LGBT, ITALIANI DISSOCIATI, MA TRA I GIOVANI MASSIMA APERTURA
L’INDAGINE IPSOS DEMOLISCE I LUOGHI COMUNI, SPADAFORA DEMOLISCE LA LEGA
“Io sono virtuoso, è la società che è malvagia”. Se ci interroghiamo su chi siamo davvero, noi italiani, ecco una possibile formula che può aiutarci nella risposta. Possiamo applicarla indifferentemente all’evasione fiscale, ai furbetti del cartellino, a frequentare prostitute o a mettere le corna al partner.
O all’atteggiamento verso gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, queer, asessuali, intersessuali.
In quale paese viviamo e come la pensiamo davvero?
Il 57 % degli italiani manifesta “paura”, “chiusura” e “distanza” nei confronti delle persone LGBT.
Ma allo stesso tempo, stupefacentemente, il 66 % degli italiani ritiene “pienamente accettabili” i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso e il 54% altrettanto accettabile vestire e comportarsi come se si appartenesse all’altro sesso.
Ma eccone un’altra: il 54% per cento pensa che in Italia sia “impossibile” vivere liberamente le proprie tendenze sessuali, mentre il 44% pensa l’esatto opposto, cioè che questo diritto non sia rispettato.
Cioè il 100% circa degli italiani invoca una totale libertà sessuale. Più che spaccata in opposte fazioni, quella italiana è una società contraddittoria, ambivalente, vittima di una vera e propria sindrome di dissociazione.
Questa almeno è Italia che esce dall’indagine dell’IPSOS sulle opinioni degli italiani nei confronti delle persone LGBT, presentata nel corso della celebrazione ufficiale, con i sigilli del Governo e nella sua gremita sala Polifunzionale a un passo da palazzo Chigi, della Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia a la transfobia.
Dice Nando Pagnoncelli, presidente dell’istituto di ricerca mobilitato dal sottosegretario Vincenzo Spadafora, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle pari opportunità da cui dipende anche l’Unar (l’Unione nazionale Antidiscriminazioni Razziali), che “questo paese riserva molte sorprese in cui la stessa persona pensa tutto e il contrario di tutto e presumibilmente non ha consapevolezza di questa fortissima ambivalenza”. Il che “è anche una via d’uscita perchè contiene una componente di apertura che va colta e valorizzata. Che cresce nel tempo”.
Così del resto confermano i dati: l’apertura e l’accettazione verso gli LGBT aumentano con il passare degli anni, rivendicate dal 44% della popolazione italiana dai 18 ai 34 anni e sono fortissime tra i giovani della fascia 18-24 anni che considerano “compagni di viaggio” gli LGBT.
Spadafora, sottosegretario di M5S, guarda con ottimismo al bicchiere mezzo pieno e alla lenta marcia del pensiero aperto, che corrode pregiudizi e ottusità .
Cogliendo l’occasione per sferrare una robusta zampata all’alleato competitor Salvini: “Lanciamo un appello a tutte le forze politiche, a cominciare dai nostri alleati di governo sapendo che abbiamo sensibilità diverse, ad abbassare i toni e ad essere, anche negli atteggiamenti e nelle dichiarazioni anzitutto di chi rappresenta le istituzioni, più rispettosi delle persone LGBT e di tutti”.
Fuor dalla polemica, anche elettorale, resta sul campo l’imponente la mole di dati della ricerca sulla discriminazione e sulla percezione della discriminazione: partenza dal campo largo e atterraggio nell’analisi minuziosa di atteggiamenti e comportamenti che impattano sulle persone LGBT e sull’idea che noi tutti abbiamo dell’accettazione sociale nei loro confronti.
Molti di questi dati sono sorprendenti, inediti, mai mappati prima: in negativo e in positivo.
Sapevate che il 12 % degli italiani non vorrebbe avere come vicino di casa una persona transgender, il 6% un gay o una lesbica, single o in famiglia?
Immaginavate, probabilmente, che il 63% degli italiani non vorrebbe vivere accanto ad una famiglia zingara Rom: ma non il raccapricciante dato secondo cui 4 italiani su cento non vorrebbero avere un ebreo come vicino di casa.
In questa massa di evidenze emerse una, tra le tante, spicca tra le pieghe della ricerca per la delicatezza del tema, prudentemente poco indagato nei sondaggi: oggi, grazie ad IPSOS, apprendiamo con sollievo che un granitico 42% degli italiani ritiene “inaccettabile” la pena di morte, insieme ad un 21% di altri “contrari”, che sbarrano il passo ad un 11% di favorevoli alla forca e ad un altro 21% che strizza l’occhio al cappio.
Nell’elenco di specifici gruppi presi in esame nella ricerca, gli italiani considerano i più discriminati gli zingari, i Rom (51%) seguiti da immigrati (33%), persone transgender (27%), i musulmani (22%), gay, lesbiche e bisessuali (20%), i disabili (12%), le donne (10%): percentuali che si allargano se aggiungiamo a quanti considerano “molto diffuse” queste discriminazioni gli italiani che le considerano “abbastanza diffuse”.
In campo LGBT, il 52% ritiene che gay e lesbiche dovrebbero essere liberi di vivere liberamente la loro sessualità , il 40 e il 18% che i matrimoni omosessuali dovrebbero essere consentiti sempre e dovunque, ma solo il 33 e il 37% che le coppie gay e le coppie lesbiche dovrebbero avere lo stesso diritto di adottare un figlio delle coppie eterosessuali.
In ambito LGBT le persone transgender si confermano ancora le più discriminate: se il 65% di intervistati dice che il governo dovrebbe proteggerle dalla discriminazione, il 60% è contrario a consentir loro l’adozione di bambini.
Sul versante delle vittime dei crimini d’odio, il 51% pensa che le principali vittime siano le donne, seguite dagli immigrati (24%), i ragazzi e le ragazze bullizzate (10%) le persone LGBT (8%) e i disabili (7%).
Dall’indagine sugli stereotipi resta saldissima la cosumata ma sempre imbattibile opinione, centenaria o millenaria chissà , del 52% degli italiani secondo cui “i gay sono molto sensibili”, del 48% secondo cui “i gay sono molto portati per alcuni ambiti creativi”, dalla moda all’arte, del 42% secondo cui “gli uomini gay hanno ottimo gusto nel vestire e nell’arredamento”.
Chissà che ne penserebbero i circa 48mila militari gay e lesbiche americani in servizio, dal grado di generale al soldato semplice, operativi nei principali teatri di guerra (William Institute, Rapporto 2010).
Ma questo, per il bene dei cari, vecchi e spesso innocui stereotipi, spudoratamente e spensieratamente falsi, è meglio non dirlo.
(da “Huffingtonpost”)
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