LA SFIDUCIA FALLITA A ZINGARETTI MOSTRA LA SPACCATURA NEL M5S LAZIO
LA VERITA’ E’ CHE A NESSUNO FA COMODO RINUNCIARE ALLO STIPENDIO
Alla fine la mozione di sfiducia del centrodestra nei confronti di Nicola Zingaretti in Regione Lazio fallisce.
Ventisei contrari, quindi pro-governatore, zero astenuti e appena 22 voti a favore del siluro politico armato da destra con Stefano Parisi primo firmatario.
E la mozione crea anche una frattura interna al gruppo di Forza Italia: fra i contrari anche Laura Cartaginese, consigliera di Forza Italia, che ieri ha annunciato di non riconoscere più «l’autorità del capogruppo Aurigemma».
Assenti, oltre all’ex leghista Enrico Cavallari che, in settimana, ha disinnescato i piani di ribaltone annunciando di non voler votare la sfiducia in polemica con la Lega, pure il forzista Pasquale Ciacciarelli, da venerdì sera in «missione culturale» a Edimburgo. Mentre Sergio Pirozzi, presente alla discussione, prima del voto è salito su un aereo, direzione la Puglia, perdendosi buona parte delle schermaglie «fratricide» tra consiglieri.
Il tutto è altamente comprensibile alla luce della situazione politica a via della Pisana: Zingaretti è stato eletto senza maggioranza e nei mesi di consiglio ha flirtato con il M5S prima e con la destra poi per garantirsi l’agibilità politica, forte del fatto che per molti essere eletti come consiglieri è un risultato che garantisce molto e doverci rinunciare per tornare alle urne non garantisce di certo la rielezione, visto che nel Lazio ci sono le preferenze.
E questo semplice ragionamento di comodo che per ora allunga la vita alla Giunta Zingaretti non riguarda solo Forza Italia e le altre cento anime sparse della destra laziale, ma anche il MoVimento 5 Stelle.
Che dopo aver candidato alla guida della Regione la capa del M5S romano Roberta Lombardi è incappato in una sconfitta poderosa di certo, visti i risultati nella Capitale, guidata dai funesti risultati della Giunta Raggi in Campidoglio.
Ma anche la Lombardi, così come la gran parte dei dieci eletti a 5 Stelle a via della Pisana, è al suo secondo mandato e in teoria dovrebbe concludere la sua corsa in politica quando verrà sciolto il Consiglio Regionale.
Proprio per questo Lombardi è stata l’alfiera dell’accordo con Zingaretti prima e in questa settimana ha combattuto e annunciato che il gruppo non avrebbe votato la sfiducia al governatore.
Ma proprio per questo è stata smentita prima da Beppe Grillo in persona e poi dallo stesso Luigi Di Maio, che con un messaggio sui social network hanno fatto capire alla Faraona che non c’era trippa per gatti: la mozione di sfiducia si doveva votare, altrimenti “l’Elevato non avrà più fiducia”, ha scritto Grillo su Facebook confidente del fatto che la Lombardi sappia precisamente cosa accade nel M5S a quelli che non hanno più la fiducia di Beppe.
E così ieri è andata in scena anche la spaccatura nel MoVimento 5 Stelle. Che ha un’altra protagonista oltre alla Faraona: Valentina Corrado.
La consigliera uscente aveva sfidato internamente la Lombardi per la leadership e la candidatura, perdendo rovinosamente nonostante la sponsorizzazione dell’allora sindaco di Pomezia Fucci. Poi ha deciso di improntare la sua consiliatura con la custodia della Retta Via Grillina, prima dissociandosi dalle menate no-vax del consigliere Barillari, poi contestando anche la Lombardi, che l’ha soprannominata sarcasticamente “la capogruppo in seconda”.
Ieri in aula la divisione è andata in scena in Aula: prima è intervenuta la Lombardi descrivendo un MoVimento 5 Stelle interessato a un’opposizione onesta e leale sui temi a Zingaretti, mentre la Corrado ha ribadito la necessità di porre fine all’amministrazione.
Andrea Arzilli sul Corriere della Sera spiega il motivo delle due linee contrapposte:
Galeotto un post di venerdì sera con cui il segretario Pd Roma Andrea Casu invitava i romani sia ad andare a votare alle primarie dem per il Lazio sia a firmare per le dimissioni della sindaca Virginia Raggi, nemica di Lombardi e amica di Corrado.
Secondo i rumors Raggi non gradisce e si sfoga con Grillo che, a tarda sera, sconfessa la linea di Lombardi e ordina via post ai grillini in Regione di andare a votare la sfiducia a Zingaretti: tra raccolta firme per le dimissioni di Raggi e scranni vuoti davanti al trionfo di Zingaretti, si rischiava un sabato troppo dem.
Certo, la Raggi avrebbe dovuto considerare che il renzianissimo Casu non ha molto interesse a puntellare la Giunta dello sfidante di Minniti alle primarie del Partito Democratico.
Ma adesso il cerino acceso è rimasto in mano a Roberta Lombardi. Sempre più nervosa. E sempre più vicina alla fine del suo secondo mandato.
Senza che nessuno abbia ancora dimostrato la benchè minima volontà di fare un’eccezione per lei.
(da “NextQuotidiano”)
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