NEL GIORNO DELL’ADDIO DI ALEMANNO, LA MOGLIE FINISCE AL VIMINALE CON ALFANO
LACRIME E CASTA: LICENZIATO LUI, SISTEMATA LEI
Tra la tangenziale di Roma e piazzale delle Province, il civico uno di via Giano della Bella è un sito di archeologia industriale.
Da ieri è anche un simbolo di archeologia politica.
Perchè è qui che Gianni Alemanno ha organizzato il suo comitato elettorale ed è qui che il sindaco uscente si mette a piangere quando il disastro delle urne è chiaro da subito.
Alemanno, che i suoi camerati definiscono “un combattente con due palle così”, si abbatte tra le braccia di Antonio Lucarelli, il capo della sua segreteria, ed esplode in un pianto dirompente. Sconforto, rabbia, stress.
Qualcuno, sottovoce, azzarda una battuta consolatoria: “Poteva andare peggio”.
Cioè, non arrivare nemmeno al trenta per cento.
Ma anche quando capitola, il potere nero della Capitale mantiene la sua sfrontatezza. Stavolta al fianco di Alemanno c’è la moglie Isabella Rauti fu Pino. Dio, casta e famiglia. Nel giorno in cui il marito perde la poltrona, lei ne guadagna una grazie al ministro amico dell’Interno.
Angelino Alfano, del Pdl come Alemanno, la nomina consulente contro i femminicidi “per l’alta professionalità e l’impegno costante nel settore”.
Formuletta di prammatica per giustificare l’incarico alla Rauti. Almeno potevano scegliere un giorno diverso. Poi dici l’arroganza della casta.
Le agenzie battono la notizia che l’intera famiglia Alemanno (Gianni, Isabella e il figlio adolescente Manfredi) è radunata nel comitato elettorale.
Sono le 13 e 30. Una pausa pranzo comunque mesta.
Da giorni i fatidici sondaggi che non si possono divulgare sui media annunciano la catastrofe del sindaco uscente.
Il primo ad ammetterlo, a urne chiuse, è Andrea Augello, sveglio senatore del Pdl con la nomea del Goffredo Bettini di destra.
Il modello Alemanno, però, tramonta dopo soli cinque anni a colpi di astensionismo e scandali.
Augello è il coordinatore della campagna elettorale e fa il profeta di sventura che sono le 15 e 30: “La sconfitta è evidente, Marino è il nuovo sindaco”.
Qualche ora più tardi integrerà , tra calcoli di voti e astensioni, tra realtà e autoconsolazione: “È l’unico sindaco al mondo con l’opposizione al 70 per cento”. L’ormai ex sindaco è circondato da fedelissimi e alleati.
È il momento di cominciare a mettere la faccia sulla sconfitta. Tra le prime, al comitato, a farsi intervistare dalle tv è Barbara Saltamartini, deputata del Pdl e alemanniana d’acciaio.
Ripete come un mantra le due parole d’ordine che poi saranno riprese da tutti gli altri: “Aprire una riflessione” e “Pensare al radicamento”.
Riflessione e radicamento, a oltranza. Lo stesso Alemanno vuole riflettere. La sala stampa è quasi all’aperto. C’è il sole.
Il marito della nuova consulente di Alfano si presenta alle sedici passate: “Ho appena telefonato a Marino per fargli le mie congratulazioni e per mettermi a disposizione. Il risultato è netto, è evidente che l’astensionismo è stato troppo forte, il numero delle persone che hanno votato per me è sostanzialmente lo stesso tra primo e secondo turno. Il problema vero è il comprendere l’allontanarsi dei romani dalla partecipazione politica. Occorre aprire una riflessione nella destra su Roma e sul piano nazionale”.
Per il comitato vagano tante facce note della politica nazionale e romana.
C’è l’ex finiano Andrea Ronchi che parla con due donne.
Più in là , l’ex udc Luciano Ciocchetti, ras delle preferenze, non smentisce la sua fama di uomo concreto. Tiene banco in un capannello e chiede brusco ai suoi: “Ahò, Marchini quando seggi ha preso? Se lui rinuncia chi entra in consiglio? ”.
Ognuno ha un orto da curare e sorvegliare. Alemanno ritorna dai giornalisti dopo le diciotto. Mostra il petto agli sfottò della sinistra. Vuole morire in piedi: “Mi assumo io tutte le colpe e le responsabilità , non voglio fare lo scaricabarile. Ma questo non è un De Profundis, non scompariremo, c’è ancora bisogno di noi”.
Saluta e ringrazia l’onnipresente moglie Isabella e l’applauso finale è quasi un’ovazione.
Il convitato di pietra in questo comitato è Silvio Berlusconi.
Salvezza e dannazione, allo stesso tempo, del centrodestra.
Il solito Augello chiarisce: “Non è colpa di Berlusconi questa sconfitta. Sono tutte speculazioni tattiche. Un nuovo partito? Non serve e Gianni rimarrà a fare il consigliere comunale. Qui il problema è recuperare i delusi. E lo fai se crei reti nuove, non altri partiti”.
Vincenzo Piso è un duro che viene dalla destra sociale di An, la stessa corrente di Alemanno. Oggi è coordinatore regionale del Pdl. Dice: “Il Pdl mi ricorda il Napoli di Maradona e quando Maradona non giocava erano guai”.
Maradona, ovviamente, è il Cavaliere
Alle sette di sera si smobilita ed ecco materializzarsi un’altra scena forte del disastro romano.
La sala stampa è vuota e Francesco Storace della Destra si siede dove prima c’era Alemanno. Si mette a scrivere sull’Ipad.
Un editoriale per il suo quotidiano online, il redivivo Giornale d’Italia.
Ha le idee chiare: “È mancata la faccia del Capo. Qui c’è gente che se farebbe ammazzà pè lui e lui invece se n’è fregato”.
Il Capo è il Maradona di prima.
Alemanno ha perso. Di chi è la colpa?
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano“)
Leave a Reply