L’ITALIA MIGLIORE: I MEDICI CHE PRENDONO LE FERIE PER I PICCOLI MALATI DELLA BIRMANIA
LA SQUADRA TORINESE DI SEI MEDICI PARTECIPA AL PROGRAMMA “CUORE DI BIMBI”… NON C’E’ SOLO LA FOGNA RAZZISTA
Siccome il mondo va così, tra ambiguità e trasparenza, cattiveria e generosità , accade che, mentre ci sono maestre d’asilo che si fanno arrestare per aver picchiato i bimbi in classe, ci sono medici come l’equipe specializzata di cardiochirurgia dell’ospedale infantile Regina Margherita di Torino, che partono per la Birmania per salvare la vita a bambini della stessa età .
Sei medici, un cardiochirurgo, un cardiologo, due anestesiste, un perfusionista – che in sala operatoria tiene sotto controllo la circolazione del sangue – e un’infermiera, la settimana scorsa si sono presi una settimana di ferie e, dopo 17 ore di volo, sono atterrati a Yangon, capitale birmana fino al 2005, anno dell’insediamento della dittatura militare. Ad attenderli persone e speranze.
I protagonisti
«Non è stato semplice partire – racconta Annalisa Longobardo, cardioanestesista – ho due figlie piccole, di 4 e 2 anni, ed ero preoccupata. Cosa avrebbero fatto senza di me? Un’amica mi ha fatto capire che esserci o non esserci per sette giorni, non avrebbe fatto tanta differenza nella loro esistenza. Per i bambini cardiopatici in Birmania, invece, quello stesso tempo, avrebbe avuto un’importanza vitale».
Vitale, già . Perchè di questo stiamo parlando: due interventi salvavita al giorno per sette giorni. E poi di visite a tanti altri piccoli pazienti, nati con malformazioni cardiache, che per essere operati dovranno aspettare la prossima missione del programma «Cuore di bimbi», progetto della Fondazione «Mission Bambini» che coinvolge 70 pediatri in tutta Italia.
Dieci di loro sono di Torino. Si muovono per il mondo due volte all’anno – questo è ciò che consentono le risorse – formando delle vere e proprie equipe, per intervenire nei paesi più poveri dove si opera con le torce e dove può saltare la corrente elettrica da un momento all’atro.
«Quello che facciamo – dice Giulia Albano coordinatrice del progetto – non sono “solo” interventi chirurgici. I nostri medici fanno formazione, un tassello fondamentale per le speranze future. Impartiscono mini lezioni ai colleghi che trovano sul posto e li affiancano in sala operatoria per far sì che poi, possano farcela da soli».
Angoscia e speranze
Spiegano diagnosi, insegnano tecniche, e così facendo consentono di vivere a piccoli super-eroi nati con un cuore malato.
E ridanno luce ai loro genitori che spesso abitano in paesini a centinaia di chilometri di distanza dalle città in cui si trovano gli ospedali.
Mangiano e dormono per giorni nell’atrio, nei corridoi in attesa dell’equipe, e poi sperano – paradosso della vita – che i loro figli siano così gravi da essere sottoposti subito all’intervento: «Sono sempre colpito dalla dignità che incontriamo – dice Carlo Pace Napoleone, direttore del reparto di cardiochirurgia pediatrica del Regina Margherita a capo della squadra rientrata, domenica, da Yangon – anche quando spieghiamo che l’operazione va rinviata, che ci sono casi più seri, nonostante l’angoscia che quelle madri e i padri si portano addosso, ci ringraziano, ci sorridono, ci sono grati. Cosa penso del caso di Vercelli? Non ho scelta: credo nell’essere umano. Nella generosità della maggioranza delle persone».
(da “La Stampa”)
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