MAGGIORANZA ALLO SBARAGLIO SULL’ECONOMIA: TUTTI I DISASTRI DELLA BANFINOMICS
STILE DI CRESCITA SBALLATE, CRITICHE ALL’AUSTERITA’ FUORI TEMPO MASSIMO, ANALISI APPROSSIMATIVE SUL CFA… IL GOVERNO COLLEZIONA SOLO GAFFE E IMPRECISIONI
Le sortite degli ultimi giorni dei maggiori esponenti della maggioranza gialloverde meritano di essere sottolineate: sulle stime del Pil di quest’anno, sulle responsabilità dell’Fmi nell’austerità e sulla area monetaria franco-africana, sono state collezionate gaffe e imprecisioni oggetto di contestazioni da tutte le parti.
Un tempo si sarebbe potuto avvicinare l’economia dei gialloverdi alla Patafisica, oggi si potrebbe parlare — con tutto il rispetto e la simpatia per l’attore — di Banfinomics.
Il primo punto è quello delle stime del Pil di quest’anno: non è un fatto irrilevante perchè il Pil è il “fatturato” dell’Azienda Italia e se continua a diminuire un giorno a l’altro lo avvertiremo nelle nostre tasche.
La Banca d’Italia e il Fondo monetario stimano che crescerà solo dello 0,6 per cento, il governo ha messo nei suoi documenti l’1 per cento dopo aver rinunciato — in seguito al negoziato con Bruxelles — all’obiettivo irrealistico dell’1,5 per cento.
Ogni stima si può contestare, ma non si possono contestare il buon senso e l’aritmetica.
Carlo Cottarelli in una nota dell’Osservatorio della Cattolica spiega molto bene che acquisito che gli ultimi due mesi del 2018 saranno negativi, il prossimo anno per arrivare all’1 per cento dovremmo correre come i cinesi: nella seconda metà dell’anno il tasso di crescita medio trimestrale dovrebbe essere dell’1 per cento e il tasso annualizzato addirittura del 4 per cento.
“A me sembra impossibile, a meno di miracoli”, commenta il rapporto di Cottarelli. Lottare contro queste cifre sembra inutile, anche perchè sulle stime per l’Italia c’è convergenza di istituti pubblici e di banche d’affari private di mezzo mondo, un processo cui partecipano centinaia di economisti che condividono metodologie e modelli.
La polemica contro l’austerità che è stata scagliata contro l’Fmi come ritorsione per le sue previsioni deludenti sull’economia italiana è fuori tempo.
Dato per scontato che oggi è difficile trovare fautori dell’austerità e della cura che fu imposta alla Grecia, è necessario aggiornare i propri giudizi.
Sia la Commissione europea che l’Fmi hanno abbandonato il super-rigorismo e l’idea dell’austerità espansiva proprio dopo la crisi greca del 2009-2012: la svolta avvenne nel 2013 con il capo economista dell’Fmi Olivier Blanchard che fece autocritica sui modelli econometrici dell’Fmi che sottovalutavano l’impatto dei tagli del deficit sul Pil. Inoltre, se si vanno a sfogliare le cronache degli ultimi anni delle riunioni dell’Fmi, si scopre che nel palazzone di Washington non si respira più l’aria di grisaglia di un tempo: imperversano temi dello sviluppo, dell’Africa e del Sud est asiatico, vengono misurate le diseguaglianze, si segnala la quantità del reddito mondiale che si è spostata dal lavoro al capitale e non vengono risparmiate critiche alla globalizzazione senza regole.
Anche l’Europa dopo la crisi greca ha cambiato rotta. Basti ricordare la cosiddetta Comunicazione Juncker, adottata all’inizio del 2015, che prevedeva una flessibilità del deficit in cambio di riforme: l’Italia ha beneficiato, grazie a queste politiche, di 30 miliardi di margini di bilancio.
Quanto all’intera Eurozona basta vedere un eloquente indicatore di austerità come l’avanzo primario che è costituito dalle entrate, meno le spese, al netto degli interessi: è ovvio che più è alto più c’è austerità , cioè non si spendono neppure le maggiori entrate.
Ebbene nel 2014 il surplus primario al netto del ciclo nell’Eurozona era pari all’1,5 per cento (4 per l’Italia), nel 2018 era sceso all’1 (1,9 per l’Italia) e oggi le previsioni Ue per il 2019 dicono 0,6 per l’area dell’euro e 0,8 in Italia.
Anche l’idea che l’unione monetaria franco-africana, in vigore sostanzialmente dal 1945, sia una espressione coloniale di Parigi, è sbagliata come hanno commentato economisti ed esperti di politica internazionale.
Lo dimostrano soprattutto i risultati dei 14 paesi della Communautè Financière Africane (CFA).
Queste nazioni hanno tratto solo benefici dalla moneta unica: negli ultimi 25 anni, soprattutto quelle occidentali, sono cresciute come “gazzelle nere” al tasso del 5-6 per cento e l’inflazione è rimasta al 2 per cento.
Un bel successo visto che altri paesi africani, come lo Zimbabwe, sono divenuti proverbiali per banconote da trilioni di dollari.
Peraltro nell’unione monetaria ci sono due paesi che non sono ex colonie francesi (la “portoghese” Guinea Bissau e la “spagola” Guinea equatoriale) mentre altri paesi sono usciti e poi rientrati liberamente.
Per finire: solo l’8 per cento dei migranti che arrivano in Europa provengono dalla Cfa.
Ma la Banfinomics dice il contrario.
(da “La Repubblica”)
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