LA RABBIA DI SILVIO PER IL BILATERALE NEGATO: LA CASA BIANCA DICE NO AL FACCIA A FACCIA
SILVIO TEME I RIFLESSI NEGATIVI CHE POTREBBE AVERE ALL’ESTERO UNA SCONFITTA ELETTORALE… E IN ITALIA SI APRIREBBE LA CORSA ALLA SUA SUCCESSIONE
Fino a pochi giorni fa Palazzo Chigi ha tentato in tutti i modi di ottenere il bilaterale col presidente degli Stati Uniti.
La mediazione dell’ambasciata italiana a Washington per ottenere quel faccia a faccia con Obama a margine del G8 che sarebbe stato trasformato dal Cavaliere in un mega spot a ridosso dei ballottaggi.
Ma la Casa Bianca quel bilaterale non lo aveva in programma e non lo ha concesso. Nasce anche dalla stizza di quel rifiuto – raccontano – il blitz con il quale il presidente del Consiglio Berlusconi ha giocato la carta della disperazione.
L’abbordaggio di Barack Obama in pieno vertice, mossa pianificata e ben congegnata, tutt’altro che estemporanea come le immagini tv d’altronde hanno dimostrato.
Il tentativo ultimo di salvaguardare quel che resta dell’immagine internazionale di un premier.
Silvio Berlusconi teme che la marea elettorale in arrivo travolga anche la sua credibilità all’estero.
«Ho una nuova maggioranza» annunzia allora al presidente Usa quasi per disinnescare le notizie che fra tre giorni varcheranno i confini.
Il premier avverte il rischio che tra poche ore, da lunedì, possa essere considerato una volta per tutte un’anatra zoppa dalle cancellerie.
Per lui sarebbe l’inizio della fine.
D’altronde, il giudizio maturato in seno alla diplomazia Usa sul presidente del Consiglio italiano è noto, già filtrato attraverso i cables di WikiLeaks pubblicati a febbraio.
Un premier che «con le sue frequenti gaffes e la scelta sbagliata delle parole» ha offeso «quasi ogni categoria di cittadino italiano e ogni leader politico europeo» si leggeva nelle 30 mila pagine di documenti top secret.
E ancora, «la sua volontà di mettere gli interessi personali al di sopra di quelli dello Stato ha leso la reputazione del Paese in Europa e ha dato sfortunatamente un tono comico al prestigio dell’Italia».
Questo e altro nei cables carpiti da Assange.
Berlusconi si sente dunque sotto scacco al cospetto dei grandi, prova a suo modo a risalire la china, davanti alle telecamere.
Tanto più adesso che la piena elettorale è in arrivo e qualcuno in Italia già lavora a un governo tecnico, facendo leva anche sull’indebolimento internazionale.
Sa che la freddezza di Washington può diventare il vero detonatore della crisi. Soprattutto se la situazione economica dovesse evolvere negativamente e le richieste dell’Unione europea dovessero diventare più pressanti.
In Italia, in sua assenza, la missione di costruire argini è assegnata ai luogotenenti pidiellini.
«Comunque vadano i ballottaggi il governo andrà avanti–mette le mani avanti Gaetano Quagliariello – perchè avremo la maggioranza in Parlamento che ci consentirà di andare avanti».
Eccola la strategia, un governo che si prepara a blindarsi alla Camera e al Senato, forte dei numeri, per resistere al crollo di consensi fuori dal bunker.
Va da sè che in questa chiave il presidente del Consiglio non si sente affatto rassicurato dal Carroccio tornato minaccioso.
«Sono stanco dei personalismi dei nostri e dei distinguo dei leghisti» si lamentava anche ieri a margine del G8 di Deauville, la testa assai lontana dalla crisi economica internazionale, dalla primavera araba, dalla guerra in Libia e di tutti i dossier sul tavolo del vertice.
C’è altro a cui pensare, c’è Calderoli che suona la campana dell’ultimo avvertimento, c’è Bossi che prende di nuovo le distanze da una campagna «troppo nervosa».
Tutto questo per Berlusconi ha lo stesso effetto dei lampi che precedono il temporale. Preludio, intanto, di una sconfitta che lo stesso premier ritiene ormai pressochè inevitabile nella sua Milano.
Sta di fatto che Berlusconi ha deciso nelle ultime ore di campagna di tentare di salvare il salvabile. E puntare tutto su Napoli, puntare al «pareggio».
Di questa campagna elettorale comunque il Cavaliere si è già stancato. E non ne fa mistero.
Guarda oltre e non vede rosa: c’è tutto un mondo fino a ieri vicino che adesso marca platealmente le distanze.
La Marcegaglia denuncia i dieci anni sprecati, in cui il «Palazzo ha pensato ad altro» e per otto su dieci anni il governo lo ha avuto in mano proprio Berlusconi.
E poi c’è il fronte Pdl, sempre più instabile anche quello.
Per un Formigoni che già invoca le primarie e preannuncia la sua candidatura, c’è un fedelissimo, Cicchitto, che lo bacchetta ed esclude «qualsiasi passo indietro» del premier.
Ma sono tutte avvisaglie della slavina che da martedì minaccia di trasformarsi in valanga.
Lopapa Carmelo
(da “La Repubblica“)
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