QUEL BIVIO TRA NOSTALGIA E LIBERTA’ RITROVATA NELLE STRADE DESERTE DI CORLEONE
I FIGLI DI QUELLA MAFIOSITA’ DIVERSA DALL’ESSERE MAFIOSI
Peppe Anthony del bar Sweet Temptation non ha dubbi. «La famiglia Riina? Miei grandissimi amici. Che sia morto Totò mi dispiace, come quando muore chiunque, non più ma neanche di meno. Le stragi? I ventisei ergastoli? E io che ne so, non ero con lui, non posso sapere».
Mostra un quadro di fronte al bancone, il dipinto della torre di Corleone sullo sfondo di un tramonto. Firmato Lucia Riina. E’ lei una delle due figlie del boss, l’artista, l’unica rimasta a vivere in città . «Così le faccio pubblicità , la aiuto a vendere».
Sul muro accanto c’è la gigantografia di Marlon Brando con il mascellone ne Il Padrino. «Scrive un articolo? Tanti auguri di buona salute», augura sulla porta.
La piazza dove si trova il bar, di fronte alla Villa comunale di Corleone, è intitolata a Falcone e Borsellino. E davanti alla piazza c’è un gruppo di volontari del Cidma, il Centro di documentazione sulla mafia e sul movimento antimafia che ogni anno accoglie novemila turisti per raccontare la storia di Cosa Nostra mostrando i faldoni del maxiprocesso e le fotografie della mostra permanente di Letizia Battaglia: «Arrivano dall’Australia, dal Giappone, da tutta Europa — racconta una di loro, Serena Trumbaturi, 24 anni, studentessa di Giurisprudenza — sulla scia del mito della mafia, si aspettano di trovare don Vito Corleone e trovano noi, molti sono delusi, però noi siamo felici di fare capire che questa città non è solo quella dei boss, che qui si respira aria nuova».
Eccole, a pochi metri di distanza, le due città , quella bianca e quella nera.
La casa di Totò Riina e di Ninetta Bagarella in via Scorsone è chiusa, solo una veloce chiusura di persiana, due mani di donna dietro la finestra. Poco distante ci sono i vecchi a ricordare di quando il boss che diede l’assalto allo Stato andava con le vacche in campagna.
Prima che fratello e padre saltassero su una bomba da cui cercavano di ricavare polvere da sparo, prima che «’U curtu» commettesse il primo delitto per vendicare un’avance alla sorella Caterina, la madre dei tre figli — Mario, Franco e Giovanni — che adesso sono gli eredi designati.
Soprattutto Giovanni, ormai quasi settantenne, scarcerato tre mesi fa dopo venticinque anni di galera.
Non è il solo a essere riemerso. C’è il nipote dello storico boss Luciano Leggio, Giovanni Marino, uscito di cella sei mesi fa. E poi i vivandieri e i collaboratori di Provenzano, da poco liberi.
È ancora «dentro» invece Rosario Lo Bue, considerato il capo della famiglia di Corleone, uomo-ponte tra Riina e Provenzano.
«È morto Riina ma non è morta la mafia — sintetizza Dino Paternostro, responsabile della legalità della Camera del Lavoro di Palermo e memoria storica di Corleone —. Ma mi piace ricordare che qui è nata anche l’antimafia, con le guerre contadine, con Placido Rizzotto, con Bernardino Verro, con i 168 contadini e sindacalisti uccisi le cui storie oggi si studiano in tutte le scuole di Corleone, elementari e medie».
Ecco il profilo Facebook di Tony Ciavarello, marito di Maria Concetta Riina, l’altra figlia del boss che vive in Puglia, quello che di recente ha lanciato una raccolta fondi dopo che i magistrati hanno disposto il sequestro delle sue aziende di ricambi auto. Una fotografia con un nastro nero di lutto.
E c’è un diluvio di condoglianze sotto quella fotografia. Molta è gente di Corleone. Figlia di quella «mafiosità diversa dall’essere mafiosi» di cui parla don Luca Leone, parroco di frontiera della chiesa di San Leoluca, emigrato neonato con la famiglia in Piemonte e in Emilia e tornato qui, nella sua trincea.
«C’è tanta gente che esprime un desiderio di rinascita — dice — e che si rende conto che la mafia non ha lasciato nulla, solo povertà e disoccupazione».
In piazza tre anziani, «niente nomi, i nomi non servono»: «Siamo pensionati, facevamo i contadini. Adesso neanche a lavorare la terra si può più andare, le strade sono tutte buchi», dice uno. Gli fa eco l’amico: «Tutta colpa della politica». E della mafia no? «La mafia sta a Roma».
(da “La Stampa”)
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