L’INFLAZIONE E IL CARO-BOLLETTE HANNO FATTO AUMENTARE DEL 10% LE RETTE DEGLI ASILI NIDO NELL’ULTIMO ANNO
I RINCARI STANNO COSTRINGENDO SEMPRE PIÙ STRUTTURE ALLA CHIUSURA… NEL 2020 GLI ASILI IN ITALIA COPRIVANO SOLO IL 26% DEL FABBISOGNO DELLE FAMIGLIE. CON GLI INVESTIMENTI TRAINATI DAL PNRR LA QUOTA DOVREBBE SALIRE AL 44% NEL 2026. MA CHI SE LI POTRÀ PERMETTERE?
All’appello dei rincari trainati dall’inflazione mancavano solo i servizi all’infanzia. All’aumento delle retribuzioni minime di tate e badanti – che sono state adeguate all’aggiornamento Istat con aumento a carico delle famiglie fino a 100 euro al mese – si aggiunge quello degli asili nido e delle mense scolastiche. Un’altra stangata sul conto economico di cittadini e consumatori vessati dalla corsa dei prezzi saliti del 10,1% rispetto allo scorso anno.
Nel 2022 il Parlamento delegava il governo a trovare risorse per aumentare i posti negli asili nido e tagliando progressivamente il peso delle rette; quest’anno i costi crescono.
Il comune di Milano ha varato un aumento sulle rette dell’8,1% a partire da gennaio – con conguaglio a carico di chi ha pagato l’intera retta in anticipo per beneficiare dello sconto del 10% -, altri si sono mossi la scorsa estate deliberando rincari medi legati all’inflazione, mentre gli istituti privati stanno studiando aumenti anche superiori al 10 per cento.
Con un distinguo: «Si può intervenire sulle rette solo quando una revisione delle tariffe è prevista dai bandi o dai contratti. Altrimenti devono rimanere invariate per tutto l’anno scolastico» spiega un avvocato che preferisce rimanere anonimo che però nota come dal bando pubblicato dal Comune di Milano non siano esplicitate possibili revisioni al rialzo. Un nodo che potrebbe aprire la strada a contenziosi amministrativi.
Già oggi le strutture lavorano in perdita o quasi e quelle che potrebbero decidere di chiudere i battenti aumentano giorno dopo giorno. «Stiamo studiando tutte le soluzioni possibili per non interrompere il servizio, ma la situazione è insostenibile» spiega Giampiero Redaelli, presidente di Fism, la Federazione italiana scuole materne che rappresenta circa novemila realtà educative in tutto il Paese, frequentate da circa mezzo milione di bambini e dove lavorano oltre quarantamila insegnanti e addetti.
Oltre all’aumento della bolletta, del riscaldamento, della lavanderia, dei prodotti di carta – dai fogli ai fazzoletti monouso che all’asilo si consumano in un lampo – vanno considerate le più che legittime richieste di adeguamenti salariali da parte dei dipendenti. Un circolo vizioso dal quale rischia di essere sempre più difficile uscire senza un intervento statale.
E se le scuole rischiano di dover alzare bandiera bianca, soffocate dell’aumento di costi non completamente trasferibile sui consumatori, a restare a piedi rischiano di essere le stesse famiglie: nel 2020 gli asili nido sul territorio coprivano solo il 26% del fabbisogno; con gli investimenti trainati dal Pnrr la quota dovrebbe salire al 44% nel 2026. A patto di poterselo permettere. Perché mentre le rette registrano aumenti a due cifre, i salari della collettività restano fermi e bonus e assegni unici vengono rapidamente erosi dalla corsa dell’inflazione.
(da agenzie)
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