“PER AMMAZZARE DI MATTEO, AUTOBOMBA IN TRIBUNALE CON 150 CHILI DI TRITOLO”
RIVELATO IL PIANO STRAGISTA DI COSA NOSTRA: “PIANO SCARTATO PERCHE’ AVREBBE FATTO TROPPO CLAMORE”
Volevano farlo saltare davanti al Palazzo di Giustizia di Palermo.
La prima versione del piano di morte per uccidere Nino Di Matteo prevedeva l’utilizzo di un’autobomba che doveva esplodere all’arrivo del corteo delle macchine blindate nei pressi degli uffici giudiziari.
Sono i nuovi dettagli del racconto di Vito Galatolo, il neo-pentito dell’Acquasanta che ha svelato le fasi di preparazione dell’attentato con il quale Cosa Nostra voleva rilanciare lo stragismo a Palermo e uccidere il magistrato.
Un attentato spettacolare, che presumibilmente avrebbe fatto numerose vittime, e che poi viene bocciato proprio perchè avrebbe provocato una reazione di indignazione collettiva che i boss del gotha mafioso vogliono a tutti i costi evitare.
Di questi argomenti, i boss discutono nel corso di numerose riunioni convocate nel dicembre 2012 appositamente per definire i dettagli dell’agguato.
Nel summit del 9 dicembre, in un appartamento di via Lincoln, i picciotti dei clan palermitani leggono la lettera con la quale Matteo Messina Denaro ordina il progetto di morte nei confronti del pm che “si è spinto troppo oltre”, e vengono a sapere che all’attentato sarebbero interessate “anche entità esterne” a Cosa Nostra.
Le lettere inviate dal boss di Castelvetrano al commando sono più di una, e vengono lette durante le riunioni da Girolamo Biondino, il fratello dell’ex autista di Totò Riina: a un certo punto i boss comunicano al superlatitante di aver già acquistato il tritolo, ma di non essere in grado di confezionare l’ordigno esplosivo, e allora Messina Denaro fa sapere che “non c’è problema”, perchè al momento opportuno arriverà “un artificiere”.
Tra il dicembre 2012 e il marzo 2013 i mafiosi lavorano a tappe forzate: raccolgono i 600 mila euro necessari a pagare oltre 150 chili di tritolo, acquisiscono l’esplosivo, e trovano persino il modo di farsi cambiare una parte del quantitativo, ritenuta “troppo umida” e dunque inefficace.
Poi passano allo studio delle abitudini del pubblico ministero che in quel momento è ancora un “bersaglio” facile: è scortato solo da cinque uomini dei carabinieri e da due automobili, e soprattutto conduce una vita abbastanza abitudinaria.
Per questo motivo, scartata l’idea dell’esplosione al Tribunale, i picciotti si concentrano sulla zona dove risiede il magistrato.
Poi, però, a fine febbraio 2013, in procura arriva un anonimo: chi scrive si qualifica come uomo d’onore di Alcamo e dice che già da due mesi segue gli spostamenti di Di Matteo per preparare un attentato ai suoi danni.
È il primo dei messaggi anonimi che avvertono il magistrato di un piano di morte in preparazione per lui.
Nello stesso anonimo si fa cenno al fatto che Totò Riina in persona avrebbe avallato il progetto di strage.
Pochi giorni dopo arriva il secondo anonimo, quello che fa riferimento agli “amici romani di Matteo” Messina Denaro, che non vogliono un “governo di comici e froci”, alludendo all’escalation del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo.
I pm della Procura di Caltanissetta hanno chiesto a Galatolo se fosse lui l’informatore che in quei mesi manda a ripetizione avvertimenti al pm della trattativa Stato-mafia, con lettere anonime indirizzate alla Procura di Palermo, ma il picciotto dell’Acquasanta ha negato.
C’è dunque un’altra gola profonda nel commando mafioso che preparava il ritorno allo stragismo?
Quel che è certo è che le lettere che arrivano in procura raccontano dettagliatamente la fase preparatoria dell’agguato riferendo particolari sulle abitudini di Di Matteo che già all’epoca di rivelano esatti, e che oggi vengono riscontrati dal lungo racconto di Galatolo.
Per questo motivo, il neo pentito viene sottoposto in questi giorni a continui interrogatori sia da parte dei pm di Palermo titolari delle inchieste sulla riorganizzazione dei clan di Cosa Nostra nel capoluogo, sia dai pm nisseni che indagano sul progetto di attentato a Di Matteo e sulla strage di via D’Amelio: Galatolo, infatti, più volte ha sottolineato che il piano di morte per il magistrato di Palermo doveva essere simile a quello che il 19 luglio ’92 massacrò Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
“Dottore — ha detto il neo pentito nel suo primo incontro con Di Matteo — i mandanti per lei sono gli stessi che hanno voluto la morte di Borsellino”.
Giuseppe Pipitone e Sandra Rizza
(da “il Fatto Quotidiano”)
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