LA COMMISSIONE UE NON SI FIDA, PRIMA VUOLE ASPETTARE L’ITER PARLAMENTARE
L’ITALIA PUO’ ATTENDERE, IL GIUDIZIO FINALE RINVIATO A GENNAIO
Se ne parla a gennaio. Con il dialogo avviato con Bruxelles ormai da tre settimane, il governo Conte è solo riuscito a ‘sgonfiare’ la data del 19 dicembre.
Inizialmente doveva essere il giorno in cui la Commissione Europea avrebbe scritto le proprie raccomandazioni sulla manovra economica italiana e le avrebbe inviate all’Ecofin, il consiglio dei ministri dell’Economia dell’Ue.
Sarebbe toccato a loro, nella prima riunione utile il 22 gennaio, aprire formalmente la procedura di infrazione per deficit eccessivo legato al debito.
Non andrà così. Dopodomani la squadra di Juncker non tratterà il caso Italia, rimandando la decisione finale a dopo le feste di Natale.
A quanto si apprende, la riunione dei capi di gabinetto della Commissione Europea oggi pomeriggio a Bruxelles non ha inserito la manovra economica italiana all’ordine del giorno dell’incontro dei commissari dopodomani.
Certo, il presidente Jean Claude Juncker può sempre inserire il tema tra gli argomenti da trattare, può farlo anche all’ultimo minuto: è tra le sue prerogative.
Ma, seppure a strappi e con una trattativa non proprio lineare, dalla sera del 24 novembre scorso, data del primo incontro sulla manovra economica tra Giuseppe Conte e Juncker, il clima tra Bruxelles e Roma è cambiato. E la procedura di infrazione per ora sembra allontanarsi, anche se non è del tutto scongiurata.
Oggi negli uffici della Commissione è arrivata l’ultima versione della manovra, con il deficit al 2,04 per cento del pil e i cambiamenti apportati dal vertice di maggioranza ieri sera a Palazzo Chigi, discussi con Bruxelles in un lavoro continuo di raccordo tra i tecnici della Commissione e quelli del Tesoro.
Il ministro Giovanni Tria ha sentito al telefono i commissari Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis, dopo averli incontrati per due giorni consecutivi la settimana scorsa.
Moscovici e Dombrovskis sono un po’ i terminali di due sensibilità diverse che convivono all’interno della stessa Commissione.
Il primo si è ammorbidito nell’approccio con Roma, soprattutto dopo che è scoppiato il caso francese: la rivolta dei ‘gilet gialli’ che ha indotto il presidente Emmanuel Macron ad annunciare misure che potrebbero portare il deficit oltre il tetto del 3 per cento del pil.
Il lettone Dombrovskis invece rappresenta ancora adesso la sensibilità più rigida, quella dei paesi del nord Europa, i più furiosi per le spese in deficit decise anche per quest’anno dall’Italia.
E’ per questo che la Commissione sceglie di non chiudere subito la partita, nonostante riconosca gli sforzi italiani: la marcia indietro del governo sul deficit nominale che dal 2,4 per cento è diventato quasi un 2.
Sforzi che tuttavia non seminano certezze a Bruxelles sul deficit strutturale che la Commissione vuole vedere in miglioramento, pur minimo, l’anno prossimo. Solo così riuscirà a convincere i ‘falchi’ del nord ad evitare la procedura di infrazione.
Sostanzialmente, alla luce anche delle difficoltà della trattativa con il governo italiano, mai lineare e alquanto ostica, dalla Commissione aspettano l’approvazione definitiva della manovra in Parlamento nonchè i decreti che dettaglieranno misure come il reddito di cittadinanza e ‘quota cento’.
Quest’ultima sembra essere la misura che preoccupa di più i leader europei, a cominciare da Angela Merkel che venerdì scorso ne ha parlato con Conte in un bilaterale a margine del consiglio europeo.
In quanto ‘quota cento’ va a incidere su una riforma strutturale come la Fornero, l’unica che negli ultimi anni aveva trasmesso un po’ di certezze a Bruxelles in termini di stabilità del sistema dei conti pubblici italiano.
Ad ogni modo, pur con l’intenso carteggio tra Roma e Bruxelles, pur dopo la marcia indietro sul deficit nominale, ancora non ci sono le condizioni per chiudere ora l’iter della procedura di infrazione.
Resterà all’orizzonte fino a gennaio, eventualità e avvertimento nel caso in cui a Roma facesse capolino la tentazione di rimescolare le carte ancora.
(da “Huffingtonpost”)
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