LA BEFFA AI MAGISTRATI: COSI’ GLI UOMINI DEL MOSE FALSIFICARONO LA RELAZIONE DELLA CORTE DEI CONTI
APPUNTI SCRITTI SU “CARTA MANGIABILE”… “ORSONI SAPEVA DA DOVE VENIVANO I SOLDI”
Si sentivano sicuri, gli uomini di Giovanni Mazzacurati, il “doge” degli appalti in Laguna.
Al limite della sfacciataggine.
Talmente certi di farla franca che erano arrivati al punto di riscrivere le relazioni della Corte dei Conti al computer di casa, cancellando interi passaggi, sfumando le critiche, aggiungendo postille, con il più banale dei copia e incolla. Sicuri, dunque.
A tal punto da tenere nel cassetto dell’ufficio 500mila euro in contanti, così, come se fosse cosa di tutti i giorni.
Salvo poi buttarli alla rinfusa dietro un armadio durante le ispezioni della Finanza.
Sfacciati, anche. «Mi raccomando scrivi le cifre (delle mazzette, ndr) su carta mangiabile, che se arriva qualcuno un giorno…», ridevano al telefono.
Soldi, tanti soldi, 22,5 milioni di euro, “olio” per il sistema. Passano di mano con una facilità che spiazza anche i magistrati: «Nessuno ha mai resistito alla loro opera corruttiva». Nemmeno chi dei conti del Mose doveva essere il garante supremo.
LE DUE VERSIONI NEL SERVER€
I finanzieri del nucleo tributario di Venezia se ne accorgono quando guardano dentro i server del Consorzio Venezia Nuova, di cui Mazzacurati è stato presidente per otto anni.
Trovano due file word, denominati “delibera finita pulita” e “delibera ing. neri con correzioni”, uno di 51 e uno di 57 pagine.
Si riferiscono alla relazione della Corte dei Conti, datata dicembre 2008, sullo stato di avanzamento del Mose.
Un testo che è stato modificato, limato, corretto dall’ingegner Luciano Neri, funzionario del Consorzio, prima della pubblicazione definitiva.
«Una vicenda assolutamente anomala – scrive il gip nell’ordinanza di custodia cautelare – non solo quella relazione doveva rimanere segreta, tra la seduta e la data del deposito, ma l’ente controllato vi apporta addirittura della modifiche, poi recepite dall’organo di controllo»
Modifiche che ne ribaltano completamente il senso.
Interi passaggi critici vengono fatti sparire. Come questo: «Ha prevalso la decisione di tipo politico di procedere, nelle fasi progettuali ed esecutive del Mose, a prescindere dal parere perplesso del Consiglio superiore dei Lavori pubblici e dal parere negativo della Commissione Via del 1998».
Nella versione pubblicata sul sito della Corte il 2 febbraio seguente, non ve ne è traccia. Indicativi che si ammorbidiscono in condizionali, negazioni che diventano affermazioni.
«I fondi per la manutenzione ordinaria della città non dovrebbero essere sacrificati per la realizzazione del Mose », scriveva il vero relatore, Antonio Mezzera. «I fondi devono procedere parallelamente alla realizzazione dell’opera», scrive l’ingegner Neri.
E l’affondo più grave che veniva fatto al sistema messo in piedi da Mazzacurati, «risulta indifferibile porre termine alla situazione di monopolio e posizione dominante », viene addolcito in un generico: «Va aperto il mercato alla concorrenza». Questione di ottica, di come si vede il bicchiere
Come è stato possibile? Mazzacurati sapeva di avere una carta da giocare: il sodale Vittorio Giuseppone, «a libro paga fin dagli anni 90», si era trasferito alla Sezione centrale di controllo di Roma. Sarà lui a coprire e far approvare le correzioni al testo fatte dall’ingegner Luciano Neri.
