L’ARMATA BRANCALEONE DEI 22 ALLEATI ANTI-ISIS
OGNUNO COMBATTE PER I PROPRI INTERESSI
Il tour di solidarietà del presidente francese Hollande alla ricerca di una grande coalizione appare ormai come la reazione politica e per certi aspetti isterica d’un governo in crisi, messo alle strette da opposizione politica e gran parte della popolazione che vuole la guerra aperta al punto da minare la democrazia in Francia e in Europa e che non eliminerà certo il terrorismo in Medioriente, e neppure quello interno.
Anzi, gli effetti di quest’ultimo son sfruttati per destabilizzare l’Eliseo e cambiare gli attuali equilibri europei.
La guerra all’Isis è stata dichiarata più volte e le coalizioni che combattono lo Stato islamico esistono da oltre un anno, come evoluzione della coalizione anti-siriana voluta dagli Usa nel 2012.
Ma proprio gli scarsi risultati ottenuti rivelano gli effetti della miopia tattica e della cecità strategica.
Oggi, fanno parte della coalizione, a vario titolo e con diversi impieghi, 22 paesi occidentali e mediorientali: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna , Canada, Australia, Giordania e Marocco, effettuano attacchi aerei in Iraq e Siria e assistono, con forniture di armi, forze speciali e “consiglieri militari” le forze regolari irachene e le formazioni più o meno chiare di ribelli al regime siriano e di contrasto alle bande dell’Isis.
Belgio, Danimarca e Paesi Bassi effettuano operazioni solo in Iraq.
Germania, Italia, Portogallo, Spagna e Repubblica Ceca forniscono un minimo supporto logistico e operativo non armato.
Supporto quasi simbolico ai curdi anche da Albania e Bulgaria.
Mentre Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Qatar e Turchia intervengono solo in Siria.
La Russia che sostiene il regime siriano si è unita alla lotta armata contro l’Isis in seguito, intensificandola dopo l’abbattimento dell’aereo di linea nel Sinai.
L’Iran non fa parte della coalizione ma, in quanto sciita, è quello che opera più efficacemente sul terreno con milizie “volontarie”.
Russia e Iran sono in sintonia e dopo l’accordo sul nucleare anche gli Usa non hanno remore a tollerare gli interventi iraniani.
Sul paino della cooperazione operativa, le nazioni occidentali e arabe dipendono dagli Stati Uniti che assegnano obiettivi e missioni. Ma ciascuna ha i propri paletti e priorità di carattere politico.
La Francia finora ha combattuto contro il regime, gli americani tentano di salvaguardare gli interessi petroliferi delle compagnie presenti in Iraq e le prospettive di quelle siriane.
Mentre Obama appare cauto nel sostegno ai ribelli, l’opposizione repubblicana continua a foraggiare i ribelli di tutte le specie.
La Russia guarda ai propri interessi nel Mediterraneo con o senza la Siria e con o senza l’Isis, l’Iran tenta di salvaguardare il regime sciita-alawita, anche senza Assad. L’Iraq vuol riprendersi i pozzi passati all’Isis, ma non insiste troppo nella guerra.
Il Kurdistan iracheno fornisce i peshmerga che combattono come possono l’Isis, ma ritiene si tratti d’un problema dei curdi siriani.
La Turchia non ha alcun interesse a combattere l’Isis, dal quale si rifornisce di petrolio e dollari in cambio di armi.
Il problema turco è quello dei curdi.
Oggi è divenuto anche quello della Russia.
Fabio Mini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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