JOLE SANTELLI, UNA GUERRIERA AL SERVIZIO DI BERLUSCONI
COSENTINA, VULCANICA, ERA UNA TOSTA
Era una tosta Jole Santelli, ruvida a volte, determinata sempre. Lo è stata fino alla fine quando — dopo aver ricevuto il via libera del suo oncologo: “Non solo devi candidarti, devi farcela” — ha vinto con venti punti di distacco la sfida per la sua Regione, la Calabria, e l’ha governata con il consueto piglio.
Minacciando di chiudere i porti agli sbarchi, ma aprendo bar e ristoranti, perchè “oltre al coronavirus conta l’economia”, e invitando a pranzo a casa sua Stefano Bonaccini e gli altri governatori. Menù a base di ‘nduja, gnocchi, salumi e formaggi: “L’unico rischio che corrono è ingrassare”.
Classe 1968, nipote di Giacomo Mancini, Santelli si è avvicinata giovanissima alla politica: un invaghimento socialista su base paterna (con tanto di poster di Claudio Martelli in camera), poi l’iscrizione a Forza Italia nel 1994.
Nel gruppo della prima ora: avvocato di professione, breve specializzazione da penalista, legata a Cesare Previti nel cui studio di via Cicerone fece il praticantato, poi assistente parlamentare di Marcello Pera, suo mentore politico.
Entrata a Montecitorio nel 2001, ci è rimasta per cinque legislature. Tutte dedicate alla giustizia, cavallo di battaglia di Silvio Berlusconi negli anni ruggenti delle leggi ad personam, degli “scudi penali” contro i processi, del Parlamento mobilitato per escogitare cavilli accelera-prescrizione o legittimi impedimenti ritarda-udienze, fino al divieto di appellare le sentenze di assoluzione.
Santelli è stata due volte sottosegretario alla Giustizia. Protagonista di battaglie verbali con le toghe, e soprattutto con l’Anm, che della riforma azzurra (alla fine, mai andata davvero in porto) non volevano saperne.
A Palermo, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, un gruppo di magistrati uscì dall’aula durante il suo intervento, e lei ribattè: “Abbiamo distrutto un sistema che era contro la democrazia ma ci siamo dimenticati di ricostruirla”. A Via Arenula arrivò quando c’era Roberto Castelli, ingegnere leghista diventato Guardasigilli: lui algido e nordico, lei vulcanica e cosentina, raccontano che non fu amore a prima vista. Pazienza: Santelli trascorreva molto tempo in Parlamento, con i colleghi del gruppo azzurro — Gaetano Pecorella, Renato Schifani, Luigi Cesaro, Daniela Santanchè, Mara Carfagna — ad approfondire i dossier.
Alta, occhi e capelli scuri, sempre in tailleur, a volte intimidiva. Tuttavia, sapeva dialogare e tessere rapporti, in buoni rapporti con Angelino Alfano, Beatrice Lorenzin e Maurizio Lupi, fino a diventare una “risorsa” del governo di Enrico Letta, dove occupò — per pochi mesi la casella di sottosegretario al Lavoro. Salvo dare brusche dimissioni quando la scissione degli alfaniani spostò gli equilibri a sinistra: “Io aderisco a Forza Italia e condivido il progetto di Berlusconi”.
Nata a Cosenza (di cui è stata anche vice-sindaco), eletta a Paola, genitori originari di Milito, ha sempre avuto legami stretti con la sua Regione. A volerla governatrice fu Berlusconi in persona, in una delle sue ultime intuizioni politiche: il profilo battagliero di Jole convinse Matteo Salvini — notoriamente incline solo a candidati del suo partito — e travolse lo sfidante Pippo Callipo. Poco tempo fa, si faceva il suo nome come candidato alla guida della Conferenza delle Regioni, che il centrodestra rivendica dopo le ultime Regionali. Segno che la lunga malattia, pur non nascosta, non ne aveva intaccato l’immagine da guerriera. Come, in fondo, aveva sempre voluto.
(da “Huffingtonpost”)
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