PATRIMONIALE E TAGLI PER IL REDDITO MINIMO: COPERTURE DIFFICILI PER LA PROPOSTA CINQUESTELLE
DOPO AVER FATTO CAMPAGNA ELETTORALE SULL’ABOLIZIONE DELL’IRAP E LA RIVOLTA FISCALE, ORA I GRILLINI PASSANO AD AUSPICARE MAGGIORI TASSE
Alla fine l’articolato del Movimento 5 Stelle sul reddito di cittadinanza è arrivato: è vero che dovrà essere discusso e modificato in una pubblica discussione in rete (e che forse sarebbe più appropriato chiamarlo reddito minimo garantito), ma il terreno verso cui si muove l’universo grillino appare chiaro.
Questo work in progress è infatti una sorta di manifesto economico del M5S, quel che sembra pensare di come si gestisce il bilancio statale, e riserva più di una sorpresa: per una lista che ha fatto campagna sull’abolizione dell’Irap e la rivolta fiscale, per dire, c’è un incredibile aumento della tassazione con proposte che in questi anni sono stati i cavalli di battaglia della sinistra più o meno radicale (Nichi Vendola ha anche tentato di rivendicare, a ragione, che la prima proposta sul reddito minimo in Parlamento l’ha presentata Sel).
Il meccanismo della legge in sè è molto semplice: chi ha un reddito inferiore ai 7.200 euro l’anno (600 euro al mese) ha diritto ad un aiuto dello Stato per raggiungere quella soglia minima; nel caso di famiglie con figli a carico la soglia si alza (ad esempio 1.630 euro per quattro persone); la mano pubblica interviene anche con altri sussidi per l’affitto, i trasporti, la scuola eccetera; chi percepisce quei soldi s’impegna a rispettare alcune condizioni. Sono le coperture, però, a riservare la sorpresa.
Il viceministro Pd Stefano Fassina le ha definite sostanzialmente insufficienti e incoerenti ed ha in parte ragione: non si può infatti — come il M5S fa in alcuni casi — coprire spesa corrente con soldi stanziati per investimenti, nè indicare introiti a termine per un’uscita strutturale, ma questo è tutto sommato secondario rispetto al “nuovo fisco” disegnato dai 5 Stelle.
TASSA E SPENDI.
La maggior parte dei fondi per coprire i 19 miliardi l’anno (è il tetto massimo) di questo reddito di cittadinanza arrivano da tasse: i tagli riguardano per 2,5 miliardi l’anno per un triennio gli investimenti del ministero della Difesa (un sostanziale azzeramento visto che ammontano in tutto a tre miliardi e mezzo); l’abolizione dei fondi ai partiti e all’editoria che vale però poche decine di milioni l’anno; un contributo su tutte le pensioni in essere. Questo è il meccanismo individuato dal M5S per evitare la bocciatura della Corte costituzionale in cui è incorso Mario Monti sulle pensioni più alte: chi prende dal minimo a circa tremila euro lordi pagherà lo 0,1 per cento per poi passare ad aliquote crescenti fino al 30 per cento di chi riceve ventimila euro al mese.
Si può ipotizzare, sulla base di una simulazione di lavoce.info, che il gettito difficilmente arriverebbe al miliardo l’anno.
Altri soldi poi verrebbero dall’abolizione della Cassa integrazione in deroga: il sottotesto è che un pezzo rilevante di welfare passa dal lavoro alla persona.
BANCHE E “RICCHI”
È da qui che vengono il resto delle coperture: finanza e redditi alti.
La prima proposta che salta all’occhio, infatti, è la patrimoniale per chi ha proprietà (tra immobili, valutati a prezzi di mercato, azioni e pure automobili) superiori al milione e mezzo di euro: si parte da un’aliquota dello 0,5 per cento per arrivare al 3 per cento sopra i 15 milioni. Non è finita.
Il M5S vuole introdurre un nuovo scaglione Irpef: dai 75 ai centomila euro l’anno al 43 per cento come oggi, sopra una nuova aliquota del 45 per cento.
Poi c’è la stangata sul mondo finanziario: aumento della tassazione sulle rendite dal 20 al 22 per cento; diminuzione della deducibilità delle minusvalenze; aumento del 3 per mille dell’imposta di bollo sul portafoglio titoli; aumento della cosiddetta Tobin tax dallo 0,2 all’1 per cento (più una stangata sulle operazioni sui derivati).
Altri 2,7 miliardi l’anno, infine, dovrebbero arrivare da nuovi introiti sui giochi (difficile in un settore già spremuto e in calo).
A parte la fattibilità di arrivare con queste proposte a 19 miliardi, risulta comunque sorprendente che Beppe Grillo si sia dichiarato contrario alla cosiddetta Google tax.
Una delle tante contraddizioni.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
Leave a Reply