PICCHIARE LA MOGLIE? PER I POLITICI NON È POI COSÌ GRAVE
IN ITALIA TRE MILIONI DI DONNE SUBISCONO VIOLENZE E NEL 90% DI QUELLE RICEVUTE DAL PARTNER NON DENUNCIANO…OLTRE SETTE MILIONI DI DONNE HANNO SUBITO ALMENO UNA VOLTA UNA VIOLENZA FISICA O SESSUALE…IL 36% DELLE VITTIME DI STUPRI E’ LAUREATA, IL 64% VIVE AL CENTRO-NORD E IL 42% ABITA IN AREE METROPOLITANE
Picchiare la moglie, secondo i nostri politici, si può.
Nessuno, opposizione inclusa, ha avuto nulla da ridire sulla notizia che l’onorevole Pdl Remigio Ceroni ha menato la consorte.
Anche dopo la pubblicazione del referto medico del Pronto soccorso, che dimostra inequivocabilmente quanto accaduto, le scuse non arrivano: appare invece su Libero un’intervista al deputato Pdl in cui, poco elegantemente, Ceroni insinua che a pestare la compagna sia stato il padre (che non può replicare perchè è deceduto).
Il deputato, racconta, ha ricevuto tanta solidarietà , soprattutto dai colleghi di partito.
E Ceroni conta anche sulla solidarietà della moglie: “Io non presenterò querela al Fatto, sarà lei ad agire nelle sedi opportune”.
Ma una donna che prende le difese del marito non dimostra granchè.
Se i parlamentari studiassero i dati sulla violenza che si consuma tra le mura domestiche, quasi mai denunciata, forse sarebbero meno solidali con Ceroni e sentirebbero la necessità di fare (almeno) qualche dichiarazione.
Nel mondo, oltre il 90 per cento delle violenze perpetrate su una donna dal suo partner non vengono denunciate.
E, anche se in Italia mancano dati ufficiali, la tendenza a tacere sembrerebbe essere la stessa: lo confermano al Fatto sia il ministero delle Pari opportunità che le associazioni.
Racconta Antonella Faieta, avvocato del Telefono Rosa: “Le donne che vengono da noi per essere aiutate lo fanno, in media, dopo oltre dieci anni di violenze subìte in silenzio”.
E, per lo più, si recano nei centri di assistenza per informarsi: “Se mio marito mi prende a schiaffi dopo una lite, può considerarsi reato?”.
In Italia oltre 7 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni ha subito, almeno una volta nella vita, un episodio di violenza fisica o sessuale.
I legali del Telefono Rosa spiegano che non passa giorno senza che si presentino ragazze con occhi neri e nasi rotti: “Non si tratta di persone deboli. à‰ un fenomeno trasversale”.
Perchè il pensiero spesso corre ai piccoli paesi, dove l’emancipazione, se è arrivata, non ha attecchito.
Invece, dati alla mano, le storie che leggiamo sui giornali potrebbero capitare al nostro vicino di casa: basti pensare che il 36 per cento delle vittime di stupri, che spesso accompagnano le botte, ha una laurea.
Il 64 per cento vive al Centro-Nord, il 42 per cento abita in aree metropolitane.
E, soprattutto, nel 70 per cento dei casi l’autore della violenza è il convivente: ci sono circa 3 milioni di donne, in Italia, che sono state picchiate dal marito o dal compagno.
Però non parlano, e in alcuni casi la legge è dalla parte degli aggressori.
Prendiamo il caso (vero) di Maria, che arriva al pronto soccorso con il labbro rotto da un pugno e un ematoma sulla fronte.
à‰ la prima volta, racconta ai medici, che il marito la picchia.
Però non vuole sporgere denuncia, perchè con lui ha due figli, perchè lui minaccia di portarglieli via e perchè, ne è certa, non capiterà più.
In questa situazione non si può fare nulla: il reato di lesioni si persegue solo se la vittima sporge querela. E se denuncia e poi ritira non c’è possibilità di punire il marito.
Diverso è se i maltrattamenti sono continuati (in questi casi, come per lo stalking, la denuncia presentata non si può più ritirare): allora si può agire d’ufficio, il medico chiama la polizia e il giudice decide se allontanare il violento dalla famiglia.
Oggi i divieti di avvicinamento in atto in Italia sono 2.629.
Ma quali garanzie ci sono che l’uomo non si vendichi sulla compagna che l’ha esposto?
“L’allontanamento del violento — spiega l’avvocato Faieta — è una misura cautelare. Se lui torna, sta alla donna chiamare la polizia: anche per questo è nata la legge sullo stalking, così da mettere in carcere chi viola l’ordine restrittivo”.
Quando una donna trova la forza di denunciare, capita spesso che subisca poi episodi di stalking (a proposito: su Ceroni il ministro Carfagna non ha nulla da dire?).
Ogni mese, informa il ministero delle Pari opportunità , 547 persone vengono denunciate o arrestate per questo reato.
L’85 per cento sono italiani e quasi il 90 per cento sono uomini.
Le minacce e gli insulti, raccontano nei centri di assistenza, sono sempre uguali: “Ti spezzo le gambe, ti porto via i figli, non farai più niente senza di me, quando ti vedo ti uccido”.
E di solito sortiscono effetti proprio perchè arrivano dopo anni di violenze.
L’iter, spiega il Telefono Rosa, è questo: le botte cominciano da giovani, quando i due sono ancora fidanzati.
Il periodo in cui l’uomo diventa più aggressivo è durante la gravidanza: la donna incinta è più vulnerabile, non vuole crescere un figlio da sola.
Si abitua quindi più facilmente a essere picchiata, per motivi spesso futili: non ha apparecchiato la tavola, ha parlato troppo durante una cena, si è messa l’abito sbagliato.
Seguono periodi di calma, ma la rabbia — dicono gli assistenti sociali — si manifesta di nuovo”.
La ribellione avviene, di solito, “quando vengono coinvolti nelle liti anche i figli che prendono le difese della madre”.
Denunciare conviene. E non solo perchè la violenza domestica è la prima causa di morte accidentale (nel 2009 la Banca mondiale ha anche dichiarato che “il rischio di subire violenze domestiche o stupri è maggiore del rischio di cancro o incidenti”).
I tempi della giustizia, almeno per questi reati, si sono accorciati e la prima udienza viene solitamente fissata entro un anno. In quattro o cinque si può avere una sentenza di Cassazione.
Nel frattempo la vittima viene assistita: il piano nazionale antiviolenza varato a gennaio ha stanziato 20 milioni di euro per aprire 80 nuovi centri distribuiti in tutta Italia.
Beatrice Borromeo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
Leave a Reply