OGGI QUI, DOMANI CHISSA’: LA NUOVA KASTA
TRA TARTINE, BATTUTE E SFOGGIO DI PRESUNTE FIDANZATE
Perchè poi, se ti vesti così, se cammini così e ti sbaciucchi così, vuoi che di questo si parli. Ecco Salvini, sul Colle più suggestivo di Roma, all’ora del tramonto. Tiene per mano Francesca, la figlia di Denis Verdini, non la molla un attimo, si siedono, si baciano, sempre per mano, dita incrociate, come due fidanzati al passeggio del sabato pomeriggio.
Cravatta viola lui, vestitino a mezza coscia lei, schiena scoperta, scarpe aperte borchiate, Valentino, suggerisce qualche sciura presente.
A ogni passo, un commento perchè, “signora mia”, va bene la giovinezza, ma non ci si veste così ai giardini del Quirinale, luoghi dove si va come in una chiesa laica, con le grazie coperte. E poi, insomma, non ci si sbaciucchia come in un romanzo di Moccia, scegliete voi quale.
È la scena dell’uomo che ha in mano l’Italia, sul set del potere eternamente uguale a se stesso. C’è tutto Salvini, in questa pacchianata, in fondo altra versione del “me ne frego” populista. Al popolo, lì fuori piace questo macho con ragazza più giovane di vent’anni, tutta invidia chi lo critica, l’importante è fare le cose, mica i protocolli, il galateo, le buone maniere.
Anzi al Viminale c’è uno alla mano, che piace ai cittadini normali, come un romanzo popolare. Cammina, sempre mano nella mano con Francesca, non si ferma a parlare nè invoglia a avvicinarsi, insomma, è estraneo, o meglio fa l’estraneo alla festa dell’establishment.
Però c’è, a differenza di Bossi che, ad esempio non c’è mai andato. Al tavolo, da vero capo, è circondato solo dai suoi, trangugia tartine e lasagnette finger-food, parla veramente poco. Pina Castiello, che ai tempi era una fedelissima di Nicola Cosentino, l’avvocato Giulia Bongiorno, Barbara Saltamartini che lasciò Ncd proprio in polemica per l’elezione di Mattarella.
Dieci metri più in là c’è Luigi Di Maio, meno avvezzo alle effusioni con la sua fidanzata, Virginia Saba, molto fiera nel suo nude look di pizzo macramè e scarpe di strass con tacco a spillo.
Si salutano, proprio perchè è impossibile non farlo. “Ci vediamo lunedì o martedì”, chiede Di Maio. L’altro, sbrigativo, taglia corto: “Ci vediamo… Ci sentiamo”. Si apprende così, da una battuta e da un atteggiamento strafottente, che, dopo settimane di paralisi, campagna elettorale sulla pelle del governo, implosione post-voto e pasticci come una lettera “anonima” all’Ue che ancora non si capisce chi l’ha scritta, non c’è ancora una straccio di riunione convocata. E neanche tanto la volontà di farlo. Poi Salvini torna a sedersi. Pare che sia arrivato anche Giuseppe Conte, ma non se n’è accorto nessuno. Davvero, proprio così: “Ma dov’è Conte?”, si chiedono i cronisti quando si materializza Rocco Casalino, l’unico senza cravatta.
È cambiato, eccome, il clima rispetto all’anno scorso, quando al ricevimento ai giardini del Quirinale, si presentò il governo che aveva appena giurato, in un’orgia di retorica sulla nascita della Terza Repubblica e di confusione propria dei cambi d’epoca come non accadeva dal ’94, tra l’assalto delle telecamere, i militanti fuori e l’irritualità degli applausi dei parenti al giuramento. Comunque, l’emozione, fatta di timidezze e pudori, con i neo ministri quasi a disagio nel condividere le tartine col potere di Roma che ha normalizzato tanti barbari. Timorosi anche nel parlare e, per non sbagliare, lo facevano come con un microfono accesso.
Adesso il nuovo potere è perfettamente a suo agio nella Roma dei salotti, televisivi e non, abituata a raccontare e avvolgere Cesari e Papi. Da vero ministro del Sud, Di Maio vasa vasa, nel senso che bacia tutti, ostenta complicità e dà del tu. Bacia Bruno Vespa, scherza con Mentana, saluta col sorriso, “sì, sentiamoci” a chi si avvicina. Finchè dura. Una sensazione di “sospensione” ha preso il posto dell’entusiasmo, le battute a raffica quasi ad esorcizzare l’ignoto, ovvero quel che accadrà al governo nei prossimi giorni e settimane, in una situazione in cui è anche franata l’abusata formula di circostanza dello “staremo insieme altri quattro anni”.
Vincenzo Spadafora, poggiando un bicchiere di prosecco, ci scherza su: “Quanto dura? Fino a domani sicuro che c’è la parata militare, poi chissà ”. È di poche parole il potente sottosegretario a palazzo Chigi, sempre guardingo, sospettoso. A un certo punto, si congeda dai presenti: “Fatemi andare che c’è uno che pensa che dalla Rai l’ho cacciato io. Prima che mi attacchi un pistolotto…”.
Mancano parecchi ministri, quelli che ci sono hanno l’aria di chi proprio non ne poteva fare a meno ma, finito il prosecco, sono pronti a una fuga all’inglese.
Neanche con un fucile puntato riesci ad ottenere un ragionamento politico, una frase, un dettaglio che faccia capire che succede. E questa, in fondo, è la notizia di un Potere sospeso, ma normalizzato, che consuma un rito come sempre è stato fatto e ha sostituito, almeno per ora, il principio del fare con quello dell’esserci.
Una tartina, qualche foto e poi si vede, secondo una prassi molto tradizionale. E lasciamo stare le scatole di tonno, richiuse da tempo. In battuta veritas: “Dai — dice Paola Taverna – che se si vota a settembre vi facciamo divertire con la campagna elettorale d’estate”. Nessuno ha l’aria di chi lo dice sul serio, ma neanche l’aria di chi sa come evitarlo, però, parliamoci chiaro, a tutti è evidente — ed è passato solo un anno — che l’esperimento è fallito.
Ecco, finalmente, uno che va dritto al punto, Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, il critico: “Dovremmo farla una riflessione su chi abbiamo messo al governo e su come è andata. C’è un problema di ubi consistam di persone preoccupate solo dall’andare in tv. Guardati attorno. Che altro poteva accadere? Io comunque sono pronto ad andare al voto, proprio non mi spaventa l’eventualità ”. Forse è davvero uno dei pochi. Lo capisci dal linguaggio del corpo, di chi, presentatosi davanti al Palazzo d’Inverno per abbatterlo ha scoperto quanto è confortevole il salotto. C’è anche quella vecchia volpe di Pier Ferdinando Casini, che di Repubbliche sorte e tramontate tra un ricevimento e l’altro ne ha viste davvero tante: “Io però questa sensazione che si vada alle elezioni proprio non ce l’ho — dice guardandosi attorno — anzi, dirò di più, questa è l’instabilità più stabile che io abbia mai visto”. È passato solo un anno. Ed è già diventato una specie di pentapartito populista. O bipartito, se vi piace di più.
(da “Huffingtonpost”)
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