PUTIN CERCA UN PROF DI INGLESE PER I SUOI FIGLI
L’EDUCAZIONE OCCIDENTALE E NON SIBERIANA
Un dettaglio mi ha tolto il fiato giovedì mentre andavo in treno verso il Forum Ambrosetti Teha di Cernobbio, dov’erano attesi sia il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che il premier ungherese Viktor Orbán. Il dettaglio si trova in un’inchiesta, semplicemente straordinaria, pubblicata dal sito investigativo russo “Dossier Center”. Il lungo articolo si concentra sulla vita di Vladimir Putin, della sua compagna Alina Kabaeva e dei loro figli Ivan Vladimirovich e Vladimir Vladimirovich (Junior), di nove e cinque anni di età.
I bambini non escono mai dalle enormi residenze recintate del padre a San Pietroburgo o a Valdai; non hanno mai frequentato una scuola; non hanno amici della loro età. E fin qui tutto prevedibile. Ma non immaginavo che la famiglia Putin si dovesse rivolgere a un’agenzia, che pubblica inserzioni, per trovare in Russia insegnanti di inglese a domicilio per i figli del dittatore.
Da quelle inserzioni si capisce qualcosa del suo rapporto con l’Occidente, dunque con Zelensky, e si misura la differenza con l’uomo che di fatto è diventato la quinta colonna di Putin all’interno dell’Unione europea: Orbán stesso. Le strutture psicologiche dei tre sono molto diverse e finiranno per pesare sugli sviluppi della guerra oltre sui suoi aspetti finanziari. Vediamo.
L’inserzione dell’agenzia che cerca una o un tutor per i figli di Putin presenta l’offerta e le condizioni:
– Lavoro cinque giorni alla settimana, per 60 ore
– L’insegnamento è di inglese “e altre materie”
– Salario di 7.700 euro al mese
– “Live-in”, si vive in famiglia
– “La famiglia vive isolata”
– L’agenzia ha già fornito tutor di inglese e di tedesco alla famiglia
– Il candidato o la candidata devono accettare due settimane di “esami medici” prima di iniziare (in sostanza, una quarantena)
– Nella residenza c’è una palestra e un campo da tennis, ma il o la tutor “non è autorizzato a lasciare il territorio del datore di lavoro”
– La famiglia “preferisce un candidato o una candidata con passaporto sudafricano”.
La paranoia di Putin per i virus e il ruolo del Sudafrica
Non mi sorprende la quarantena iniziale perché si conosce la paranoia del dittatore, notoriamente terrorizzato dai virus; né mi sorprendono l’isolamento totale, la paga elevata o la preferenza per una persona di passaporto sudafricano, perché il Sudafrica è il solo paese anglofono a mantenere un approccio tutt’altro che di condanna verso la Russia.
Lingue occidentali per i figli
Quel che lascia senza fiato – e fa capire molto di Putin – è il tipo di insegnante ricercato. Il dittatore che ha scatenato una feroce guerra di aggressione perché si sente accerchiato dall’Occidente, e respinge con tutte le sue forze l’influenza occidentale sui territori un tempo dominati da Mosca, vuole che i suoi figli imparino per prima cosa nella vita due lingue occidentali: l’inglese e il tedesco.
Non il cinese, il coreano di Pyongyang, il farsi dell’Iran o le lingue di qualunque altro dei Paesi che lo aiutano nella sua aggressione all’Ucraina e all’ordine internazionale delineato dagli Stati Uniti.
L’odio per le democrazie e la loro civiltà ha in Putin venature del rancore di chi si sente respinto. Di chi è gonfio di sete di rivalsa perché avverte il disprezzo altrui. In quella semplice inserzione per un tutor d’inglese si avverte il desiderio forse inconscio del capofamiglia di essere accettato alla pari da quel mondo che odia; il sogno represso almeno di far sì che un giorno i suoi figli escano dall’isolamento da lui stesso imposto su di loro e comunichino e si integrino nelle democrazie che Putin per primo detesta. Le detesta e avversa al punto da mandare al macello oltre centomila dei propri sudditi pur di respingere – parole sue – l’influenza occidentale lontano dalle frontiere russe. Ma intanto i suoi figli reclusi devono studiare l’inglese. In quella scelta sull’educazione di Ivan e del piccolo Vladimir Junior c’è un viluppo di orgoglio ferito, complesso di inferiorità, desiderio di vendetta e di essere accettato. C’è un riconoscimento silente di aver perso la battaglia più importante, quella dell’influenza culturale e del soft power; di averla persa così radicalmente da volere che i propri figli parlino come il nemico, con la pronuncia del nemico, avendola imparata da piccoli.
I rischi di un insegnante “esterno”
Altrettanto straordinario è che Putin stesso, lo zar onnipotente di tutte le Russie, pur di trovare un insegnante d’inglese per i suoi piccoli si affidi a un’inserzione e dunque si esponga al rischio che chiunque entri in casa sua. Preferisce questo rischio – quasi folle per lui – alla prospettiva che i due bambini restino senza insegnamento della lingua degli americani. Del resto è il prezzo dell’aver isolato la Russia dal mondo libero che lui dice di disprezzare e a qualche livello non riesce a non ammirare: così poche persone di madrelingua inglese oggi vogliono vivere in Russia, che il capo deve accettare di prenderle dalla strada, come un suddito qualunque.
(da il Corriere della Sera)
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