ORDINANZE RAZZISTE NEL BRESCIANO: LA CARFAGNA ORA DICE “BASTA”
FINALMENTE QUALCUNO CONTRASTA LA FECCIA RAZZISTA: PROVVEDIMENTI A RAFFICA DEL CARROCCIO PER COLPIRE GLI IMMIGRATI REGOLARI…DOPO VARI INTERVENTI, IL MINISTRO DELLE PARI OPPORTUNITA’ INCALZA LA LEGA NORD
All’inizio erano casi isolati. Adesso è diventato un braccio di ferro.
Da una parte i sindaci – soprattutto leghisti, ma anche Pdl – della provincia di Brescia e le loro ordinanze creative contro gli immigrati (una decina quelle denunciate finora).
Dall’altra il ministero delle Pari opportunità .
Che attraverso il suo ufficio anti-discriminazioni razziali (Unar), dopo essere intervenuto ripetutamente per stoppare l’offensiva delle amministrazioni contro la residenza e l’ospitalità straniera, adesso dice basta.
Che il vaso è colmo l’Unar lo scrive in una lettera inviata al primo cittadino leghista di Bassano Bresciano, ultimo capitolo del botta e risposta sui diritti degli immigrati.
Dopo avere rilevato la “discriminazione” contenuta nell’ennesima ordinanza irrituale finita sotto la sua lente d’ingrandimento (la 406 del 12 gennaio 2010, la materia è la solita: “modalità di iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente”), l’ufficio del ministero guidato da Mara Carfagna invoca ora un intervento deciso.
Che metta fine alle provocazioni dei sindaci lumbard e alla deriva delle sperimentazioni in atto nel “laboratorio Brescia”.
“Visto il ripetersi di comportamenti simili da parte dei primi cittadini di molte realtà comunali – è scritto in una missiva partita da largo Chigi – si chiede che si trovino adeguati mezzi attraverso i ministeri competenti e le associazioni a cui gli enti territoriali fanno riferimento, al fine di approfondire e dibattere in termini giuridici il tema dei poteri degli stessi sindaci”.
In sostanza, è il messaggio, ordinanze subdole e prove muscolari nei confronti degli immigrati, da ora in poi non devono più essere tollerate.
La storia va avanti da mesi.
E non è un caso, forse, che lo “sceriffato” leghista abbia attecchito in una provincia il cui capoluogo, Brescia, recentemente è balzato agli onori delle cronache per alcuni provvedimenti singolari messi in pista dalla giunta a guida Pdl-Lega: prima i guanti igienici sugli autobus frequentati dagli immigrati.
Poi l’invio – per ora solo in fase sperimentale – di vigili urbani armati sulle stesse linee dei mezzi pubblici.
Nel solco dei soli delle Alpi di Adro, e prima ancora dei bonus bebè solo agli italiani e dell’operazione White Christmas di Coccaglio (via gli stranieri irregolari entro il Natale scorso), molti amministratori bresciani si sono messi in scia: hanno iniziato un’opera di regolamentazione – di fatto una deregolamentazione – il cui obiettivo è quello di mettere i bastoni tra le ruote agli stranieri.
Da Roccafranca a Castelmella, da Bassano a Calcinato, da Chiari a Verolanuova fino a Gavardo, le giunte del Carroccio (e di liste del centrodestra) hanno preso ad applicare lo stesso schema in materia di iscrizione anagrafica, residenza, ospitalità e verifica delle condizioni igienico sanitarie abitative.
In pratica: l’intero pacchetto che riguarda i cittadini stranieri che vivono o vorrebbero vivere in paese.
Ecco, per disincentivarne la residenza i sindaci lumbard hanno elaborato norme accessorie: tetti minimi di reddito (5mila euro), contratti a tempo indeterminato, schedature degli appartamenti che ospitano immigrati, obbligo di fornire dati precisi su chiunque vi trascorra anche solo un giorno.
Partite le segnalazioni, l’Unar è sempre intervenuto tempestivamente.
In cinque casi (gli ultimi sono Bassano e Gavardo) oltre agli ispettori della Carfagna è intervenuta anche la prefettura: e i firmatari delle ordinanze sono stati invitati a fare marcia indietro.
“Queste ordinanze hanno una regia precisa – ragiona Damiano Galletti, segretario della Camera del lavoro di Brescia – mirano a togliere diritti inviolabili agli immigrati. I sindaci oltretutto non hanno l’autorità per imporre questi vincoli. È la legge dello Stato che comanda. Per fortuna il ministero delle Pari opportunità se ne è accorto”.
Paolo Berizzi
(da “la Repubblica“)
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