NETANYAHU TREMA: ASSEDIATO DALLA PIAZZA, SI TRINCERA NEL FORTINO, MA GLI ISRAELIANI LO VOGLIONO CACCIARE
IL PREMIER DELLO STATO EBRAICO SI COCCOLA GLI ESTREMISTI DI DESTRA, CHE NON VOGLIONO FARE CONCESSIONI ALL’AUTORITÀ NAZIONALE PALESTINESE… MA I PARENTI DELLE VITTIME DEL POGROM DEL 7 OTTOBRE PROTESTANO CONTRO IL GOVERNO E CHIEDONO LE DIMISSIONI
Le tende sono tornate e questa volta a far tremare Benjamin Netanyahu non è la rimostranza economica della classe media. È questione di vita, di chi la rischia e di chi vuole che gli amati non la perdano.
Le tende sono tornate, questa volta sul marmo bianco del piazzale davanti al museo di Tel Aviv, lo spazio più ampio dove allestire un dolore permanente — è stata soprannominata piazza dei Dispersi — per dimostrare a colpo d’occhio «quanti siamo» ai vertici politici e militari riuniti al dodicesimo piano della Kirya, poco lontano.
Per far capire che qui non ci sono solo i famigliari degli ostaggi. Nel 2011 migliaia di israeliani si erano trasferiti sotto le jacarande su viale Rothschild perché a casa non tornavano più i conti. Adesso si tratta di chiedere conto: al primo ministro che più di tutti è rimasto al potere nella Storia del Paese, quasi sedici anni in totale, quattordici consecutivi dal 2009, con un’interruzione di 563 giorni.
Una settimana dopo essere stato costretto a cancellare il messaggio via social media in cui addossava ai generali e all’intelligence tutta la responsabilità dei massacri perpetrati dai terroristi di Hamas il 7 ottobre, Netanyahu è tornato alle stesse tattiche prendendosela con i riservisti e il loro rifiuto di presentarsi in caserma durante i 10 mesi di proteste contro il piano giustizia anti-democratico portato avanti dal governo. Sarebbero stati questi annunci di «diserzione» a convincere Yahia Sinwar, il capo fondamentalista nella Striscia, della debolezza di Israele, a spingerlo a ordinare l’invasione.
Ancora una volta è toccato a Benny Gantz, che ha lasciato l’opposizione per partecipare al consiglio di guerra ristretto, rintuzzare gli attacchi del premier: «Rifiutare le proprie responsabilità mentre stiamo combattendo danneggia il Paese». Metà degli israeliani, secondo i sondaggi, lo vorrebbe già al posto di Bibi.
Che si tiene stretto gli ultrà messianici portati da lui per la prima volta al potere. Gli garantiscono la tenuta della coalizione, deve accettarne i veti: Itamar Ben-Gvir, ministro per la Sicurezza nazionale, gli ha impedito di cacciare Amichai Eliyahu, suo collega di partito, dopo l’uscita sull’atomica a Gaza.
In più le frasi riportate dai giornali israeliani e attribuite a «una fonte di alto profilo» — quindi Netanyahu o un consigliere autorizzato da lui a parlare — riflettono i piani già espressi da Bezalel Smotrich e Ben-Gvir, capi dei coloni: il conflitto contro Hamas non può portare a un ritorno dell’Autorità di Abu Mazen nella Striscia, a una riunificazione politica dei territori palestinesi, a una riapertura dei negoziati di pace verso uno Stato. In pieno contrasto con gli obiettivi e la strategia degli americani per il dopo Hamas.
Se Netanyahu resta il Bibi di sempre, gli oppositori stanno preparando altre contestazioni. I creatori del gruppo Fratelli e Sorelle in armi […] sono convinti che i nuovi leader del movimento debbano essere i parenti delle 1.400 persone ammazzate nei villaggi e nei kibbutz attorno a Gaza. «Hanno l’autorità morale per pretendere che se ne vada — dicono al quotidiano Haaretz — e le masse li seguiranno». Lo slogan non sarà più: «Ti devi dimettere». Ma: «Cacciatelo adesso»
(da Il Corriere della Sera)
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