“NON AVRETE IL MIO ODIO”: IL LIBRO DI ANTOINE LEIRIS CHE HA PERSO LA MOGLIE NELLA STRAGE DEL BATACLAN
LUI CE L’HA FATTA GRAZIE AL FIGLIO E ALLA CAPACITA’ DI RESISTERE
Ci vuole coraggio, a non odiare chi ti ha portato via la donna che ami.
Ci vuole coraggio, soprattutto se quella morte è stata violenta, inaspettata, senza senso.
Ci vuole coraggio, poi, a raccontare quel dolore con dignità , forza, resilienza.
Il giornalista francese Antoine Leiris è uno dei simboli di quel coraggio, fioriti loro malgrado dopo la strage del Bataclan del 13 novembre 2015.
Dopo la morte della sua compagna Hèlène, assassinata dai terroristi quella notte, rimasto solo col figlio Melvil, di 17 mesi, Leiris ha scritto un post su Facebook diventato subito virale, in cui diceva «Non avrete il mio odio».
Oggi quel post si è trasformato in un libro omonimo (Non avrete il mio odio, ed. Corbaccio), di cui Leiris è venuto a parlare a Bookcity, la rassegna di libri a Milano fino al 20 novembre.
«Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio — così iniziava il suo post di un anno fa -. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi».
Ancora oggi, Leiris, non sa dire com’è giunto alla decisione di non odiare, «ma ricordo esattamente quando ho concepito quelle parole – racconta a La Stampa -: lungo il tragitto dall’Istituto medico legale, dove avevo appena visto Hèlène, al nido dove sarei andato a ritirare nostro figlio Melvil. L’avere il sorriso di una persona amata e, contemporaneamente, anche la responsabilità di un bambino, è il motivo per cui sono riuscito a trovare quelle parole e la decisione di agire in questo modo».
Sono diventati l’uno il pilastro dell’altro, Leiris e Melvin, che nel frattempo «sta crescendo, ama i libri e la musica e, anche se con un po’ di fatica, ci divertiamo». Leiris non vuole pensare a come avrebbe reagito se non ci fosse stato suo figlio, perchè «questo aprirebbe tutta una serie di “e se…”, che scoperchierebbe un pozzo senza fondo di risposte, a partire da “e se Hèlène non fosse andata a quel concerto?”. Cerco di vivere la mia vita pienamente, non ponendomi questo genere di domande». Non avrete il mio odio è il racconto dei 12 giorni in cui Leiris ha vissuto intensamente il fatto di essere padre, di essere innamorato, e di essere triste.
«Dodici giorni in cui ho cercato di essere grande, almeno un po’», racconta. «Volevo raccontarlo, ma anche riuscire a preservare un po’ della mia intimità . Mi sono reso conto, poi, che quella finestra aperta sui 12 giorni aveva aperto una porta verso altre persone che avevano vissuto un dolore simile. Di reazioni al mio libro ce ne sono state davvero tantissime e di tutti i tipi: dai padri che sono venuti a parlarmi della loro paternità , alle donne che mi hanno parlato dei loro amori, persone che hanno perso una persona cara e che sono venute a condividere con me quel loro dolore».
La vita continua, sembra essere il messaggio di questo piccolo grande libro, che è anche una storia di rinascita, di amore verso la propria compagna che non c’è più, e verso il proprio figlio che è ancora troppo piccolo per capire, ma anche verso se stessi. Anche se Leiris insiste che «nel libro non ci sono grandi verità , piuttosto idee, stimoli per trovare qualcosa che abbiamo già dentro di noi e dobbiamo sviluppare».
Una scoperta, per Leiris, è stata sicuramente la sua capacità di resistere: «Resistere vuol dire fare piccole cose, piccoli gesti. Non è uno stato, ma qualcosa che si rimette in modo di volta in volta, ad ogni piccolo gesto. Tutti noi siamo anche dei resistenti, che non vuol dire usare le armi, ma continuare a vivere. Ecco, per me vivere, oggi, significa resistere. Ma non so se riuscirò a resistere per tutta la vita».
Ilaria Liberatore
(da “La Stampa”)
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