LE QUOTE DI GALAN
Proprio lui, il factotum che dà il suo nome al “fondo Neri”, una cassaforte comune di denaro contante dove finivano le quote delle imprese che partecipavano alla torta degli appalti e da cui Mazzacurati e gli imprenditori attingevano a piene mani per riempire bustarelle. «Neri era il depositario di tutta la contabilità parallela», «i soldi in uscita dalle aziende venivano giustificati e “ripuliti” con contratti per prestazioni fittizie e istanze di anticipazioni sulle riserve sovradimensionate».
Ma non c’era solo il contante a stimolare gli appetiti dei commensali.
L’ex ministro Giancarlo Galan, ad esempio, aveva chiesto e ottenuto di intestare il 7 per cento delle quote di Adria Infrastrutture spa alla società Pvp srl del suo commercialista Paolo Venuti, «al fine di poter partecipare agli utili dell’approvazione del project financing presentate da Adria». Con lo stesso giochetto, aveva in mano il 70 per cento di Nordest Media, «per gli utili derivanti dalla raccolta pubblicitaria».
CONTANTI PER IL SINDACO
E poi c’era il finanziamento illecito in campagna elettorale, l’accusa costata i domiciliari al sindaco di Venezia (sarà interrogato oggi nell’aula bunker di Mestre).
Il 31 luglio scorso, Mazzacurati racconta ai pm: «Noi abbiamo sostenuto Giorgio Orsoni e abbiamo speso quella cifra, tra i 400 e i 500 mila euro… diciamo il risultato è che ha vinto al primo turno.
La somma era contante… di quelli lì ce ne saranno il 10 per cento di regolari». Il magistrato chiede se è stato lui a consegnarli. «Ogni volta gli portavo a casa 100 mila euro, 150 mila euro… tutto durante la campagna elettorale ».
Nelle annotazioni seguenti la posizione di Orsoni si aggrava, perchè – si legge – «si può ritenere che il candidato sindaco non solo fosse a conoscenza delle attività finalizzate al finanziamento del comitato elettorale, nonchè della sua origine, ma che ne avesse addirittura sollecitato l’effettuazione ».
IL PELLEGRINAGGIO DA LETTA
Il primo a “cantare” è stato però Piergiorgio Baita, ex presidente della Mantovani Spa, colosso delle costruzioni pubbliche.
Il 6 giugno del 2013 si siede davanti ai tre pm della procura di Venezia, Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, e vuota il sacco.
«Pagavamo tutti i partiti… I finanziamenti del Cipe andavano benissimo fino a che non arriva Tremonti… Questa volta non riesce neanche il pellegrinaggio da Gianni Letta del nostro presidente Mazzacurati. Anzi, Letta dice: “Io non riesco a fare niente, ci siamo scontrati in Consiglio dei ministri con Tremonti”, mi ha accusato di avere qualche interesse personale sul consorzio Nuova Venezia.
Dovete trovare una strada per contattare Tremonti”». La strada è Roberto Meneguzzo, direttore della Palladio Finanziaria.
È lui a fissare un appuntamento con l’allora ministro dell’Economia: «Mazzacurati va a Milano da Tremonti, torna, convoca i soci e dice: se volete sbloccare il Cipe (400 milioni di euro, ndr) sono 500mila euro da consegnare all’onorevole Milanese».
FIRMANO LA CARTA IGIENICA
Ed è di Baita anche la battuta che riassume meglio di tanti discorsi il potere accumulato della cupola. «Basta portare lì anche la carta igienica usata che te la firmano».
“Lì” è l’ufficio del Magistrato alle acque, un controllore cieco e sordo. Un pezzo del mosaico criminale nato attorno al Mose: «Nessun ostacolo, nessuna vigilanza, nessun rilievo importante è arrivato dal magistrato delle Acque di Venezia », mette a verbale il 12 settembre del 2013, Pio Savioli, il consigliere del consorzio.
Giuseppe Caporale e Fabio Tonacci
(da “La Repubblica“)
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