LA BRAVATA DI LOTITO INNERVOSISCE LA MELONI (CI VUOLE POCO)
TAJANI CERCA DI METTERCI UNA PEZZA
Nelle ore successive alla tempesta è tutta una gara a chi prova a minimizzare meglio: “Un semplice ritardo”, “un incidente di percorso”, “nessun problema politico”, “no alle dietrologie”.
Ma dietro le frasi di circostanza, c’è grande agitazione nella maggioranza, e una notevole dose di nervosismo dalle parti di Palazzo Chigi per ciò che è successo in commissione Bilancio, al Senato: l’assenza dei senatori di Forza Italia, Claudio Lotito e Dario Damiani, ha fatto sì che il voto sui pareri agli emendamenti al decreto Lavoro finisse in parità e che, quindi, la maggioranza non avesse i numeri per farli passare.
“Giorgia Meloni è informata”, hanno fatto sapere da subito i meloniani in Senato, i più irritati per quello che è letto come un pizzino di una parte di Forza Italia, come a segnalare che il sentimento della premier è qualcosa di più di una semplice preoccupazione.
La mossa che ha portato al ritorno in commissione – “e a un sacco di tempo perso”, commentano fonti di FdI di Palazzo Madama – degli emendamenti, che è stato necessario riformulare, viene letta come una bravata pesante di Lotito. Si personalizza la questione, si fa notare che il patron della Lazio ha un comportamento esuberante, ma non si perde di vista il cuore della faccenda: l’instabilità di Forza Italia dopo la morte di Silvio Berlusconi.
L’incidente a Palazzo Chigi se lo aspettavano. Non è un caso se, dopo la morte di Berlusconi, dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani di FdI, fosse arrivata una nota alla squadra di governo affinché non facesse mancare la presenza in Aula e nelle commissioni.
È soprattutto in queste ultime, e soprattutto al Senato, che dopo il taglio dei parlamentari i numeri sono risicati. E l’assenza di un sottosegretario può pesare. Ma il messaggio era rivolto anche ai parlamentari. Ed è stato disatteso – “per colpa di un cocktail di compleanno”, dice, ironicamente, Ignazio La Russa – alla prima occasione utile, con Lotito e Damiani che non si sono fatti trovare al loro posto al momento del voto.
La premier teme molto per la tenuta degli Azzurri. Meloni conosce bene la complessità della situazione, il fatto che la figura di Antonio Tajani non è riconosciuta da tutti nel partito, ma spera che il ministro degli Esteri, in qualche modo, tenga insieme i pezzi della formazione che gli ha lasciato Berlusconi. Per evitare scossoni irrimediabili, le cui conseguenze ricadrebbero dritte sul governo.
Dal canto suo, Tajani fa sponda con la premier. Ed è proprio per questo che ieri, in Senato, subito dopo la commemorazione di Berlusconi, il ministro degli Esteri ha avuto uno scontro con Lotito. Si sono confrontati sui numerosi emendamenti che quest’ultimo si ostina a presentare.
In questo caso, in particolare, al disegno di legge sulla pirateria, di cui ambirebbe a diventare relatore. Il battibecco è finito in malo modo, ma Tajani non avrebbe mai potuto immaginare che nel giro di meno di 24 ore si sarebbe trovato a dover gestire quello che sembra una vera e propria rappresaglia da parte di Lotito. E a doverci mettere una pezza.
Da Londra, infatti, si vede costretto a dire: “È una tempesta in un bicchiere d’acqua, sono incidenti che capitano, non dovrebbero accadere, ma nulla di preoccupante, nessuna divisione”. E ancora: “Lasciamo l’opposizione chiacchierare”,
Poi, arrampicandosi sugli specchi, ha dovuto sostenere che ciò che è successo “non ha alcun significato politico, è stato un incidente di percorso, si è già rimediato”. Tecnicamente, in effetti, il rimedio è arrivato nel giro di poche ore. Il problema sono le tensioni che restano. E che, in vista del comitato di presidenza di domani, che darà il via libera alla nuova fase di Forza Italia, potrebbero aumentare.
L’incriminato per la diatriba di oggi, Lotito, prova a minimizzare: “Io sono quello con più presenze in assoluto. Non ho mai saltato una commissione da quando sono stato eletto, non sono mai arrivato in ritardo. Sono il primo ad arrivare al Senato e sono l’ultimo ad uscire. Praticamente lo chiudo il Palazzo Madama…”, ha dichiarato all’AdnKronos.
Più di qualcuno, però, giura che si aggira per il Senato dicendo di essere lui il vero erede di Berlusconi. E di averlo sentito bisbigliare, dopo il boicottaggio della commissione: “E questo è solo l’antipasto…”.
L’opposizione coglie la palla al balzo per attaccare il governo. “La verità è che questo esecutivo non sta in piedi, incapace di passare dalla propaganda ai fatti”, dice Elly Schlein: “Le ultime 24 ore di un Governo Meloni allo sbando”, commenta, invece, Giuseppe Conte.
Mentre in Senato si consumava questo show mal gestito, alla Camera era appena finita una diatriba sul Mes. L’Italia è l’unica che non l’ha ancora approvato e, anche se Giorgia Meloni continua a ripetere che non lo userà mai, su richiesta dell’opposizione il provvedimento dovrebbe arrivare in Aula il 30 giugno.
Oggi il ministero dell’Economia lo ha promosso, con un documento di due pagine. “È un atto tecnico, non politico”, minimizzano dalla maggioranza. E, mentre la Lega continua a ribadire contrarietà, dalla maggioranza cercano un’exit strategy utile a posticipare l’approdo in Aula. L’obiettivo principale sarebbe rinviare il dossier a dopo l’estate. Quello di più breve periodo, invece, è allungare i lavori in commissione, così da allontanare il rischio del voto in assemblea. Le opzioni per riuscire in questo proposito sono varie: domani, 22 giugno, si tornerà in commissione Esteri dopo lo slittamento di oggi, la maggioranza ha ancora qualche ora per sceglierne una.
(da Huffingtonpost)
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