‘NDRANGHETA, CHIESTO L’ARRESTO DEL SENATORE CARIDI
SCOPERTA CUPOLA SEGRETA IN CALABRIA, IN MANETTE ANCHE SERRA, UOMO DI FIDUCIA DI SCOPELLITI, ACCUSATO DI ASSOCIAZIONE MAFIOSA
È terminata la caccia agli “invisibili”, la componente più segreta e riservata della ‘ndrangheta, che ha permesso ai clan di prendere parte come “interlocutore indispensabile” ai più importanti tavoli di discussione politica, economica e finanziaria, in Calabria e non solo.
Dalle prime luci dell’alba, i carabinieri del Ros di Reggio Calabria stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare, emessa su richiesta del pm Giuseppe Lombardo della Distrettuale antimafia nei confronti di 5 persone, tutte accusate di associazione mafiosa, traffico di influenze e altri reati.
Fra loro c’è anche il senatore di Gal, Antonio Caridi, per il quale bisognerà attendere l’autorizzazione del Senato.
In manette sono finiti anche l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra, storico braccio destro dell’ex governatore calabrese Giuseppe Scopelliti e l’imprenditore Francesco Chirico.
Una nuova ordinanza di custodia cautelare, che ne ricostruisce il ruolo di fondamentale pilastro della ‘ndrangheta reggina, è stata emessa nei confronti degli avvocati Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, entrambi già condannati in via definitiva per concorso esterno alla fine degli anni Novanta e di recente riarrestati nell’ambito di due due diverse operazioni.
Sessantotto anni, avvocato con il pallino della politica, Giorgio De Stefano è da sempre considerato la vera mente del potente omonimo casato mafioso.
Era il cugino prediletto di don Paolo, il boss che ha scritto di suo pugno la storia della ‘ndrangheta moderna, per i pentiti grazie anche ai consigli dell’avvocato, che lo ha aiutato a sviluppare contatti e collegamenti con il mondo dell’eversione nera, come della politica parlamentare.
A lui, ipotizzano i magistrati, si deve anche l’ingresso dei De Stefano nei più potenti e segreti consessi massonici della penisola. Ex ordinovista con Stefano Delle Chiaie, poi riciclatosi fra i ranghi del Psdi che lo ha portato addirittura in Parlamento, Paolo Romeo dopo la condanna per concorso esterno ha tentato di farsi dimenticare, ma in silenzio ha continuato a governare la politica e l’imprenditoria reggina.
Le più recenti inchieste lo vogliono a capo di una loggia massonica segreta, impastata di ‘ndrangheta, in grado di allungate i propri tentacoli in Comune, Provincia, Regione e persino in parlamento.
Una strategia che l’inchiesta di oggi è in grado di svelare.
Con l’operazione “Mammasantissima” è stato individuata infatti la struttura segreta di vertice della ‘ndrangheta in grado di dettare le linee strategiche dell’intera organizzazione e di interagire sistematicamente e riservatamente con gli ambienti politici, istituzionali ed imprenditoriali al fine di infiltrarli ed asservirli ai propri interessi criminali. In particolare è stato documentato il ruolo determinante del sodalizio mafioso nel condizionamento di alcuni appuntamenti elettorali in ambito comunale, provinciale, regionale, nonchè nell’individuazione di propri affiliati da proiettare nel parlamento nazionale.
In Senato, secondo il pm Giuseppe Lombardo, potevano contare sul senatore Antonio Caridi, già in passato finito nell’occhio del ciclone per i suoi legami con i clan.
Di lui, aveva parlato circa 12 anni fa il killer pentito Giovambattista Fracapane, che ai magistrati aveva rivelato di aver sentito spesso il nome del governatore Giuseppe Scopelliti e dell’assessore Antonio Caridi negli ambienti legati ai clan Tegano e De Stefano.
Qualche anno più tardi, il nome del senatore era saltato fuori nell’ambito “Sistema-Assenzio”, quando era stato “pizzicato” a parlare di presunte assunzioni pilotate con il consigliere comunale Dominique Suraci, poi arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ma gli elementi più pesanti a carico del politico sono stati raccolti solo un paio di anni fa dalla Dda di Genova.
In una relazione, poi messa nelle mani della commissione antimafia quando Caridi era stato scelto per diventarne componente, i magistrati di quel distretto dicevano chiaramente che il clan Gullace “nella provincia di Reggio Calabria può contare su una rete di contatti con alcuni pubblici amministratori ed esponenti politici, coi quali non lesina il reciproco scambio di favori.
L’indagine ha consentito di documentare l’alacre attività di sostegno elettorale svolta nell’ultima consultazione regionale da esponenti della cosca, anche con palesi intimidazioni, a favore di un candidato alla Regione Calabria, Caridi Antonio Stefano, poi eletto e, in atto assessore regionale, con delega ad Attività produttive”.
All’epoca ne derivò un polverone, che costrinse Caridi a una rapida marcia indietro e alle dimissioni, ma su di lui non è emerso più alcun dettaglio. Fino ad oggi.
(da “La Repubblica”)
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