LA GRANDE COALIZIONE TENTA I LEADER: TRATTATIVE AVANZATE SULLA LEGGE ELETTORALE
PD E PDL RESTANO DIVISI SUL NODO DEL PREMIO DI MAGGIORANZA… BERLUSCONI PUNTA A UN RUOLO DETERMINANTE
Se si fa, non si dice. Perciò è scontato che nel Pdl e (soprattutto) nel Pd venga fermamente smentita l’ipotesi di lavorare a una grande coalizione per il 2013.
D’altronde non avrebbe senso parlarne prima delle elezioni, sarebbe come invalidare anzitempo la partita.
Ma la prospettiva che il montismo succeda a Mario Monti non è sfumata, anzi.
Più va avanti l’esperienza del governo tecnico, più aumentano le probabilità che la «strana maggioranza» possa ricostituirsi in Parlamento dopo la contesa nelle urne.
Al momento non ci sono prove ma solo indizi, ed è attraverso l’analisi delle trattative sulla legge elettorale che si possono raccogliere degli elementi.
Ecco perchè è importante la mediazione in corso tra Pdl, Pd e Udc sulla riforma del sistema di voto: la tattica che stanno adottando disvela infatti dettagli sulla loro strategia politica.
Lo stallo di questi giorni non inganni, è tipico di una vertenza che sta arrivando a conclusione, tanto che gli sherpa impegneranno il weekend per lavorarci sopra.
Altrimenti i leader dei tre partiti non si direbbero convinti di poter raggiungere un’intesa già la prossima settimana, Alfano non la metterebbe in conto, Bersani non sosterrebbe che «ormai dovremmo esserci», e Cesa non si farebbe scappare di essere «molto ottimista».
Non c’è dubbio che i nodi ancora da sciogliere sono determinanti per disegnare il futuro sistema politico, ed è proprio dietro quei nodi che si può scorgere l’ombra della grande coalizione.
Il braccio di ferro sul premio di maggioranza ne è l’emblema.
C’è un motivo se il Pd preferirebbe assegnarlo alla coalizione vincente, mentre Pdl e Udc vorrebbero affidarlo al partito vincente.
Ed è chiaro come mai Bersani spinga per un premio comunque alto (15%), mentre Alfano e Casini puntino a tenerlo basso (10%).
«Il 15% per noi è inaccettabile, Pier Luigi», ha detto il segretario del Pdl al capo dei democrat durante il loro ultimo colloquio.
«Abbassando la soglia, si prefigura l’instabilità », è stata la risposta: «E tu, Angelino, dovresti convenire che sarebbe meglio puntare sulle coalizioni e non sui partiti. Perchè se non si organizzano i due campi in contesa e andiamo in ordine sparso, Grillo potrebbe spazzarci via tutti».
Ecco spiegata l’importanza della discussione «tecnica» sul premio di maggioranza, che disegna gli scenari «politici» del dopo-voto e lascia intuire il cambio di strategia in corsa del Pdl.
A dire il vero non è la prima volta che Bersani – dopo aver incontrato Alfano – ha pensato di aver chiuso il patto, rimesso poi in discussione da un vertice a palazzo Grazioli.
L’opzione delle preferenze, per esempio, sembrava ormai abbandonata.
E invece il Pdl ha preso a spalleggiare l’Udc, convinto – come ha spiegato Casini – che «i candidati nei collegi danno l’idea di persone paracadutate sul territorio, mentre le preferenze consentono di contrastare meglio il grillismo».
«Con le preferenze – ha obiettato Bersani – aumenterebbero le spese elettorali, si aprirebbe un varco pericoloso, ci sarebbe il rischio del malaffare e ci ritroveremmo con le inchieste della magistratura».
Ma il cuore della trattativa è il premio di maggioranza.
È da lì che si intuisce come il «montismo berlusconiano» abbia preso piede.
Altro che elezioni anticipate, il Cavaliere vuole mantenere un ruolo determinante in un sistema dove nessuno prenda il sopravvento.
E la grande coalizione è lo strumento idoneo all’occorrenza. Di più, è Monti il suo asso nella manica nonostante le tensioni del Pdl con il governo.
Il rapporto riservato e preferenziale tra l’attuale premier e il suo predecessore sfugge ai riflettori e alle dinamiche di Palazzo.
E Berlusconi sarebbe pronto a sconfessare anche se stesso pur di non uscire dal centro del ring. Come ricorda il segretario del Pri, Nucara, «fu Berlusconi a indicare Monti come commissario europeo, a proporlo come governatore di Bankitalia, a tentarlo con il ministero dell’Economia, e soprattutto a lanciarlo come candidato al Quirinale prima che ci arrivasse Napolitano».
Puntando su Monti, inchioderebbe Casini e manderebbe gambe all’aria ogni manovra fin qui ipotizzata.
La grande coalizione insomma è più di una suggestione.
Ma per farla non bisogna dirla, e se del caso è necessario smentirla.
Perciò il Cavaliere fece finta di prendere le distanze dal progetto «Tutti per l’Italia» che Giuliano Ferrara lanciò mesi fa sul Foglio . Era troppo presto.
E ora che sul Giornale Vittorio Feltri evoca Indro Montanelli per scrivere che sarebbe meglio «turarsi il naso» e guidare «tutti insieme» il Paese, ecco comparire un altro indizio.
Perchè non c’è dubbio che il fondatore del Pdl sia tornato a dettare l’agenda del partito, bloccando le primarie, facendo mostra di essere un allenatore che si allena per rientrare in campo. «Io rappresento tutte le anime del partito», ha detto l’altra sera davanti al suo gruppo dirigente.
E la storia che una svolta grancoalizionista possa indurre l’area degli ex An ad abbandonare il Pdl, non sta in piedi.
Ci pensa La Russa a far giustizia delle voci circolate negli ultimi tempi: «Nessun tipo di riforma del sistema di voto su cui stiamo discutendo presuppone di per sè la grande coalizione. Certo, sarebbe per me e per molti di noi inaccettabile precostituire o addirittura dichiarare la grande coalizione come obiettivo. Se invece questa formula di governo venisse imposta per effetto del risultato elettorale, sarebbe un’altra cosa».
Più chiaro di così.
Il «montismo berlusconiano» è ben incardinato nel centrodestra, il presidente del Senato Schifani non manca occasione nei suoi colloqui di ripetere che «l’emergenza dettata dalla crisi non cesserà purtroppo il giorno dopo le elezioni».
L’idea della grande coalizione nel Pdl si alimenta anche dei segnali che giungono dal campo avverso.
Pare che Berlusconi abbia letto più volte l’intervista rilasciata al Corriere da D’Alema e abbia avuto la sensazione che contenesse un messaggio subliminale.
Francesco Verderami
(da “Il Corriere della Sera”)
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