello a seconda della fase in cui si trova il procedimento sul caso specifico.
(da agenzie)
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