MARCINELLE, SIMBOLO DI SACRIFICIO, LAVORO E MIGRAZIONE
FURONO 230.000 GLI ITALIANI “DEPORTATI ECONOMICI” NELLE MINIERE DI CARBONE DEL BELGIO … 8 AGOSTO 1956 LA TRAGEDIA IN CUI MORIRONO 136 LAVORATORI ITALIANI, IL PIU’ GIOVANE AVEVA 14 ANNI
Se avrete l`opportunità `, e la fortuna, di scambiare due chiacchiere con qualcuno degli ex-minatori che ancora si incontrano visitando il bellissimo museo della Memoria del Bois du Cazier in Belgio, vi racconteranno del loro viaggio iniziato probabilmente lasciando un piccolo paesino del Molise, della Sicilia o del Friuli e finito a Namur, stazione dove venivano poi smistati e mandati a lavorare nelle miniere di carbone sparse nel Belgio, da Charleroi a Genk, da Mons a Liegi.
Urbano Ciacci o Sergio Aliboni vi diranno che pioveva o nevicava al loro arrivo, che faceva freddo, che venivano ammassati nelle baracche in lamiera a ridosso delle miniere servite per mettere i prigionieri di guerra e dove avrebbero dovuto passare, senza alcuna possibilità di muoversi (pena l` arresto e il confino) almeno 5 anni.
Dal 1947, anno dello scellerato protocollo tra Italia e Belgio per lo scambio manodopera-carbone, e l’inizio degli anni 60, gli italiani che hanno lavorato nelle miniere di carbone in Belgio, sono arrivati a 230000.
“Deportati economici” [Franzina 2002, 168] venduti dall` Italia per qualche sacco di carbone, che con condizioni di lavoro durissime e di sicurezza pressochè inesistenti hanno posto le basi dello sviluppo economico non solo del Belgio, ma di tutta quell` Europa nata dalla cooperazione e dallo scambio di carbone e acciaio. Non a caso, nel 1951 su iniziativa di Robert Schuman nasce la Comunità apposita.
Ma se è vero come diceva Jean Monnet che gli uomini passano e le istituzioni restano, riconoscendo al politico francese il ruolo di grande Padre dell’Europa odierna, pochi riconoscono che le sue fondamenta risiedono nel sudore, nel lavoro e nel sacrificio di questi minatori, di questi migranti. E delle loro famiglie.
Mogli, madri con bambini che si sono spostate per seguirli, pagando il prezzo, altissimo, non solo dell` abbandono del paese di origine ma anche quello di un` integrazione mancata, fatta di insulti e soprusi subiti nel paese di arrivo. Si leggeva nei bar e nei ristoranti di molte città del Benelux “vietato l` ingresso ai cani e agli italiani”.
Ma tutto cambiò una mattina di agosto del 1956.
A Marcinelle, precisamente nella miniera del Bois du Cazier si è consumata la più grande tragedia dell` immigrazione italiana in Europa. Un incendio causato dalla combustione d’olio ad alta pressione innescata da una scintilla elettrica scoppia a quasi 1000 metri sotto terra provocando una strage. Perdono la vita 262 minatori, provenienti da 12 paesi diversi dell’Europa e del Nord Africa. 136 di questi italiani, 22 venivano dal paesino abruzzese di Manopello.
Il più giovane di 14 anni e il più anziano di 53 anni. La tragedia fu immane e per la prima volta fu seguita da vicino dalla televisione, media in ascesa in quegli anni.
Il lutto colpì 248 famiglie e lasciò 417 orfani. Il sentimento di gelosia, diffidenza, per non dire razzismo, che aveva accompagnato gli italiani in Belgio tramutò drasticamente.
Ma soprattutto, iniziarono a migliorare le condizioni di sicurezza del lavoro, furono consentite protezioni maggiori ai minatori (l` uso di lanterne elettriche) e il legno fu sostituito con altri materiali ignifughi e vennero ridotti i turni. La silicosi, malattia alle vie respiratorie che avevano colpito moltissimi minatori, venne finalmente riconosciuta come malattia legata al lavoro.
Passi avanti, diritti acquisiti che oggi diamo scontati. Ma non possiamo dimenticare il prezzo pagato.
Le immagini di molti documentari, filmati, i successi di Rocco Granata o di Salvatore Adamo, figli di minatori, nati in Calabria o in Sicilia ma cresciuti in Belgio a pane e carbone, e che sono poi diventati vere e proprie star grazie a pezzi come Marina o Tu somigli all` amore sono pezzi importanti per tenere viva la memoria.
Ma non basta. Bisogna tenere viva la memoria e fare conoscere che cosa è successo a Marcinelle, “quando la vita valeva meno del carbone” come titola il bel libro che il Professore di storia della migrazioni Toni Ricciardi ha dedicato alla catastrofe e che consiglio vivamente di leggere.
Marcinelle è una storia di migrazione, di lavoro, di sacrificio. Ma anche di solidarietà `.
E sono tematiche sempre più drammaticamente attuali e interconnesse fra loro. L` importante che questa interrelazione non debba mai più portare alla morte. Alle morti bianche.
Anche se in questo caso si trattò di morte nera, perchè neri erano i “musi” dei minatori. “Tutti uguali lì sotto eravamo. Eravamo tuti musi neri, tutti fratelli”. Mi raccontava Mario Ziccardi, altro grande uomo, amico, e sopravvissuto solo perchè si andava a sposare in Molise quell`8 agosto. Ma Mario, come Urbano e come Sergio, piangeva ogni volta al ricordo dei suoi amici, fratelli persi quella maledetta mattina.
Quest` anno, per ovvi motivi, non si terranno le commemorazioni al Bois du cazier.
La campana che alle 8e11 scandisce i suoi lugubri mortali 262 rintocchi non suonerà .
Ciò non toglie che i nostri pensieri saranno li`. La “ Catastrofa” come la chiama Paolo di Stefano ha segnato un` epoca ma il suo monito e` ancora vivo e presente oggi.
L` 8 agosto è diventata la giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo per celebrare, ricordare e onorare i tanti lavoratori italiani e il contributo economico, sociale e culturale delle loro opere. Sarebbe bello che diventasse la giornata internazionale del sacrificio del lavoro, visto che sono morti anche olandesi, belgi, francesi, maghrebini, russi, polacchi. E perchè Marcinelle non appartiene a un popolo, anche se scalda il cuore di molti emigrati italiani in Belgio il solo parlarne. Ma rappresenta tutti noi. Perchè siamo migranti e lavoratori, perchè abbiamo lasciato affetti e fatto sacrifici.
E soprattutto perchè crediamo che non si debba mai più morire per un lavoro. Nè sotto terra, nè in fondo al mare. Nè tantomeno ucciso facendo uno stage a Strasburgo, volontariato in Colombia o una ricerca in Egitto.
(da “Huffingtonpost”)
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